Un quarto d'ora di celebrità: il calcio che conferma Warhol
CalcioEROI PER UN GIORNO. "Ognuno nel futuro sarà famoso per 15 minuti": mentre Milano celebra l'icona della Pop Art, la sua profezia si può adattare al pallone, nelle storie di chi è stato eroe per una partita, un gol. Tornando poi nell'oscurità
di Lorenzo Longhi
A Palazzo Reale, a Milano, da alcune settimane l'arte di Andy Warhol fa il pienone. Da Agnelli ad Alì, anche chi ama lo sport si può saziare del suo genio. E, magari, può ricordare la sua profezia, "nel futuro, ognuno sarà famoso per 15 minuti", adattandola allo sport. Al calcio, soprattutto. Potrebbe essere la storia di mille storie, volendo, e allora, senza alcuna pretesa di completezza, vi sono nomi dimenticati e dimenticabili. Uomini i cui 15 minuti sono stati i 90 di una partita, i pochi secondi di un gol, un giorno magari. Poco per rimanere impressi, abbastanza per essersi guadagnati una fugace notorietà.
Un giorno di gloria. Una sera del 1971, ad esempio, un uomo batté Rivera ai rigori. Il suo nome? Sergio Maddè, in una finale di Coppa Italia fra Torino e Milan ai tempi in cui non c'era l'obbligo di cambiare il rigorista. Lui li segnò tutti, il Golden Boy no. Fu la sua serata. Alzi la mano chi ricorda il resto dela sua carriera.
Poi ci sono quelli che fanno una vita da mediani, ma da mediani... medi, mica alla Oriali. Quelli come Mauro Bressan, per dire. Provate ora a digitare il suo nome su Youtube e godetevi lo spettacolo: metti una sera in Champions League, contro il Barcellona. Una. Abbastanza.
Il migliore. Mutu? Morfeo? Adriano? Nel 2004, un quotidiano sportivo intervistò Cesare Prandelli, allora di moda perché in auge con il Parma in zona Champions. "Qual è il miglior giocatore che ha mai allenato?". A.d.r.: "Vladimiro Carraro". Titolone e ricerche: aveva lasciato da un po', allora lavorava come designer di cucine.
Baby-boom. Vincenzo Sarno, dal canto suo, non aveva nessuna colpa, se non quella di essere un bambino dal piede maradoniano. 11 anni, da Secondigliano al Torino, sino al salotto di Bruno Vespa. Luci, poi l'oscurità. Chissà senza tutto quel clamore...
Baby, ma non così, era anche Graziano Mannari, adolescente fine anni '80 che esordì nel calcio che conta col Milan di Sacchi. 1988-89: lo chiamano "Lupetto" e, per farsi riconoscere, in un'amichevole estiva segna contro il Real al Bernabeu. In campionato ne fa due contro una Juve schiantata 4-0, segna anche nella finale di Coppa Italia con la Samp. Titoli di coda.
Un anno, come 15 minuti. Un po' più di Nello Russo (Inter-Udinese, 1999), Corrado Grabbi (Lazio-Juventus, 1994), Hugo Enyinnaya (Bari-Inter 1999, quando Cassano divenne re).
Dribbling. World-famous, fu il termine utilizzato da Warhol; noi abbiamo ristretto il contesto (calcistico) all'Italia, con una vaga apertura all'Europa. Ma c'è qualcuno che, suo malgrado, è diventato un... gesto tecnico mondiale: si tratta di Aurelio Andreazzoli, ex allenatore della Roma, che nella storia del calcio non rimarrà per la breve esperienza giallorossa ma grazie ad un rapido gioco di prestigio di Rodrigo Taddei. Ricordate l'Aurelio?
A Palazzo Reale, a Milano, da alcune settimane l'arte di Andy Warhol fa il pienone. Da Agnelli ad Alì, anche chi ama lo sport si può saziare del suo genio. E, magari, può ricordare la sua profezia, "nel futuro, ognuno sarà famoso per 15 minuti", adattandola allo sport. Al calcio, soprattutto. Potrebbe essere la storia di mille storie, volendo, e allora, senza alcuna pretesa di completezza, vi sono nomi dimenticati e dimenticabili. Uomini i cui 15 minuti sono stati i 90 di una partita, i pochi secondi di un gol, un giorno magari. Poco per rimanere impressi, abbastanza per essersi guadagnati una fugace notorietà.
Un giorno di gloria. Una sera del 1971, ad esempio, un uomo batté Rivera ai rigori. Il suo nome? Sergio Maddè, in una finale di Coppa Italia fra Torino e Milan ai tempi in cui non c'era l'obbligo di cambiare il rigorista. Lui li segnò tutti, il Golden Boy no. Fu la sua serata. Alzi la mano chi ricorda il resto dela sua carriera.
Poi ci sono quelli che fanno una vita da mediani, ma da mediani... medi, mica alla Oriali. Quelli come Mauro Bressan, per dire. Provate ora a digitare il suo nome su Youtube e godetevi lo spettacolo: metti una sera in Champions League, contro il Barcellona. Una. Abbastanza.
Il migliore. Mutu? Morfeo? Adriano? Nel 2004, un quotidiano sportivo intervistò Cesare Prandelli, allora di moda perché in auge con il Parma in zona Champions. "Qual è il miglior giocatore che ha mai allenato?". A.d.r.: "Vladimiro Carraro". Titolone e ricerche: aveva lasciato da un po', allora lavorava come designer di cucine.
Baby-boom. Vincenzo Sarno, dal canto suo, non aveva nessuna colpa, se non quella di essere un bambino dal piede maradoniano. 11 anni, da Secondigliano al Torino, sino al salotto di Bruno Vespa. Luci, poi l'oscurità. Chissà senza tutto quel clamore...
Baby, ma non così, era anche Graziano Mannari, adolescente fine anni '80 che esordì nel calcio che conta col Milan di Sacchi. 1988-89: lo chiamano "Lupetto" e, per farsi riconoscere, in un'amichevole estiva segna contro il Real al Bernabeu. In campionato ne fa due contro una Juve schiantata 4-0, segna anche nella finale di Coppa Italia con la Samp. Titoli di coda.
Un anno, come 15 minuti. Un po' più di Nello Russo (Inter-Udinese, 1999), Corrado Grabbi (Lazio-Juventus, 1994), Hugo Enyinnaya (Bari-Inter 1999, quando Cassano divenne re).
Dribbling. World-famous, fu il termine utilizzato da Warhol; noi abbiamo ristretto il contesto (calcistico) all'Italia, con una vaga apertura all'Europa. Ma c'è qualcuno che, suo malgrado, è diventato un... gesto tecnico mondiale: si tratta di Aurelio Andreazzoli, ex allenatore della Roma, che nella storia del calcio non rimarrà per la breve esperienza giallorossa ma grazie ad un rapido gioco di prestigio di Rodrigo Taddei. Ricordate l'Aurelio?