Il trionfo della Germania multietnica. E l'Italia insegue
CalcioI tedeschi campioni del Mondo sono, insieme alla Francia, la nazionale più internazionale. In Germania da 15 anni vale lo ius soli. In Italia Balotelli è diventato italiano a 18 anni
di Francesca Bonetti
L'Italia post mondiale si fa vecchie e nuove domande. Il 14° posto nel ranking Fifa in cui è appena scivolata la penisola pallonara è un'istantanea preoccupante.
Stadi vecchi, investimenti sbagliati, squadre con l'età media più alta d'Europa? Ma anche leggi anacronistiche che non aiutano i "nuovi" giovani: non solo nell'integrazione, ma anche nello sport professionistico.
E' appena uscito in libreria "Campioni d'Italia? Le seconde generazioni e lo sport" che racconta storie di integrazioni in ambito sportivo, da Balotelli a Okaka, a Ogbonna. Calciatori nati in Italia, ma stranieri per 'legge'. Perchè nel nostro Paese, chi nasce da entrambi i gentitori stranieri ha la loro stessa cittadinanza fino ai 18 anni.
La Germania neo campione del mondo, che cresce i giovani e li porta sul tetto del mondo, ha cambiato le regole, partendo dalle leggi sulla cittadinanza. E lo ha fatto 15 anni fa: dal gennaio del 2000 tutti i nati in Germania da genitori stranieri sono tedeschi. Questa apertura ha contruibuito a fornire alla Nazionale maggiore molti giovani: ghanesi, nigeriani, tunisini, ma a tutti gli effetti tedeschi. A vincere in Brasile erano sei i giocatori di 'nuova generazione': Khedira, Klose e Podolski, Ozil, Boateng e Mustafi.
Di seguito un breve estratto del libro, scritto a tre mani da Mohamed Abdalla Tailmoun, Mauro Valeri e Isaac Tesfaye.
Il riferimento alla Germania va spiegato, perché assai citato in ambito sportivo. Dopo aver avuto per decenni una norma sulla cittadinanza assai simile a quella italiana, basata prevalentemente sullo ius sanguinis, nel 1999 ha scelto di modificare il proprio approccio, introducendo un principio basato sullo ius soli: tutti i nati in Germania dopo il 1 gennaio 2000 da genitori stranieri, ricevono automaticamente la nazionalità tedesca se almeno uno dei genitori risiede regolarmente in Germania da otto anni e possiede un diritto di soggiorno o, possiede da almeno tre anni, un permesso di soggiorno illimitato.
La ricaduta sullo sport di questo nuovo approccio, è stata immediata: se ai Mondiali di calcio del 2006 la Germania aveva schierato tre giocatori di origine immigrata o mista, ai Mondiali del 2010, su 23 convocati i calciatori di seconda generazione erano undici, con ascendenze in paesi come Ghana, Nigeria, Polonia, Tunisia e Turchia. Il terzo posto ottenuto in quei Mondiali ha dato un nuovo forte impulso a questo processo (un po’ come era avvenuto dopo la vittoria della Francia black, blanc, beur ai Mondiali di calcio del 1998). D’altra parte, l’anno prima, a vincere il titolo di campione del mondo Under 17, era stata la Nazionale svizzera di calcio, che aveva in lista giocatori di ben dodici diverse origini. Insomma, sono diversi gli esempi sportivi che dimostrano che aprire alle seconde generazioni può avere effetti positivi anche sul piano sportivo. E l’Italia? Forse in molti hanno pensato di imitare la Germania (la Francia o la Svizzera) ricorrendo a presunte scorciatoie, utilizzando ad esempio gli oriundi. Ma gli oriundi, pur essendo italiani a tutti gli effetti, sono ben diversi dalle seconde generazioni, come ha giustamente osservato il tedesco Oliver Bierhoff, ex calciatore anche del Milan. A chi dall’Italia gli ricordava criticamente i convocati d’origine straniera nella nazionale tedesca ai Mondiali 2010, ha risposto:
"Sì, ma solo uno, Cacau, era un brasiliano naturalizzato a 28 anni. Gli altri erano tutti ragazzi nati qui o arrivati da bambini poi cresciuti da noi. Adesso voi provate con Motta, a Dortmund c’era Camoranesi. Giusto. A me non piace che una Nazionale diventi come un club, con troppi passaporti. La nostra integrazione è diversa, è una costruzione di squadra, non un ripiego.
Ha però ragione il sempre attento Franco Arturi che su “La Gazzetta dello Sport” del 22 novembre 2013 ha così risposto ad un lettore “autarchico”: "I problemi nel nostro Paese non sono un paio di oriundi nella nazionale di calcio, ma semmai migliaia di nuovi italiani Under 18, sprovvisti di nazionalità, che non possono esercitare un loro diritto: quello di fare sport e impegnarsi per le loro squadre e il loro nuovo Paese".
