L'attaccante della Fiorentina si racconta a "I Signori del Calcio", la trasmissione di SKY in onda ogni venerdì alle 23 su SKY Sport 1: "Mi viene da ridere quando dicono che abbiamo rubato. Da piccolo mi ispiravo ad Hagi, Del Piero e Platini. Lippi all'Inter mi disse: ragazzino, sei giovane, non bruciare le tappe perché avrai il tuo spazio"
E’ stato un peso grandissimo per me perché lui è stato uno dei più forti giocatori rumeni di tutti i tempi. Allo stesso tempo, ero molto onorato e ho sempre provato a dimostrare che questo paragone poteva starci.
Era lui il tuo idolo da bambino?
Era l’idolo di tutti i bambini rumeni. Aveva un grande carisma e ha fatto tanto per il calcio rumeno.
C’era qualcun altro a cui ti ispiravi?
I numeri 10 di tutte le squadre mi piacevano; come Platini e poi Del Piero.
La tua prima esperienza in Italia nell’Inter. Cos’hai pensato quando ti hanno detto di fare le valigie per andare a Milano?
Non vedevo l’ora. Era una squadra con tanti campioni. Il primo giorno che sono arrivato nello spogliatoio ero seduto vicino a Vieri. Poi c’erano Baggio, Ronaldo, Zamorano, Blanc, Zanetti, Panucci. Pensavo che non avrei mai giocato. Non avevo pazienza, volevo mettermi subito alla prova. Una volta, in allenamento, Lippi mi prese per l’orecchio e mi disse: “Ragazzino, sei giovane, non bruciare le tappe perché avrai il tuo spazio!“. Mancavano 14 partite alla fine del campionato e ne giocai 6 da titolare, ma c’era tanta pressione. Ho fatto fatica perchè per me l’Inter, a quella età, era un po’ troppo. Lippi preferiva giocatori con maggiore esperienza e capii che dovevo fare la gavetta prima di costruirmi un nome.
Hai peccato di superbia?
Può essere, perchè ero giovane, ma quando dissi a Lippi che volevo andare a Verona per giocare con continuità, lui rispose che potevo restare e far parte dei 4 attaccanti della rosa per vedere come andava. Mi sono guardato intorno, ho visto chi avevo davanti e gli dissi che sarei andato a Verona. Anche lì fu difficile. Il primo anno segnai 4 gol, di cui 2 nelle prime tre partite. Ho avuto una crisi e sono tornato in Romania, a casa. Credevo di non farcela, di non essere abbastanza forte mentalmente.
Poi arrivò Malesani…
Sì, arrivò Malesani e ci fu la svolta. Non avevo un bel rapporto con l’allenatore che c’era prima di lui: mi faceva giocare in un modo che non era adatto a me, mi sentivo ingabbiato. Lo dissi a Malesani e lui mi rispose di giocare come volevo. Con lui avevo un rapporto speciale. Dopo Prandelli, è quello che mi ha capito come persona. Con lui feci 12 gol e giocai bene anche se poi siamo retrocessi. Ad agosto, poi, passai al Parma e lì si è instaurato subito il feeling con Prandelli. Fu un anno molto bello, non solo calcisticamente. A Parma sentivo l’affetto dei tifosi. Realizzai 24 gol stagionali, tra Campionato e Coppa Uefa.
Che rapporto avevi con Prandelli?
Lo stesso di adesso, fra contrasti e diversità di opinioni perché in questo modo ci si stimola sempre. Entrambi vogliamo vincere e lui sa che mi arrabbio molto quando non mi riesce qualcosa.
Il tuo compagno d’attacco era Adriano…
Sì, e c’era Gilardino in panchina. Mi sono trovato subito bene con Adriano, eravamo amici. Già all’epoca, gli mancava molto il Brasile. Il mister, però, trovò il modo per farlo esplodere. Gilardino non giocava mai e prima di una partita in cui ero squalificato, andai nello spogliatoio e gli dissi che era arrivata la sua occasione. E’ un piacere vedere come Gilardino sia cresciuto moltissimo.
Poi, il passaggio al Chelsea. Sei stato il rumeno più costoso di tutti i tempi?
Era un’offerta che non si poteva rifiutare.
Che rapporto avevi con Abramovich?
Molto buono, ero il giocatore preferito del figlio.
All’inizio andò tutto bene. Poi, hai smesso di divertirti in campo e hai iniziato a farlo solo fuori
Quando cominci ad esagerare fuori, in campo il fisico non regge. Sbagliare è normale, fa parte della vita, però, quando sei un personaggio pubblico è più facile che la gente ti punti il dito contro. La cosa importante è trarre dalle critiche le conclusioni migliori.
