Macché Gomorra: da Scampia una lezione di civiltà

Calcio

Ai funerali di Esposito non c’era una massa chiassosa e oleografica, ma una folla composta. E la mamma Antonella ha gridato, con immensa dignità, il no alla violenza. Il calcio e la ragione possono ripartire da questa immagine. Nel nome di Ciro

di Massimo Corcione

Nel nome di Ciro scende in strada un’altra Napoli. Da Scampia arriva una lezione di civiltà. Nessuno ha pensato mai che quello fosse solo il regno di Gomorra, anche se Gomorra esiste, lì come altrove. Ai funerali di Ciro Esposito non c’era una massa chiassosa e oleografica, ma una folla composta e attenta alle parole. Due su tutte: dignità e rispetto. Dignità è quella sempre ostentata in 53 giorni da Antonella la mamma del tifoso ucciso per una partita di calcio, anche se a chi ha sparato di quella partita non importava nulla. Non ha mai incoraggiato sentimenti di vendetta che la logica perversa del branco avrebbe subito raccolto.

Non si è battuta il petto, autoflagellandosi e invocando che le venisse restituito il figlio irrimediabilmente perduto. Ha chiesto, quasi preteso che morti come quella di Ciro non devono più accadere. Il suo no alla violenza, il suo grido valgono più di mille parole grondanti retorica ascoltate da quel tragico 3 maggio.

A una mamma come questa, alla sua domanda di pace si deve rispetto. Lo ha chiesto, parlando per lo sport, Giovanni Malagò, lo chiedono Napoli e l’Italia, stanche di combattere una guerra senza senso. Ciro a Roma era andato per partecipare a una festa, non a una battaglia. Da Roma non è più tornato. E’ tornato, un mese e venti giorni dopo il suo corpo, ricoperto dalle bandiere di cento squadre, non solo da quella del suo Napoli. Il calcio e la ragione possono ripartire da questa immagine. Nel nome di Ciro.