Lotito assume, i giocatori licenziano. "Nessuno fa miracoli"
CalcioL'assurdo caso in casa Lazio: il presidente chiama Daniele Popolizio, lo psicologo della Kostner, per ricompattare l'ambiente; la squadra si ribella e rifiuta il nuovo "acquisto". Il commento della psicologa Marisa Muzio: "Non facciamo incantesimi"
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di VANNI SPINELLA
Lotito chiama, lo psicologo risponde. Peccato che né l’uno né l’altro avessero fatto i conti con i giocatori, ovvero i diretti interessati.
La questione, che tiene banco da un paio di giorni, si può riassumere così, ed è l’ennesimo segnale di una crisi in casa Lazio che sembra tutt’altro che superata.
L’idea è del solito Lotito, che prima impone ai suoi il ritiro punitivo e poi, tra le colline di Norcia, fa trovare ai giocatori la sorpresina: uno psicologo dello sport pronto a ricompattare l’ambiente, risolvere problemi, invertire la tendenza.
Secca la risposta dei giocatori, capitanati da Rocchi: “Non siamo mica malati”, è stato il succo del messaggio con cui lo sgradito pacchetto è stato rispedito al mittente. Assunto dal presidente, licenziato dai giocatori.
Eppure non si trattava certo dell’ultimo arrivato, ma di quel Daniele Popolizio che, se da un lato aveva riportato a galla Federica Pellegrini, dall’altro non aveva potuto nulla contro la tendenza a cadere di Carolina Kostner. Come dire: ogni atleta è una storia a sé, e nessuno, neanche lo psicologo, ha la bacchetta magica.
E’ quello che pensa anche Marisa Muzio, un passato da Nazionale di nuoto, oggi psicologa dello sport con diverse medaglie olimpiche al collo, grazie ai successi dei “suoi” atleti a Pechino 2008.
“Purtroppo è un grosso limite che non si riesce a superare: si pensa allo psicologo sempre come a un “portatore di miracoli”. La verità, e sarebbe bene che le società iniziassero a capirlo, è che il suo ruolo è quello di lavorare nel tempo, non solo quando scatta l’allarme”.
Un buon addetto alla manutenzione, più che un pompiere…
Sì. E ci dobbiamo scontrare anche con un pregiudizio duro a morire: quello della psicologia come scienza che cura, lo psicologo come professionista a cui ci si rivolge solo quando c’è un problema. Nello sport è diverso: si lavora sulla valorizzazione delle risorse, innanzitutto. Si cerca di rendere i giocatori consapevoli dei loro punti di forza. Proprio per prevenire, anziché “curare”.
Ma la Lazio aveva veramente bisogno dello psicologo?
Non conosco direttamente la situazione, ma soltanto attraverso i giornali. Resto comunque dubbiosa sul fatto che, entrando così in corsa, uno psicologo possa dare risposte positive all’ambiente.
Nel suo caso, pensa che l’esperienza passata da atleta la aiuti nel rapportarsi con i giocatori?
Assolutamente sì. Lo psicologo deve innanzitutto saper parlare il linguaggio degli sportivi, ma deve sapere anche di cosa parla. Sensazioni, tensioni ed emozioni che lo sport regala sono difficili da immaginare, se non li hai vissuti in prima persona.
Non è un caso quindi che siano stati proprio i giocatori a rifiutare lo psicologo?
Io lavoro molto con il mio team. Abbiamo un’organizzazione in cui psicologi e tecnici lavorano fianco a fianco. E questo mi permette un confronto e un apprendimento continuo.
L’errore che non deve fare lo psicologo?
Sbandierare promesse. Non si può prevedere quando un giocatore sarà al top della forma “mentale”. Lo si può aiutare indirizzandolo sulla giusta strada, ma poi è lui quello che cammina.
Le è mai capitato di essere “rifiutata” da una squadra?
Mi è capitato di rifiutare. In alcuni casi, quando ti chiedono di entrare in corsa per sanare una situazione con un miracolo, è meglio tirarsi indietro e non regalare illusioni. I successi si costruiscono nel tempo: anche a livello mentale non si improvvisa nulla.
Possiamo dire che anche i tracolli si "costruiscono" pian piano?
Certo. Una disfatta nasce sempre da una sommatoria di componenti.
Fino a quando il bubbone non esplode… è il caso della Juve?
