Petkovic e Zeman, rivoluzioni (incompiute) a confronto
CalcioNel derby della Capitale si trovano faccia a faccia due allenatori che sono stati chiamati in estate per “rifondare” le rispettive squadre. Ecco come hanno cambiato, o hanno provato a cambiare il volto di Roma e Lazio
di Roberto Brambilla
Il bosniaco e il boemo. Vladimir Petkovic e Zdenek Zeman sono gli unici due allenatori stranieri della Serie A. Il primo, che siede sulla panchina della Lazio, è arrivato a Roma come un perfetto sconosciuto, il secondo, allenatore giallorosso, è stato messo sotto contratto a furor di popolo, dopo la promozione in B con il Pescara. Entrambi avevano il compito di cambiare, rispetto alla stagione 2011-2012. Ecco le caratteristiche delle rivoluzioni (incomplete) di Vlado e Zdenek.
Petkovic, l'allenatore dai mille moduli– Dopo una campagna acquisti a basso costo (Ederson e Ciani), il tecnico, ex Young Boys e Sion, ha costruito una squadra tatticamente molto duttile, con un solo punto fermo: la difesa a quattro. Il bosniaco, tra precampionato, Serie A ed Europa League ha cambiato più volte modulo, dal 4-3-3 del ritiro estivo al 4-5-1 ma soprattutto il 4-1-4-1 con Hernanes spostato da trequartista a registra di centrocampo e Lulic terzino. Un sistema di gioco camaleontico ma un modo di giocare sempre uguale, con pressing alto e possesso palla.
Tattica e computer - "Vlado" usa l'iPad più che la lavagnetta per spiegare ai suoi giocatori i movimenti da compiere e durante l'intervallo usa un programma di match analysis (lo stesso dello staff di André Villas Boas al Tottenham) per decidere cambi di uomini e di gioco. E la tecnologia è stata anche la chiave della rinascita di Antonio Candreva e del cambiamento di posizione di Hernanes, forse le due più grosse novità del calcio di Petkovic.
Tecnico e motivatore - Molto esigente con i suoi giocatori, attento ai particolari, il bosniaco ha imposto alla sua squadra l'idea di “dominare il gioco”, di attaccare l'avversario e ha cercato di inculcare ai biancocelesti l'idea di poter fronteggiare alla pari ogni squadra. Per ora la rivoluzione non è completa, anzi vive in questi giorni la sua prima crisi, dopo la sconfitta per 4-0 contro il Catania. Ma i risultati rimangono buoni :19 punti in 11 partite e quinto posto in campionato.
Zeman, tanti giovani e un top player – A Trigoria lo aspettavano come un messia, dopo anni di attesa. E il secondo capitolo romano di Zemanlandia, ha avuto proprio i tratti di un nuovo corso. Il boemo ha ceduto chi secondo lui non era funzionale al suo gioco (Bojan, Borini, Borriello, Cassetti) e ha fatto acquistare alla societò giallorossa una batteria di giovani e meno giovani con caratteristiche adatte al "suo" 4-3-3 . Sono arrivati tra gli altri la rivelazione Mattia Destro, Federico Balzaretti, l'americano Bradley, il greco Tachtsidis e il paraguaiano Piris.
Fiducia a Lamela, De Rossi mediano - Tatticamente Zeman ha provato a impostare i suoi al "gioco verticale", in netto contrasto con il tiki-taka di Luis Enrique. In difesa ha dato spazio a Piris, Dodo e Castan. a centrocampo ha schierato De Rossi come mediano lasciando a Bradley o Tachtsidis il ruolo di regista e in attacco ha dato molta fiducia, ripagata, a Erik Lamela, uno che con Luis Enrique non era riuscito a fare molto.
Altalena di risultati - Fino ad ora però la rivoluzione pensata dal boemo è assomigliata più a un tumulto. In alcune partite come nella vittoria esterna contro l'Inter si è vista la Roma migliore, capace di giocare un calcio offensivo e piacevole, in altre, come a Torino contro la Juventus i giallorossi sono sembrati disattenti e senza idee. La rivoluzione zemaniana ha fatto rinascere giocatori in difficoltà come Osvaldo e Lamela (già 7 gol in stagione) ma anche messo in disparte leader come Daniele De Rossi, accusato di "pensare più a se stesso che alla squadra". Il boemo ha ancora tempo per dare la sua impronta ai giallorossi. La classifica dice 17 punti, miglior attacco (26 gol fatti) e seconda peggior difesa (20 gol subiti) dopo quella del Chievo. Ma la pazienza dei tifosi ha più volte vacillato.
