Dani Alves, le prime foto dopo un anno di prigione: il brasiliano a processo per stupro

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A Barcellona l'ex calciatore era presente in aula per il processo che lo vede imputato per lo stupro di una 23enne in una discoteca: il brasiliano si trova in carcere preventivo in Spagna da 13 mesi

Dimagrito, camicia e scarpe da ginnastica bianche, un paio di jeans. Così si è presentato stamattina a Barcellona Dani Alves, nell’aula del tribunale per il processo in cui è imputato con l’accusa di stupro nei confronti di una ragazza di 23 anni. L’ex calciatore brasiliano è detenuto in carcere preventivo da 13 mesi ed è arrivato in tribunale all’interno di un furgone della polizia catalana, entrando nel palazzo direttamente dal parcheggio per non essere fotografato o ripreso dai tanti giornalisti e fotografi che attendevano all’esterno. Ma una volta in aula, sono state diffuse le prime foto che lo ritraggono da quando, nel dicembre 2022, è stato accusato da una ragazza di averla violentata all’interno dei bagni della discoteca Sutton di Barcellona.

Dani Alves

Dani Alves, via al processo: chiesti 9 anni

Ha preso dunque il via oggi a Barcellona il processo per stupro nei confronti dell'ex calciatore, oggi 40enne, che in Europa in carriera ha giocato con Siviglia, Barcellona, Juventus e PSG. Il brasiliano è accusato di violenza sessuale ai danni di una giovane nel bagno di una discoteca nel capoluogo catalano nel dicembre del 2022. Per Dani Alves la Procura chiede una condanna a 9 anni di carcere e il pagamento di 150.000 euro per danni, una richiesta che la parte civile eleva a 12 anni, il massimo della pena. La sezione 12 del Tribunale di Barcellona ha riservato tre giorni al giudizio per il brasiliano, che è detenuto in carcere preventivo dal 20 gennaio 2022, quando fu arrestato dopo che una ragazza di 23 anni lo accusò di averla aggredita sessualmente e con violenza la notte del 30 dicembre 2022. 

Processo Dani Alves, la ricostruzione

Alves ha cambiato in varie occasioni la sua versione dei fatti: ha prima negato i fatti e poi sostenuto che fu un rapporto consensuale. Gli avvocati difensori dell'ex calciatore, Ines Guardiola e Miraida Puente Wilson, chiedono l'assoluzione di Alves sostenendo che non fu stupro e che la relazione fu consenziente e, in caso di condanna, le attenuanti per lo stato di ebbrezza dell'ex calciatore oltre alla riparazione del danno, avendo già pagato 150.000 euro imposti dal gip come cauzione per l'indennizzo. Non è escluso un patteggiamento della pena.  Secondo il pubblico ministero, che dà totale veridicità alla versione della denunciante, Dani Alves invitò la giovane e le sue amiche a bere champagne in una sala riservata della discoteca e, dopo aver chiacchierato e ballato, intorno alle 3.20 del mattino invitò la vittima in un bagno privato dove "cominciò a toccarla con animo lascivo e la chiara intenzione di soddisfare il suo desiderio sessuale". Davanti alla resistenza della ragazza e alle suppliche di lasciarla andare, la schiaffeggiò e la violentò. Il processo è al centro di una grande attesa mediatica, con oltre 270 giornalisti accreditati. Le immagini, a circuito interno, non possono essere diffuse, ad eccezione di quelle del calciatore sul banco degli imputati nei momenti precedenti l'inizio del giudizio.    

Difesa Alves: “Violata presunzione di innocenza”

La difesa dell'ex calciatore, accusato di presunto stupro, ha chiesto oggi nell'aula del Tribunale a Barcellona l'annullamento del giudizio appena cominciato, a suo dire inficiato dal "processo parallelo sui mezzi di comunicazione", che ha violato la presunzione di innocenza dell'assistito. Durante la fase destinata alle questioni preliminari, l'avvocata della difesa, Ines Guardiola, ha consegnato al tribunale un dossier di 450 notizie sulla causa, segnalando che hanno comportato "uno stillicidio costante" di informazioni "per presentare il signor Alves come aggressore sessuale, destinato alla condanna pubblica". Secondo la difesa, il calciatore brasiliano, oro olimpico a Tokyo con la Seleçao, "non  ha avuto accesso a un giudice imparziale", perché durante l'istruzione il magistrato è stato condizionato dalle informazioni sui media.