Addio a Franco Rossi, l'Oscar Wilde del giornalismo sportivo

Calcio
Franco Rossi in una delle sue comparsate tv
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IL RICORDO. Se n'è andato un uomo buono, a 69 anni, per un tumore. Era stato il re del calciomercato, al Giorno fu il capo della redazione sportiva, portò in tv la sua vena surreale, amava una cosa sola: andare controcorrente

E' uffisciaaaaale. E' ufficiale: esordiva di solito così, perentorio, con le vocali strascicate e a squarciagola, Franco Rossi, scarpinando rumorosamente per i corridoi della redazione. Qualunque affermazione, in accento tosco-umbro, per lui si trasformava in certezza. Quasi sempre provocatoria, perché se una notizia era inverosimile, paradossale, per lui diventava più affidabile del Vero. Se n'è andato per un tumore a 69 anni un uomo buono, un giornalista di intelligenza prodigiosa. Un autodidatta (lo ripeteva sempre) col fuoco della notizia sempre acceso dentro. Che rivendicava la formazione avvenuta in una scuola prestigiosa: la Terza avviamento agrario. Più Gianni Brera, suo maestro unico. Altro che Master. Andava pazzo per quelli che scrivevano con personalità. Ripudiava la banalità, dava di matto davanti ai luoghi comuni.

Una vita spavaldamente burrascosa quella di Franco Rossi, il Brasile nel cuore (Fortaleza, dove si comprò una casa tanti anni fa), poi a un certo punto della sua vita l'amore per il Giappone, e chissà perché. Era stato un capo dello Sport memorabile al Giorno dei giorni felici, aveva preso il posto di un mostro di bravura come Franco Grigoletti, aveva intorno una squadra di prim'ordine. Tutti lo adoravamo, fino al punto da desiderare spesso di pestarlo: era un bastian contrario di natura, un irriverente e devoto fan di Oscar Wilde, uno che rovesciava la vita e la scrittura, esistenza che avrebbe volentieri regalato a Satana in persona per una battuta al curaro.

Era un capo generoso e uterino, capace di follie e memorabili scenate. Aveva letto tanto e in modo disordinato. Ricordava con esagerato e provocatorio orgoglio d'essere stato in prigione col boss Joe Adonis, accusato di vilipendio dopo aver preso a calci il berretto di un carabiniere in una manifestazione operaia degli anni Sessanta o giù di lì. Il calciomercato, i suoi uomini, i suoi riti, i suoi trucchi e saltafossi non avevavo segreti per lui. Scoprì la televisione, diventandone un'icona pop. "Quando morirò scrivete: lo piangono in molti, i creditori" diceva sghignazzando di sé. Attirava personaggi da corte dei miracoli, circolava con ammiratori e body guards che gli restavano impigliati nei suoi girovagare per il mondo. Aveva fatto mille mestieri, anche il cameriere alle nozze di Maradona. Eccolo qua. Ciao Franco, che dispiacere vero.
(Paolo Pagani)