Furino "Furia" operaia: Juve ascoltami, non ti serve Cassano
CalcioL'INCONTRO. Più che un mediano, un simbolo: 16 stagioni in bianconero. I trionfi e il rapporto difficile con la Nazionale: "Ero il più forte, mi hanno snobbato". Assicuratore che ama il golf, alla Madama dice: "Mi fai soffrire, ma puoi rinascere". LE FOTO
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di ALFREDO ALBERICO
da Moncalieri (Torino)
E' il 6 maggio 1984, penultima giornata di campionato. La Juventus, a un passo dal ventunesimo scudetto, affronta l'Avellino di Ramón Díaz e Gerónimo Barbadillo. Mentre in campo e sugli spalti si avverte l'euforia per il traguardo vicino, c'è chi si prepara a giocare i quindici minuti finali con uno spirito diverso da tutti gli altri. E' Giusepppe Furino detto "Furia", Beppe per i compagni di squadra, uno dei migliori mediani che il calcio italiano abbia mai conosciuto: "Sono entrato senza capire niente. Avevo addosso una sensazione strana, mai provata prima. Tutto sembrava irreale perché pensavo che non avrei più giocato a pallone. Quella è stata la mia ultima partita".
Siciliano di Palermo, piemontese e torinese di adozione, Furino negli anni Settanta è stato il simbolo della Juve operaia. Figlio di un militare, disciplina, sacrificio e concentrazione sono stati i principi che ha applicato al calcio; principi che in quel periodo gli hanno permesso di interpretare in maniera perfetta il ruolo del difensore aggiunto: "Il calcio è cambiato da allora. Sono cambiate le regole, i ritmi, la preparazione fisica. Tecnica e velocità sono importanti, ma personalità e qualità morali hanno ancora il loro peso".
Non ha mai amato le luci della ribalta, ma alla ribalta è salito vincendo otto campionati, due Coppe Italia, una Coppa delle Coppe e una Coppa Uefa, il trofeo al quale è più legato: "La Juventus è stata la mia casa. Sono arrivato da ragazzino e lì sono cresciuto tra gioie e dolori. Forse più dolori in diciotto anni di professionismo".
Dolori, ma non rimpianti, legati soprattutto al difficile rapporto con la Nazionale (solo tre presenze), quella guidata da Valcareggi in particolare: "Nel '74, anno del Mondiale in Germania, ero al massimo della forma. Non mi portarono nonostante fossi il migliore in quel ruolo. Un problema di chi non mi ha preso in considerazione, non certo mio".
Furino da tempo è un assicuratore. Lavora e vive a Moncalieri, una manciata di chilometri da Torino: "Mi sveglio alle 7.30, sono in agenzia dalle 9 alle 13 e ricomincio alle 14.30. Ma la mia vita non è solo questa.. C'è la famiglia davanti a tutto, poi la passione per il golf. Non sono un fenomeno, ma me la cavo...".
Una passione mai sopita è quella per la maglia bianconera, anche se nel 2004 si è interrotta la collaborazione come responsabile del settore giovanile: "Non mi sono mai sentito tradito da giocatore, da dirigente forse sì. Ora seguo la squadra andando allo stadio. Dopo Calciopoli è stata una sofferenza, non tanto per la retrocessione in B. In generale è difficile ricostruire, però a questa Juve è mancato un graduale ricambio generazionale. C'è stato con Boniperti presidente, poi con gli addii di Causio e Baggio. Ma non negli ultimi anni, e il tempo stringe. L'arrivo di un Agnelli al vertice societario può cambiare le cose. A volte basta il cognome...".
Parli di simboli della Juve e pensi ad Alex Del Piero, una bandiera che, a 36 anni, tra qualche stagione dovrà essere ammainata. Rumors vorrebbero come suo sostituto Antonio Cassano, uno che non convince Furino. "Il mio giudizio su di lui è condizionato dal fatto che non appartengo a questo calcio. Però penso a quanto accaduto alle ultime convocazioni in Nazionale. Aveva un problema alla schiena? Allora doveva rimanere a casa invece di arrivare in ritiro il giorno dopo. Il talento non basta, bisogna saper giocare anche con la testa. E allora penso a Fabregas, Iniesta, Xabi Alonso...". Parola di mediano.
