LA GIOVANE ITALIA. Classe '64, nato a Treviso, una lunga gavetta nei settori giovanili e dalla scorsa estate alla guida del Pordenone in Lega Pro. "Qui per inseguire un grande sogno"
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Fare una chiacchierata con Bruno Tedino è un po’ come partecipare ad un corso intensivo di tattica e mentalità nel gioco del calcio. Un calcio evoluto, come lo si definisce oggi, dove il possesso non è fine a se stesso, dove il recupero del pallone è veloce e alto, ma dove sono soprattutto la sperimentazione e la disponibilità dei giocatori le componenti decisive per raggiungere l’obiettivo. Così descritta sembra una supercazzola, lo ammettiamo, ma invece è un serio invito per gli allenatori in erba a intraprendere un viaggio alla volta di Pordenone, dove Tedino, trevigiano di 51 anni, guida i neroverdi dalla scorsa estate: "Qui c'è un progetto a medio-lungo termine e parecchio stimolante. Mi sono sentito cercato e stimato dal presidente Lovisa, da subito. Cosa che è stata fondamentale nella mia scelta".
Una storia da calciatore chiusa a 22 anni per un problema fisico ed una da allenatore, di conseguenza, cominciata prestissimo e quasi per caso: “O per gioco – precisa Tedino - come capita a molti, partendo dai settori giovanili. Ne ho frequentati parecchi, e questa è stata la mia grande palestra fino all’opportunità avuta in C2 con il San Donà nel 1997. Avevo 32 anni".
Quelli che fanno la gavetta e quelli che, chiusa una buona carriera da giocatore, si ritrovano sulla panchina di club importanti: la categoria degli allenatori più o meno si divide così. “Non si può dire cosa sia meglio in termini di preparazione. Certo, chi avuto una vita da calciatore lunga e ad alti livelli conosce gli spogliatoi, i grandi giocatori e i grandi allenatori che magari sono stati i loro maestri. A me evidentemente non è andata così, ma sono convinto che sia necessario maturare un certo tipo di esperienza. Con i ragazzi ho imparato, ancora prima d’insegnare; c’è stata la possibilità di sbagliare e quindi di crescere, di acquisire un metodo di gioco e quindi migliorarlo nel tempo. Tutto ciò mi ha dato delle certezze, come la necessità di lavorare con i giovanissimi non solo sulla tattica collettiva ma anche su quella individuale. Vi assicuro che è roba rara nei vivai".
Probabilmente è anche uno dei fattori che tiene a distanza il nostro calcio da quello praticato in paesi (i soliti) come Inghilterra, Germania, Francia: "Noi abbiamo un solo centro federale, gli altri giusto qualcuno in più. Detto questo, e nonostante qualche progresso compiuto, bisogna fare di più. Oltre alla passione e alla volontà, i ragazzi devono sentirsi protagonisti. Per questo spero vengano create squadre B, magari da far partecipare alla Lega Pro, che possano favorire questo sviluppo”. E magari favorire anche la crescita di allenatori che hanno dato tanto e sono ancora alla ricerca del grande salto: "Ho scelto il Pordenone e credo nel Pordenone. Sarebbe bello centrare un traguardo importante con questa società. Fino a quando sentirò la fiducia dell’ambiente, non mi sposterò da qui".
"Sacchismo" e "Guardiolismo" le esperienze tattiche a cui Tedino guarda con interesse: "I moduli? E’ uno sport di movimento, per me conta lo sviluppo delle due fasi, come gestire quella di non possesso e giocare palla a terra. Sacchi ha cambiato il nostro calcio, Guardiola ha invece introdotto un nuovo concetto, quello del recupero della palla in 3-4 secondi. La ritengo la cosa migliore degli ultimi 15 anni. Lo ha fatto con atleti di grande talento, ma lo si può fare ad ogni livello. Io, ad esempio, ci provo con i miei calciatori. La grande fortuna è avere un gruppo di persone, staff compreso, molto disponibile. Ma c’è una lezione, valida dentro e fuori dal campo, che porto sempre con me come un incitamento costante: ‘Occhio, nella vita prima o poi arriva sempre qualcuno più bravo o più furbo’. E’ la lezione di mio padre".