Da Amatrice a Trastevere, la ripartenza di Pirozzi: "Torno ad allenare"
l'intervistaEra il sindaco di Amatrice il 24 agosto del 2016 giorno in cui il borgo è stato sconvolto da un tremendo terremoto. Sergio Pirozzi è tornato in panchina al Trastevere: "Sono guarito dalle ferite del 'mostro', posso riappropriarmi di una parte della mia vita"
Riparte, da dove aveva lasciato. Da dove si era interrotta la sua storia d'amore. Da una panchina, la «sua» panchina, quella del Trastevere che aveva portato in Serie D. Lo fa dopo quattro anni, quattro anni terribili, in cui si è trovato a gestire un'emergenza che ha fatto finire tutto, anche una grande passione come il calcio, in secondo piano. Lui è Sergio Pirozzi e dalla notte del 24 agosto 2016 è diventato famoso per essere il sindaco di Amatrice, la città simbolo del terremoto che ha devastato il centro Italia. "C'è una notizia di calciomercato", confessa Pirozzi a Sky. "Il giorno in cui c'è stato il terremoto io avevo interrotto la mia grande passione, quella di fare l'allenatore, dopo 21 stagioni tra i dilettanti e quattro tra i professionisti. Ora, dopo quasi quattro anni, sono guarito dalle ferite del «mostro» ed è giusto che torni a fare il mister per riappropriarmi di una parte della mia vita".
Una vita che è legata indissolubilmente al Trastevere, terza società della capitale dopo Roma e Lazio: "Ricomincio da dove avevo lasciato il 24 agosto del 2016. Da una società bella, giusta, fatta da grandi persone. Avevo avuto altre offerte, ma il posto giusto dove ricominciare era quello. Quella notte avevo dovuto lasciare la squadra per allenare la mia gente. La ferita è stata grande, io non ho mai visto il Trastevere giocare in questi quattro anni. Non ero pronto, è come quando interrompi una storia d'amore col tuo partner non per colpa tua o del partner, ma per cause di forza maggiore. E quando è per forza maggiore, è una ferita che non si rimargina più. Non ero guarito". Ora, però, Pirozzi è pronto. Pronto a rimettersi gli scarpini e la tuta, pronto a tornare a parlare di schemi, tattica e motivazioni. Con una Panchina d'Oro in più, quella che gli è stata consegnata dal presidente dell'AssoAllenatori Ulivieri nel 2017. In un club che non può che essere legato alla sua Amatrice, il borgo da dove si è collegato per l'intervista: "Il presidente Pier Luigi Betturri e il suo vice Bruno D'Alessio sono di qui. Gente tosta, capocciona, proprio gente di montagna. Anche io sono capoccione, questo legame col Trastevere è continuato negli anni. Loro mi hanno sempre invitato a seguire le partite, io non ce la facevo. Ora grazie a mio figlio Federico mi è tornata la voglia di allenare, che è venuto a giocare ad Amatrice, in Promozione. Pian piano ho ripreso a vedere gli allenamenti e le partite e ho iniziato a ragionare da mister. Pian piano mi è riscattata quella molla. Io devo ringraziare il mondo del calcio e i tifosi, che in questi anni mi sono stati vicino. Ora è giusto che io cerchi di dare qualcosa della mia esperienza al Trastevere e al mondo del calcio, le motivazioni sono giuste".
La svolta decisiva arriva qualche mese fa, a inizio marzo, appena pochi giorni prima del lockdown per l'emergenza Coronavirus: "A marzo sono tornato in campo. Quella sera Romeo, l'allenatore dell'Amatrice e mio carissimo amico, era assente e mi ha chiesto di sostituirlo. Negli ultimi anni avevo fatto l'allenatore per la partita del cuore, ma ero più un simbolo. Per la prima volta, quella sera, sono tornato a essere davvero un allenatore. Lì ho capito che ero pronto: per fare l'allenatore devi essere sereno, trasmettere le giuste motivazioni al gruppo. Dal 2016 avevo avuto tante occasioni anche per tornare tra i professionisti, quella sera ho capito che ero pronto. Io ho iniziato a fare l'allenatore in seconda categoria e sono arrivato a fare il vice ad Ascoli in Serie B. Quella sera di marzo, anche se faceva freddo e c'erano due gradi sotto zero, non sentivo freddo. Mentre mi cambiavo mi sono tornati in mente tante fotografie: da quando allenavo l'Amatrice e non ero solo l'allenatore, ma facevo anche le righe al campo con la calce, a quando ero appunto in Serie B in un altro mondo, con un'attenzione completamente diversa anche a livello mediatico. Mi sono tornate in mente tutte queste immagini e anche l'ultima amichevole che avevamo giocato nell'estate 2016, prima del terremoto, quando il mio Trastevere, squadra di Serie D, aveva battuto l'Ascoli, dove ho allenato per tanti anni, per 3 a 2. Era stato un momento di gioia, prima della notte del 24 agosto".