Il bosniaco e il boemo. Vladimir Petkovic e Zdenek Zeman sono gli unici due allenatori stranieri della Serie A. Il primo, che siede sulla panchina della Lazio, è arrivato a Roma come un perfetto sconosciuto, il secondo, allenatore giallorosso, è stato messo sotto contratto a furor di popolo, dopo la promozione in B con il Pescara. Entrambi avevano il compito di cambiare, rispetto alla stagione 2011-2012. Ecco le caratteristiche delle rivoluzioni (incomplete) di Vlado e Zdenek.
Petkovic, l'allenatore dai mille moduli– Dopo una campagna acquisti a basso costo (Ederson e Ciani), il tecnico, ex Young Boys e Sion, ha costruito una squadra tatticamente molto duttile, con un solo punto fermo: la difesa a quattro. Il bosniaco, tra precampionato, Serie A ed Europa League ha cambiato più volte modulo, dal 4-3-3 del ritiro estivo al 4-5-1 ma soprattutto il 4-1-4-1 con Hernanes spostato da trequartista a registra di centrocampo e Lulic terzino. Un sistema di gioco camaleontico ma un modo di giocare sempre uguale, con pressing alto e possesso palla.
Tattica e computer - "Vlado" usa l'iPad più che la lavagnetta per spiegare ai suoi giocatori i movimenti da compiere e durante l'intervallo usa un programma di match analysis (lo stesso dello staff di André Villas Boas al Tottenham) per decidere cambi di uomini e di gioco. E la tecnologia è stata anche la chiave della rinascita di Antonio Candreva e del cambiamento di posizione di Hernanes, forse le due più grosse novità del calcio di Petkovic.
Tecnico e motivatore - Molto esigente con i suoi giocatori, attento ai particolari, il bosniaco ha imposto alla sua squadra l'idea di “dominare il gioco”, di attaccare l'avversario e ha cercato di inculcare ai biancocelesti l'idea di poter fronteggiare alla pari ogni squadra. Per ora la rivoluzione non è completa, anzi vive in questi giorni la sua prima crisi, dopo la sconfitta per 4-0 contro il Catania. Ma i risultati rimangono buoni :19 punti in 11 partite e quinto posto in campionato.
Zeman, tanti giovani e un top player – A Trigoria lo aspettavano come un messia, dopo anni di attesa. E il secondo capitolo romano di Zemanlandia, ha avuto proprio i tratti di un nuovo corso. Il boemo ha ceduto chi secondo lui non era funzionale al suo gioco (Bojan, Borini, Borriello, Cassetti) e ha fatto acquistare alla societò giallorossa una batteria di giovani e meno giovani con caratteristiche adatte al "suo" 4-3-3 . Sono arrivati tra gli altri la rivelazione Mattia Destro, Federico Balzaretti, l'americano Bradley, il greco Tachtsidis e il paraguaiano Piris.
Fiducia a Lamela, De Rossi mediano - Tatticamente Zeman ha provato a impostare i suoi al "gioco verticale", in netto contrasto con il tiki-taka di Luis Enrique. In difesa ha dato spazio a Piris, Dodo e Castan. a centrocampo ha schierato De Rossi come mediano lasciando a Bradley o Tachtsidis il ruolo di regista e in attacco ha dato molta fiducia, ripagata, a Erik Lamela, uno che con Luis Enrique non era riuscito a fare molto.
Altalena di risultati - Fino ad ora però la rivoluzione pensata dal boemo è assomigliata più a un tumulto. In alcune partite come nella vittoria esterna contro l'Inter si è vista la Roma migliore, capace di giocare un calcio offensivo e piacevole, in altre, come a Torino contro la Juventus i giallorossi sono sembrati disattenti e senza idee. La rivoluzione zemaniana ha fatto rinascere giocatori in difficoltà come Osvaldo e Lamela (già 7 gol in stagione) ma anche messo in disparte leader come Daniele De Rossi, accusato di "pensare più a se stesso che alla squadra". Il boemo ha ancora tempo per dare la sua impronta ai giallorossi. La classifica dice 17 punti, miglior attacco (26 gol fatti) e seconda peggior difesa (20 gol subiti) dopo quella del Chievo. Ma la pazienza dei tifosi ha più volte vacillato.