Sei stato trovato positivo alla cocaina. Pensi di essere caduto in una trappola?
Una trappola fatta di sbagli di gioventù, non certo qualcosa organizzato dal Chelsea per mandarmi via. Era facile sbagliare: ero molto famoso, a Londra andavo dappertutto e mi trattavano da re. Sono stato ingenuo, sono stato un pollo.
C’è stato un motivo per cui ti sei lasciato andare?
Qualche mese prima di arrivare a Londra, avevo divorziato da mia moglie, avevo anche un figlio e la cosa fu pesante. Poi, come quando arrivai per la prima volta in Italia, la gente, la lingua, era tutto nuovo. Sono andato un po’ in depressione. All’inizio questo non lo sentivo perché con il calcio andava tutto benissimo. Poi, ho avuto la pubalgia per tre mesi e sono iniziati i guai.
Non credi che il Chelsea avrebbe dovuto starti più vicino?
Nella maggior parte dei casi, le squadre ti danno una seconda occasione, invece lì in due mesi mi hanno licenziato. Parlavo poco inglese, non capii nemmeno molto. Ci rimasi male perché avrebbero dovuto darmi una seconda possibilità. Non era giusto lasciarmi da solo perché il problema era più della persona che del giocatore. Mi hanno licenziato, non mi hanno pagato, mi hanno squalificato come era giusto che fosse e ora sono in attesa di conoscere l’ultima sentenza. Pagare così tanto per uno sbaglio fu troppo, mi hanno descritto per come non sono, per cinque anni non ho parlato di questo ma fra poco inizierò a farlo e dirò le cose come stanno.
Come ne sei uscito da questa situazione?
All’inizio credevo di vivere un incubo. Mi ha aiutato anche la mia famiglia, però, soprattutto, ho cercato di stare da solo per ritrovarmi. La Dinamo Bucarest mi ha permesso di aggregarmi ai loro allenamenti, li ringrazio perché mi hanno aiutato moltissimo. Poi, dopo 3 mesi, ho firmato con la Juve. A gennaio sono arrivato a Torino e ho parlato con Capello. Mi allenavo tutti i giorni.
La Juventus ha dimostrato di volerti
Hanno fatto di tutto, non mi hanno fatto mai sentire escluso. Subito dopo la squalifica, mi hanno fatto esordire, ho vinto uno Scudetto giocando solo un pezzo dell’ultima partita e ho anche quasi segnato negli unici 30 minuti di quella stagione. Poi, l’anno dopo, ho giocato una stagione da protagonista: 32 partite, 22 da titolare, 10 gol giocando da centrocampista. Era una Juve fortissima e infatti mi viene da ridere quando dicono che abbiamo rubato. Era come l’Inter di oggi, con qualche giocatore in più. Quegli Scudetti li sentiamo nostri. Qualunque giocatore di quella squadra si sente addosso gli scudetti che sono stati revocati.
Che idea ti sei fatto di calciopoli?
Nessuna perché non ci penso e non m’interessa. Conosco bene Moggi, so quanto era importante per la Juve per la sua bravura e perché sapeva fare bene il suo lavoro. Arrivò calciopoli e non sapevo come comportarmi. Ero a Miami con la mia famiglia, mi chiamò Secco e mi disse che nessuno mi obbligava ad andare via ma c’era la Fiorentina che aveva fatto un’offerta. Considerando che c’era Prandelli e quali erano le ambizioni della Fiorentina, dissi subito di sì. Poi, però, appena arrivai, vidi che anche la Fiorentina era coinvolta nello scandalo, però c’era Prandelli e mi volevano fortemente. Poi, per fortuna ce l’abbiamo fatta a rimanere in A.
Un tuo compagno di quella Juve, disse che sei fra i top 10 players del mondo. Lo disse Ibrahimovic
Lui è stato il mio compagno di stanza in quei due anni alla Juve. Immaginate che coppia io e lui in camera!
Il momento più bello che hai vissuto a Firenze?
La semifinale di Coppa UEFA che abbiamo perso ai rigori, avremmo potuto vincere la Coppa.
Com’è Firenze?
E’ una città strana. In tre giorni può passare dall’entusiasmo al pessimismo. E poi tornare nuovamente l’entusiasmo. Non c’è molto equilibrio nei sentimenti. E’ questa, però, la sua forza, perché basta anche un solo episodio per dare la svolta, per ridare entusiasmo più velocemente che nelle altre piazze. Noi siamo influenzati molto dall’umore della città.
Cos’è successo l’estate scorsa?
La Roma mi voleva. Poi, sia io che la Fiorentina, e anche la Roma stessa, abbiamo pensato che la cosa migliore fosse rimanere a Firenze. Sono rimasto qui e spero di restare qui ancora per molto.