Il bomber e la fabbrica: Boninsegna, 70 anni con gli operai

Calcio
Roberto Boninsegna alla cartiera Burgo di Mantova, dove ha festeggiato i 70 anni
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LA STORIA. Papà Bruno lavorò per 36 anni alla cartiera Burgo di Mantova, i cui lavoratori, in cassa integrazione, da febbraio presidiano gli impianti. E così Bonimba ha voluto festeggiare con loro. C'eravamo anche noi

di Lorenzo Longhi
(da Mantova)

Un posto; alla fine, è sempre quello ciò per cui si lotta. Che sia un posto da titolare in campo, qualcosa da ottenere, o un posto di lavoro, qualcosa da salvare. "Il giorno  prima del provino con l'Inter, a cena papà mi vide nervoso e mi domandò quale problema avessi. Il giorno dopo sarei andato a Milano, e chissà come sarebbe andata. 'Non preoccuparti. Un post in cartera al ghè', mi disse". Roberto Boninsegna, in quel provino all'Inter, fece faville, per la felicità di papà Bruno, che vedeva realizzarsi i sogni del figlio, fuori dalla fabbrica. La cartera, in dialetto mantovano, è la cartiera Burgo, il luogo in cui martedì sera Bonimba ha festeggiato i 70 anni (li compirà, effettivamente, il 13 novembre) assieme al presidio degli operai che, da febbraio, quando la cartiera ha spento gli impianti, sono in cassa integrazione. E sempre lì si torna, indietro di cinquant'anni, come nell'attualità e nel futuro: la lotta per il posto.

Nel nome del padre. "Vado per gli operai, mi interessa che si parli della fabbrica e dei suoi problemi": così, in un'intervista a l'Unità, Boninsegna raccontò il motivo della sua presenza. Ovvero tenere accesi i riflettori sulla Burgo, che per Bonimba non è una fabbrica qualunque. Era quella delle battaglie di papà Bruno, classe 1917 e membro della Commissione interna, 36 anni in cartiera: "Si metteva un fazzoletto davanti alla bocca mentre lavorava. Quando tornava a casa, il fazzoletto non era più bianco: era verde. Mio padre è morto a 61 anni, ucciso da gas e polveri". Nel nome del padre, insomma, e di un'ottima causa.

Il figlio di Mantova. Era la Mantova degli anni '60, quella in cui la Burgo, ristrutturata secondo il progetto di Pier Luigi Nervi, divenne un esempio di architettura industriale, una struttura che è un'opera d'arte. Questo è ciò che si vede al di fuori, sull'orizzonte del Lago di Mezzo. Dentro, una fabbrica viva: lotte sindacali, vertenze, accordi; fulcro produttivo di una città in cui c'è anche il calcio. Al Mantva, il Piccolo Brasile di Fabbri: Boninsegna, guarda a volte il caso, nel club di casa non giocherà mai. Ma di Mantova lui è uno dei figli prediletti, storia di pane duro e case popolari, e la singolare festa alla mensa della cartiera lo ha confermato: sotto la regia dei mantovani Roberto Borroni, per anni sottosegretario all'Agricoltura dei governi Prodi e D'Alema, e del giornalista Adalberto Scemma, la Burgo e le istanze dei suoi lavoratori sono tornate... in campo, con Boninsegna centravanti, a dare una testimonianza di solidarietà tutt'altro che scontata.

Invincibili e irriducibili. Una serata sul filo dei ricordi e con il filo conduttore del lavoro. C'erano i reduci di una squadra che, a Mantova, chiamavano gli "Invincibili". Erano i giovanissimi del Sant'Egidio: "Papà era comunista, ma lasciava che andassi a messa, come accadeva a tanti miei compagni che finirono nel Sant'Egidio. Una squadra, la nostra, che non riusciva a perdere". Vi giocava anche Bruno Scardeoni detto "Nacka", come Skoglund, che finì al Genoa di Sarosi per poi diventare uno dei più importanti antiquari d'Europa e tornare, martedì, a Mantova per riabbracciare Bonimba e sostenere gli operai. Invincibili loro, irriducibili i lavoratori che da febbraio presidiano la fabbrica. Sono oltre 180, l'età media supera di poco i 40 anni, sarebbero pronti a riconversioni dell'azienda e riqualificazioni, perché è il posto ciò che conta, è la dignità del lavoro. Giampaolo Franzini, per le Rsu, fa gli onori di casa, la serata è partecipata: operai, cittadini, media. Fari accesi e sì, per qualche ora, è l'ottimismo a farla da padrone.

Come un gol. In una settimana, della situazione della Burgo si è parlato più che in otto mesi. Ecco perché, al momento della torta, i cori augurali erano cori da stadio: questa volta, vale come un gol, più di un gol. E chissà in quanto, oggi, credono ancora di più "nelle rovesciate di Bonimba". Sul campo, nella vita.