Cucinelli, re del cashmere: "Il mio calcio è per veri duri"

Calcio
Brunello Cucinelli, presidente del Castel Rigone. Il suo club protagonista della nuova puntata di "Matti da Lega... Pro"
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L'INTERVISTA. Imprenditore di successo nel campo del lusso, il suo Castel Rigone è ai vertici della Seconda Divisione. Ex stopper, ama il gioco maschio: "Ma qui le regole sono rispetto e dignità. Giochiamo il sabato, perché la domenica si sta in famiglia"

di Alfredo Alberico

A Castel Rigone, sul Lago Trasimeno, il calcio è come un ponte levatoio che collega il piccolo borgo medievale, quattrocento abitanti in provincia di Perugia, al resto del mondo. E' da qui che nel 1998 è partita la missione di Brunello Cucinelli, imprenditore e presidente della squadra locale, che al pallone ha deciso di applicare precise regole e valori. Due in particolare: rispetto e dignità. In questa Camelot dei calci d'angolo, lui, re del cashmere con un'azienda che ha ramificazioni su tutto il territorio nazionale e anche all'estero, è il protagonista di una piccola rivoluzione. A cominciare dallo stadio "San Bartolomeo", dove non ci sono barriere tra calciatori e pubblico.

Lei che è abituato al cashmere, ci tolga una curiosità: è morbido come presidente?

"In realtà sono rigoroso, convinto che le regole sportive possano e debbano essere seguite. Il tutto nel pieno rispetto della dignità umana. Vale nel lavoro come nello sport".

Un imprenditore che parla da sindacalista.  Come gestisce la squadra?
"Abbiamo millecento dipendenti in azienda. Nessuno timbra il cartellino, eppure ritardi non ce ne sono. Così come non esiste l'assenteismo volontario. Ecco, questo clima di totale fiducia e collaborazione esiste anche nel Castel Rigone Calcio".

Quel è il rapporto con i giocatori?
"Glielo spiego con un esempio. Abbiamo perso in casa contro la Casertana, la prima in classifica. I ragazzi non lo sanno, ma riceveranno un premio perché hanno dato tutto. Sono convinto che dalle sconfitte si possa imparare molto, sono educative. Voglio lavorare con loro per prepararli alla vita".

E che vita è la sua?
"E' quella di uno che ha iniziato a lavorare in campagna, che s'impegna molto su tutti i fronti e oggi spera di dare qualcosa anche ai giovani. Sa, abbiamo delle regole anche per i loro genitori...".

Ci spieghi...
"Nei campionati dei più giovani, si verificano più frequentemente comportamenti deprecabili sugli spalti che in campo. Quando mamma e papà sbagliano, allora i calciatori vengono tenuti in panchina per tutta la stagione. Però continuano ad allenarsi".

Ma il suo che calcio è?
"E' il calcio di un ex stopper (ha giocato per anni in Seconda Categoria, ndr), che crede nel gioco maschio ma non è mai stato espulso. La correttezza può andare di pari passo con il gioco duro".

C'è spiritualità e  tackle scivolato nelle sue parole...
"Don Bosco parlava di ordine, armonia e pace. Ma ordine prima di tutto. Ed è un'impostazione che condivido. Così come San Benedetto che invitava a vivere ogni giorno con la preghiera ed il lavoro".

Da San Benedetto al "San Bartolomeo", il vostro stadio senza barriere. Funziona?
"Tornando alla partita contro la Casertana, c'erano centoventi tifosi ospiti. Beh, non tutti volevano pagare il biglietto. Ho chiesto al nostro capo steward, che ho voluto fosse una donna, di farli entrare, assumendone la responsabilità. Hanno seguito la partita con grande educazione. Per rispondere alla domanda: sì, funziona. Come funziona la scelta di giocare il sabato, perché la domenica si deve stare in famiglia".

E' un modello di calcio esportabile oltre i confini di Castel Rigone?

"Certo, basta volerlo. In Italia come in qualsiasi altro angolo del mondo. Il calcio di oggi è quello degli eccessi, a partire dal capitale che circola copioso in un momento di grave crisi economica. Il primo obiettivo dev'essere quello di dare un esempio ai ragazzi. Con i fatti più che con le parole. Poi il cambiamento arriverà, e lo si dovrà accettare".