È indubbio che negli anni a venire la realtà sportiva sarà sempre più multietnica, perché è in questo senso che, pur se con storie differenti, si sono caratterizzati molti paesi europei...
L'Italia post mondiale si fa vecchie e nuove domande. Il 14° posto nel ranking Fifa in cui è appena scivolata la penisola pallonara è un'istantanea preoccupante.
Stadi vecchi, investimenti sbagliati, squadre con l'età media più alta d'Europa? Ma anche leggi anacronistiche che non aiutano i "nuovi" giovani: non solo nell'integrazione, ma anche nello sport professionistico.
E' appena uscito in libreria "Campioni d'Italia? Le seconde generazioni e lo sport" che racconta storie di integrazioni in ambito sportivo, da Balotelli a Okaka, a Ogbonna. Calciatori nati in Italia, ma stranieri per 'legge'. Perchè nel nostro Paese, chi nasce da entrambi i gentitori stranieri ha la loro stessa cittadinanza fino ai 18 anni.
La Germania neo campione del mondo, che cresce i giovani e li porta sul tetto del mondo, ha cambiato le regole, partendo dalle leggi sulla cittadinanza. E lo ha fatto 15 anni fa: dal gennaio del 2000 tutti i nati in Germania da genitori stranieri sono tedeschi. Questa apertura ha contruibuito a fornire alla Nazionale maggiore molti giovani: ghanesi, nigeriani, tunisini, ma a tutti gli effetti tedeschi. A vincere in Brasile erano sei i giocatori di 'nuova generazione': Khedira, Klose e Podolski, Ozil, Boateng e Mustafi.
Di seguito un breve estratto del libro, scritto a tre mani da Mohamed Abdalla Tailmoun, Mauro Valeri e Isaac Tesfaye.
Il riferimento alla Germania va spiegato, perché assai citato in ambito sportivo. Dopo aver avuto per decenni una norma sulla cittadinanza assai simile a quella italiana, basata prevalentemente sullo ius sanguinis, nel 1999 ha scelto di modificare il proprio approccio, introducendo un principio basato sullo ius soli: tutti i nati in Germania dopo il 1 gennaio 2000 da genitori stranieri, ricevono automaticamente la nazionalità tedesca se almeno uno dei genitori risiede regolarmente in Germania da otto anni e possiede un diritto di soggiorno o, possiede da almeno tre anni, un permesso di soggiorno illimitato.
La ricaduta sullo sport di questo nuovo approccio, è stata immediata: se ai Mondiali di calcio del 2006 la Germania aveva schierato tre giocatori di origine immigrata o mista, ai Mondiali del 2010, su 23 convocati i calciatori di seconda generazione erano undici, con ascendenze in paesi come Ghana, Nigeria, Polonia, Tunisia e Turchia. Il terzo posto ottenuto in quei Mondiali ha dato un nuovo forte impulso a questo processo (un po’ come era avvenuto dopo la vittoria della Francia black, blanc, beur ai Mondiali di calcio del 1998). D’altra parte, l’anno prima, a vincere il titolo di campione del mondo Under 17, era stata la Nazionale svizzera di calcio, che aveva in lista giocatori di ben dodici diverse origini. Insomma, sono diversi gli esempi sportivi che dimostrano che aprire alle seconde generazioni può avere effetti positivi anche sul piano sportivo. E l’Italia? Forse in molti hanno pensato di imitare la Germania (la Francia o la Svizzera) ricorrendo a presunte scorciatoie, utilizzando ad esempio gli oriundi. Ma gli oriundi, pur essendo italiani a tutti gli effetti, sono ben diversi dalle seconde generazioni, come ha giustamente osservato il tedesco Oliver Bierhoff, ex calciatore anche del Milan. A chi dall’Italia gli ricordava criticamente i convocati d’origine straniera nella nazionale tedesca ai Mondiali 2010, ha risposto:
"Sì, ma solo uno, Cacau, era un brasiliano naturalizzato a 28 anni. Gli altri erano tutti ragazzi nati qui o arrivati da bambini poi cresciuti da noi. Adesso voi provate con Motta, a Dortmund c’era Camoranesi. Giusto. A me non piace che una Nazionale diventi come un club, con troppi passaporti. La nostra integrazione è diversa, è una costruzione di squadra, non un ripiego.
Ha però ragione il sempre attento Franco Arturi che su “La Gazzetta dello Sport” del 22 novembre 2013 ha così risposto ad un lettore “autarchico”: "I problemi nel nostro Paese non sono un paio di oriundi nella nazionale di calcio, ma semmai migliaia di nuovi italiani Under 18, sprovvisti di nazionalità, che non possono esercitare un loro diritto: quello di fare sport e impegnarsi per le loro squadre e il loro nuovo Paese".
È indubbio che negli anni a venire la realtà sportiva sarà sempre più multietnica, perché è in questo senso che, pur se con storie differenti, si sono caratterizzati molti paesi europei...