Trentalange, annullata l'inibizione di 3 mesi per il caso D'Onofrio

Calcio

Lorenzo Fontani

La Corte Federale d'Appello, presieduta da Mario Luigi Tosello, ha annullato l'inibizione di tre mesi comminata per il caso D'Onofrio, l'ex procuratore capo dell'AIA arrestato per traffico di droga internazionale

La Corte federale d'appello ha accolto il ricorso presentato dall'ex presidente dell'Aia Alfredo Trentalange e ha cancellato in secondo grado i tre mesi di inibizione che il Tribunale Federale gli aveva inflitto per il caso di Rosario D'Onofrio, l'ex procuratore capo dell'Associazione Italiana Arbitri arrestato nel novembre scorso per traffico di droga internazionale. L'ex numero uno degli arbitri - ascoltato in videoconferenza - è stato difeso dagli avvocati Avilio Presutti, Paolo Gallinelli e Bernardo Mattarella. In primo grado la Procura aveva chiesto 6 mesi di inibizione ma il Tribunale ne aveva comminati 3 accogliendo soltanto due dei sette capi di accusa. Ora è arrivata in secondo grado l'assoluzione per Trentalange, che si era dimesso il 18 dicembre scorso per poter sostenere la propria difesa senza il coinvolgimento diretto dell'Aia.

L'accusa principale

In attesa di conoscere le motivazioni della sentenza d'appello, va ricordato che in primo grado era già caduta l'accusa principale nei confronti di Trentalange: quella che gli imputava di non aver vigilato a sufficienza sulle qualità morali di D'Onofrio, e cioè che - in sostanza - si sarebbe dovuto accorgere che nei suoi comportamenti c'era qualcosa di sospetto. Il Tribunale, scagionando l'ex presidente, aveva spiegato infatti che "il D’Onofrio aveva astutamente occultato il proprio coinvolgimento nei procedimenti penali attraverso una serie di artifici e di dichiarazioni non veritiere e addirittura recandosi presso la sede AIA in costanza di misura cautelare per svolgere le proprie funzioni. Il suo stato di detenzione e i suoi precedenti non erano noti neanche ai soggetti che con lui collaboravano in AIA" 

Le altre accuse

Al contrario a Trentalange erano state contestate - da qui l'inibizione di tre mesi - la mancata verifica dei requisiti professionali di D'Onofrio (perché - scriveva sempre il TFN: "è emerso che fosse a conoscenza dell'inadeguatezza del D'Onofrio a rivestire quella carica"), e anche la responsabilità del mancato controllo sui rimborsi ottenuti irregolarmente da D'Onofrio stesso, addirittura attraverso biglietti ferroviari palesemente falsi (perché mancanti del QR code): "spetta ai vertici degli uffici Aia - si leggeva infatti nelle motivazioni della sentenza di primo grado - adottare le cautele volte a prevenire i rischi di comportamenti contrari a diritto ed etica sportiva", e ancora "Trentalange non ha intrapreso alcuna iniziativa tesa ad accertare l'illecita attività del D'Onofrio". Anche queste accuse però sono state ritenute infondate dalla Corte Federale d'Appello. In attesa delle motivazioni, si può dedurre dunque che sia andata a segno la difesa che rispetto ai due punti sosteneva da un lato l'inattendibilità e tardività della testimonianza dell'ex vicepresidente della Commissione Disciplinare Sandroni (che aveva raccontato di un tentativo di rabbonimento da parte di Trentalange rispetto alle mancanze professionali di D'Onofrio), e dall'altro la non sussistenza della colpa rispetto ai mancati controlli sui rimborsi: secondo la difesa infatti la responsabilità ricadeva sotto la Figc, competente per il controllo sugli organi direttivi centrali dell'Aia.

A più di 5 mesi dal deflagrare del caso D'Onofrio, a 4 dalle dimissioni da presidente dell'Aia e a pochi giorni dall'elezione di un nuovo presidente, Carlo Pacifici, la vicenda disciplinare di Trentalange si conclude dunque con un'assoluzione. Un esito che permette all'ex numero uno di via Campania - dimessosi dalla carica ma non dall'AIA - di tornare a pensare a un futuro e a un ruolo all'interno del mondo arbitrale.