"Juve-Napoli 1-3": quando il calcio sbarca a teatro

Calcio
Un gol del Napoli nella gara vinta contro la Juve nella stagione 1986-'87. Alla fine del campoinato, gli azzurri vinsero il primo scudetto (GETTY)
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L'INTERVISTA. Antonio Damasco, attore napoletano che vive a Torino, è autore di uno spettacolo che rievoca l'impresa di Maradona e compagni al Comunale contro Platini. Era la stagione 1986-87, quella del primo scudetto azzurro

di Gianluca Maggiacomo

“Le partite tra Napoli e Juventus non potranno mai essere come tutte le altre. In quei 90’ c’è qualcosa di speciale, che travalica il calcio”. Per Antonio Damasco, attore di 41 anni, il simbolo della rivalità tra azzurri e bianconeri è la gara vinta dai partenopei nella stagione 1986-1987. Una partita emblematica. Lui l’ha fatta diventare uno spettacolo teatrale. Si chiama Juve-Napoli 1-3. La presa di Torino. Dentro ci sono Maradona e di Platini. Ma anche gli operai, i padroni e l’emigrazione. “Abbiamo fatto oltre cento date e sempre con un buon successo di pubblico”, dice. Figlio di una famiglia di napoletani, da piccolo Damasco emigra a Torino per seguire il padre, operaio alla Fiat. Una adolescenza segnata dal fascino per la maglia bianconera, da adulto l'attore si è ricreduto ed è tornato a tifare per i campani. “Lo spettacolo che sto portando in giro”, dice, “è un atto d’amore verso la mia città d’origine”.

Napoli e Juventus al San Paolo si giocheranno una fetta di scudetto. Lei il contrasto storico tra queste due squadre l’ha portata a teatro.
“Sì, è una rappresentazione su queste due squadre che sono l’emblema di una rivalità sociale, quella tra nord sud, che si esprimeva, e si esprime, attraverso il calcio. Nello spettacolo faccio riferimento ad una stagione speciale per noi napoletani, quella in cui, per la prima volta, assaporavamo il gusto dello scudetto. Quel 1987 fu un anno particolare perché c’era lui (Maradona, ndr): l’unico in grado di andare a Torino e portare il Napoli a una vittoria clamorosa. Battere la Juve era il riscatto di quasi tutti i meridionali che lavoravano alla Fiat. Migliaia e migliaia di persone che, a quei tempi, venivano chiamati indistintamente Napuli, con la “u”. Nello spettacolo parliamo di quella storica partita come della battaglia dei belli contro i brutti. Da una parte c’erano Tacconi, Cabrini, Manfredonia, Laudrup: bellissimi. Dall’altra, noi avevamo Garella, De Napoli, Bruscolotti, Bagni. I nostri erano tutto tranne che belli. Però quella volta vinsero i brutti. A teatro racconto l’atmosfera che si respirava tra i napoletani in quella giornata. Descrivo i gol e, soprattutto, quello che succedeva sugli spalti, con i tifosi azzurri inebriati per una gioia che non hanno più provato: quella del primo scudetto. Una cosa indimenticabile”.

Come è nata l’idea della rappresentazione teatrale?
“Lo spunto è arrivato leggendo il libro di Maurizio De Giovanni intitolato proprio Juve-Napoli 1-3. La presa di Torino. Io ho preso spunto dal testo e l'ho reso teatrale. Con questo spettacolo ho portato sul palco la mia esperienza personale perchè racconto di me e mio padre e di come due generazioni si incontrano grazie ad una partita di calcio”.

Vede somiglianze tra l’87 e oggi?
“L’analogia più forte c'è con l’attesa: ce n’era tanta allora e ce n’è tanta anche oggi. Napoli-Juve è qualcosa che va oltre il calcio, non è una semplice partita, ma qualcosa che, ancora oggi, fa riferimento alla grande migrazione che c’è stata dal sud verso il nord. Era e rimane una delle gare più sentite per chi, come me, viene dal sud e vive nel settentrione”.

E analogie tra il Napoli di allora e quello di oggi?
“Sono due buone squadre, ma in quel 1987 avevamo con noi il più forte giocatore di tutti i tempi. Era ed è un mito. Ancora oggi molti napoletani non pronunciano il suo nome perché per loro è come un dio, non si deve mai nominare”.

Lei è napoletano ed è cresciuto a Torino. Mai avuto tentazioni di passare con i bianconeri?
“Lo confesso: durante l’adolescenza, quando il figlio maschio, quasi per natura, si mette contro il padre, io ero della Juve. Era il più grande dispetto che potessi fare al mio papà: non c’è cosa peggiore per un napoletano che avere un figlio bianconero. Poi, una volta adulto, ho cominciato, com’è naturale, a tifare per gli azzurri”.

Quindi quando si giocò la partita che lei racconta nello spettacolo lei tifava Juve?
“Sì, nell'87 ero in piena adolescenza e la vissi da juventino. Ricordo che lo scontro in casa fu forte. Juve-Napoli 1-3. La presa di Torino è stato un regalo che ho voluto fare a mio padre. È stato un modo per chiedere scusa per gli anni che, stupidamente, ho trascorso da bianconero”.

Lei è napoletano e vive a Torino. Com’è la vigilia?
“Io sento tensione, ma per loro non è un grande evento. Capirai, sono abituati a vincere… Con degli amici juventini ci sfottiamo anche tramite Facebook, ma non è più come quando mio padre lavorava alla Fiat. In quegli anni se la Juve perdeva contro il Napoli, andare in fabbrica il lunedì mattina era una soddisfazione grandissima. I tempi sono cambiati, però sono sicuro che se vinciamo al San Paolo per qualche giorno io camminerò per le strade di Torino con un po’ più di stile”.

In questi giorni sfotte più lei o viene più sfottuto dai suoi amici juventini?
“A Torino lo sfottò è sempre contro i napoletani. A me va bene così, perché più ci vanno pesante, più il godimento per una nostra vittoria diventerà enorme, quasi un piacere sessuale”.

Chi sarà l’uomo determinante al San Paolo?
“Io dico Cavani. Mi aspetto tanto da lui. Il Matador non è come Maradona, ma è diventato un simbolo per tutta Napoli”.

A proposito di Maradona: è arrivato a Napoli alla vigilia della gara contro la Juve. La sua presenza in città prima di una partita così importante è uno stimolo o un condizionamento?
“Né l'uno né l'altro. E' un segno, vuol dire che si deve vincere. Sarebbe un sacrilegio perdere sapendo che c’è lui a Napoli”.

Bando alla scaramanzia, come finirà al San Paolo?

“Vinceremo 2-0. Gol di Cavani e Maggio”.