C'è chi dice no: Galeone, elogio della coerenza

Calcio
Giovanni Galeone è nato a Napoli nel gennaio del 1941
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Il Profeta, 72enne, non ha accettato la proposta di tornare ad allenare il Pescara, la sua "amante lussuriosa", dove aveva mostrato un calcio superbo negli anni '80. Ritratto di un genio che non si è mai atteggiato a personaggio. Essendolo

di Lorenzo Longhi

L'amante lussuriosa lo ha richiamato. Pescara, Giovanni Galeone, l'aveva definita così, in un'intervista di un paio d'anni fa. La contrapposizione era con Udine, "la moglie fedele", e per questa volta il Profeta all'amante lussuriosa, che evidentemente non aveva perso il vizio, ha detto di no, perché "in queste cose non posso essere decisivo se non vado in campo, e alla mia età non ce la faccio".

Che poi magari non è neanche del tutto vero, ma pazienza: il Profeta ha vinto ancora, ha preferito la coerenza - aveva chiuso sei anni fa, dopo l'ultima esperienza sulla panchina dell'Udinese - ad un ingaggio che, a 72 anni, lo avrebbe riportato in una città alla quale aveva fatto vivere l'estasi. Molto prima e molto meglio rispetto alla penultima versione di Zeman in B: erano gli anni '80, era una zona agli albori ed era una rivoluzione. I vincenti ricordano Sacchi, secondo cui lo 0-0 era il risultato perfetto, i gaudenti Galeone, quello secondo cui, quando gli allenatori iniziano una partita pensando al pareggio, "è il primo sintomo della loro pazzia".

Uno che non ha mai avuto bisogno di atteggiarsi personaggio, essendolo già di suo. Napoletano trapiantato a Trieste a seguito del padre, ingegnere Italsider, innamoratosi poi di Udine, di Ferrara, di Pescara. Del suo calcio, della sua indipendenza, degli autori francesi, della vita. Letteratura. Come quella scritta a spray nei pressi di casa sua, ai tempi del Pescara ("Galeone sei uno scopatore da Scudetto"), come il suo essere di sinistra pur essendo cresciuto in una famiglia di liberali, perché "sono sempre stato attratto dai problemi di quelli che stavano peggio di me". Lo spumante e i comizi di Pajetta, le partitelle con Pasolini e Raf Vallone a Grado, Sartre e mille esoneri, perché "faccio fatica a concepire un datore di lavoro, s'immagini un padrone", disse un giorno a Gaucci, lui che aveva pure riportato il Perugia in A.

Allegri, Gasperini e Giampaolo sono tutti suoi figliocci, calcisticamente parlando. Persino Sliskovic, che al pallone dava del tu ma di sudare non ne voleva mezza, è diventato poi allenatore. Pazienza se solo il primo viene considerato fra i grandi: non è solo dai titoli che si misura un tecnico, c'è anche chi lo spettacolo lo fa comunque, godendosi la vita. E permettendosi il lusso di dire no anche all'amante di sempre, perché c'è un'età per tutto.