Tra i tanti flash, ce n'è uno che Pirozzi ricorda con particolare affetto. È legato alla stagione 2007/2008, quando guidava l'Ascoli Primavera e si ritrovò contro l'Inter di un neanche 18enne Mario Balotelli: "Quella fu un'annata straordinaria. L'Ascoli nella propria storia non aveva mai giocato la poule scudetto. Noi arrivammo ai quarti, dopo aver battuto l'Atalanta, che è diventata una delle mie squadre del cuore per quanto fatto dopo il terremoto. Pareggiammo 0-0 a Zingonia e vincemmo 4-0 ad Ascoli, facendo una partita straordinaria. In quell'Atalanta giocava Jack Bonaventura, era una grande squadra. Ai quarti incontrammo l'Inter: noi, senza offesa per nessuno, stavamo con una scarpa e una ciabatta. Avevo 22 giocatori, due infortuni importanti tra cui Giorgi, che poi ha fatto una bella carriera. L'Inter arrivò con quattro fisioterapisti. Giocammo una grande partita fino al 70°, poi ci fu un crollo. Contro di noi giocavano Balotelli e Santon, ma anche tanti altri giocatori molto forti. Balotelli ci fece un gran gol di testa, anche se secondo me dopo 15 minuti doveva essere espulso. Aveva grandissimi mezzi tecnici e fisici, ma capii subito che c'era qualche limite caratteriale. Sull'1-0 per loro ci fu anche un'occasione per pareggiare, chissà come sarebbe andata se avessimo segnato. In quell'anno arrivammo quarti anche al torneo di Viareggio. Vi racconto un aneddoto: il mondo della Primavera è molto competitivo, tutti vogliono arrivare tra i professionisti, anche se le statistiche dimostrano che solo pochi ce la fanno. Nei quarti di finale, contro il Vicenza, mandai quattro giocatori in tribuna. Questi ragazzi, appena seppero di essere stati esclusi per quella partita, andarono a prendere le bandiere per fare il tifo per i compagni. Quello è stato uno dei più bei campionati che ho vinto, mi fecero passare anche l'amarezza per la sconfitta ai rigori. Quel gesto fu straordinario, una cosa che ci insegna il calcio vero è che ogni tanto bisogna mettere da parte il proprio io per il noi. Questa è la carta vincente non solo in campo, ma anche per la società".
Un messaggio che Pirozzi ha ricordato anche quando è stato costretto a lasciare il Trastevere per diventare l'allenatore di un'altra squadra, quella del borgo di Amatrice: "Allenare la mia gente vuol dire dare l'esempio. Dopo il terremoto dissi subito alla mia comunità che dovevamo restare in questa terra. Io ancora oggi vivo qui. Troppi amici erano morti quella notte, fu un dolore immenso, ma io dissi che dovevamo restare qui per onorare quegli amici che amavano questa terra. Per me Amatrice resta il borgo più bello d'Italia, malgrado le macerie. Se dici una cosa e poi scappi, non dai l'esempio. Per fare l'allenatore devi essere credibile, il calcio mi è servito per sopravvivere. Anche in quell'occasione ho cercato di insegnare alla mia comunità che viene prima il noi dell'io. Il fatto che gran parte della mia comunità sia rimasta a vivere qui nonostante le macerie significa che il mister ha fatto un buon lavoro". Ora, dopo quattro anni, Mister Pirozzi è pronto a fare il suo lavoro su una panchina vera.