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di ALFREDO ALBERICO
da Moncalieri (Torino)
E' il 6 maggio 1984, penultima giornata di campionato. La Juventus, a un passo dal ventunesimo scudetto, affronta l'Avellino di Ramón Díaz e Gerónimo Barbadillo. Mentre in campo e sugli spalti si avverte l'euforia per il traguardo vicino, c'è chi si prepara a giocare i quindici minuti finali con uno spirito diverso da tutti gli altri. E' Giusepppe Furino detto "Furia", Beppe per i compagni di squadra, uno dei migliori mediani che il calcio italiano abbia mai conosciuto: "Sono entrato senza capire niente. Avevo addosso una sensazione strana, mai provata prima. Tutto sembrava irreale perché pensavo che non avrei più giocato a pallone. Quella è stata la mia ultima partita".
Siciliano di Palermo, piemontese e torinese di adozione, Furino negli anni Settanta è stato il simbolo della Juve operaia. Figlio di un militare, disciplina, sacrificio e concentrazione sono stati i principi che ha applicato al calcio; principi che in quel periodo gli hanno permesso di interpretare in maniera perfetta il ruolo del difensore aggiunto: "Il calcio è cambiato da allora. Sono cambiate le regole, i ritmi, la preparazione fisica. Tecnica e velocità sono importanti, ma personalità e qualità morali hanno ancora il loro peso".
Non ha mai amato le luci della ribalta, ma alla ribalta è salito vincendo otto campionati, due Coppe Italia, una Coppa delle Coppe e una Coppa Uefa, il trofeo al quale è più legato: "La Juventus è stata la mia casa. Sono arrivato da ragazzino e lì sono cresciuto tra gioie e dolori. Forse più dolori in diciotto anni di professionismo".
Dolori, ma non rimpianti, legati soprattutto al difficile rapporto con la Nazionale (solo tre presenze), quella guidata da Valcareggi in particolare: "Nel '74, anno del Mondiale in Germania, ero al massimo della forma. Non mi portarono nonostante fossi il migliore in quel ruolo. Un problema di chi non mi ha preso in considerazione, non certo mio".
Furino da tempo è un assicuratore. Lavora e vive a Moncalieri, una manciata di chilometri da Torino: "Mi sveglio alle 7.30, sono in agenzia dalle 9 alle 13 e ricomincio alle 14.30. Ma la mia vita non è solo questa.. C'è la famiglia davanti a tutto, poi la passione per il golf. Non sono un fenomeno, ma me la cavo...".
Una passione mai sopita è quella per la maglia bianconera, anche se nel 2004 si è interrotta la collaborazione come responsabile del settore giovanile: "Non mi sono mai sentito tradito da giocatore, da dirigente forse sì. Ora seguo la squadra andando allo stadio. Dopo Calciopoli è stata una sofferenza, non tanto per la retrocessione in B. In generale è difficile ricostruire, però a questa Juve è mancato un graduale ricambio generazionale. C'è stato con Boniperti presidente, poi con gli addii di Causio e Baggio. Ma non negli ultimi anni, e il tempo stringe. L'arrivo di un Agnelli al vertice societario può cambiare le cose. A volte basta il cognome...".
Parli di simboli della Juve e pensi ad Alex Del Piero, una bandiera che, a 36 anni, tra qualche stagione dovrà essere ammainata. Rumors vorrebbero come suo sostituto Antonio Cassano, uno che non convince Furino. "Il mio giudizio su di lui è condizionato dal fatto che non appartengo a questo calcio. Però penso a quanto accaduto alle ultime convocazioni in Nazionale. Aveva un problema alla schiena? Allora doveva rimanere a casa invece di arrivare in ritiro il giorno dopo. Il talento non basta, bisogna saper giocare anche con la testa. E allora penso a Fabregas, Iniesta, Xabi Alonso...". Parola di mediano.
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