Non sono in grado di dare un giudizio da professionista. Ma dovendo programmare la stagione della rinascita, lo psicologo potrebbe fare comodo. Basta chiamarlo al momento giusto.
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di VANNI SPINELLA
Lotito chiama, lo psicologo risponde. Peccato che né l’uno né l’altro avessero fatto i conti con i giocatori, ovvero i diretti interessati.
La questione, che tiene banco da un paio di giorni, si può riassumere così, ed è l’ennesimo segnale di una crisi in casa Lazio che sembra tutt’altro che superata.
L’idea è del solito Lotito, che prima impone ai suoi il ritiro punitivo e poi, tra le colline di Norcia, fa trovare ai giocatori la sorpresina: uno psicologo dello sport pronto a ricompattare l’ambiente, risolvere problemi, invertire la tendenza.
Secca la risposta dei giocatori, capitanati da Rocchi: “Non siamo mica malati”, è stato il succo del messaggio con cui lo sgradito pacchetto è stato rispedito al mittente. Assunto dal presidente, licenziato dai giocatori.
Eppure non si trattava certo dell’ultimo arrivato, ma di quel Daniele Popolizio che, se da un lato aveva riportato a galla Federica Pellegrini, dall’altro non aveva potuto nulla contro la tendenza a cadere di Carolina Kostner. Come dire: ogni atleta è una storia a sé, e nessuno, neanche lo psicologo, ha la bacchetta magica.
E’ quello che pensa anche Marisa Muzio, un passato da Nazionale di nuoto, oggi psicologa dello sport con diverse medaglie olimpiche al collo, grazie ai successi dei “suoi” atleti a Pechino 2008.
“Purtroppo è un grosso limite che non si riesce a superare: si pensa allo psicologo sempre come a un “portatore di miracoli”. La verità, e sarebbe bene che le società iniziassero a capirlo, è che il suo ruolo è quello di lavorare nel tempo, non solo quando scatta l’allarme”.
Un buon addetto alla manutenzione, più che un pompiere…
Sì. E ci dobbiamo scontrare anche con un pregiudizio duro a morire: quello della psicologia come scienza che cura, lo psicologo come professionista a cui ci si rivolge solo quando c’è un problema. Nello sport è diverso: si lavora sulla valorizzazione delle risorse, innanzitutto. Si cerca di rendere i giocatori consapevoli dei loro punti di forza. Proprio per prevenire, anziché “curare”.
Ma la Lazio aveva veramente bisogno dello psicologo?
Non conosco direttamente la situazione, ma soltanto attraverso i giornali. Resto comunque dubbiosa sul fatto che, entrando così in corsa, uno psicologo possa dare risposte positive all’ambiente.
Nel suo caso, pensa che l’esperienza passata da atleta la aiuti nel rapportarsi con i giocatori?
Assolutamente sì. Lo psicologo deve innanzitutto saper parlare il linguaggio degli sportivi, ma deve sapere anche di cosa parla. Sensazioni, tensioni ed emozioni che lo sport regala sono difficili da immaginare, se non li hai vissuti in prima persona.
Non è un caso quindi che siano stati proprio i giocatori a rifiutare lo psicologo?
Io lavoro molto con il mio team. Abbiamo un’organizzazione in cui psicologi e tecnici lavorano fianco a fianco. E questo mi permette un confronto e un apprendimento continuo.
L’errore che non deve fare lo psicologo?
Sbandierare promesse. Non si può prevedere quando un giocatore sarà al top della forma “mentale”. Lo si può aiutare indirizzandolo sulla giusta strada, ma poi è lui quello che cammina.
Le è mai capitato di essere “rifiutata” da una squadra?
Mi è capitato di rifiutare. In alcuni casi, quando ti chiedono di entrare in corsa per sanare una situazione con un miracolo, è meglio tirarsi indietro e non regalare illusioni. I successi si costruiscono nel tempo: anche a livello mentale non si improvvisa nulla.
Possiamo dire che anche i tracolli si "costruiscono" pian piano?
Certo. Una disfatta nasce sempre da una sommatoria di componenti.
Fino a quando il bubbone non esplode… è il caso della Juve?
Non sono in grado di dare un giudizio da professionista. Ma dovendo programmare la stagione della rinascita, lo psicologo potrebbe fare comodo. Basta chiamarlo al momento giusto.
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