STADIO METROPOLITANO DI BARRANQUILLA, COLOMBIA. "Un Ferragosto caliente è quello di Barranquilla nel 1993. Allo stadio Metropolitano la Colombia batte l’Argentina 2-1, gol di Igor Valenciano e di Adolfo “El Tren” Valencia, uno sciagurato cui il Trap al Bayern disse “tu pierna no habla sudamericano”. Ricordo la gara per il successivo ingorgo: un girone dantesco, migliaia di macchine ammassate, ore senza muoversi e altoparlanti che mandavano a nastro la radiocronaca dei due gol, scatenando ogni volta il rumoroso entusiasmo dei ragazzi che viaggiavano sui tetti dei pullman. Ma la storia colombiana è un’altra. Quell’estate la mia base era Bogotà, le partite si giocavano domenica e in settimana dovevo trovare delle storie. Una delle prime fu un viaggio a Tuluà, sulla Carretera Panamericana, città natale di Faustino Asprilla, all’epoca del Parma. Un mattino prendo l’aereo da Bogotà a Cali. Mi aspetta Raul, factotum del club dove Asprilla aveva iniziato. Due ore di auto e siamo allo zuccherificio di Tuluá dove incontro il padre di Tino. Non ci deve più lavorare, ma gli amici sono lì e ogni giorno va a pranzare con loro. Vedo il primo campetto, la vecchia casa, il ranch, i cavalli. Saluto a metà pomeriggio, ho il volo di rientro alle 21, sono comodo. Giunti a Cali alle 19, però, Raul non devia per l’aeroporto: “Il signor Sanchez, proprietario del club e dello zuccherificio, vuole conoscerla”. Quartiere Jardin, il più chic. Condominio di lusso, ultimo piano e attico. Guardie armate nell’atrio. Zuccherificio? Mah. Sanchez è un gioviale ragazzone. “Che onore averla qui”. Mi porta in una sala con gli ultimi due anni di Gazzetta. “La faccio venire ogni giorno da Miami”. Il tempo stringe, ma non voglio sembrare scortese. Lui mi legge nel pensiero: “Lasci stare l’aereo”. La terrazza domina Cali, paesaggio mozzafiato. Amici e amiche di Sanchez bevono champagne. C’è la moglie di Tino, donna coi suoi argomenti. “La cena verrà servita in veranda”. Inutile pensare al volo, mi farò indicare un hotel e tornerò a Bogotà domattina. La serata è dolce, si parla di calcio, il panorama è stupendo, lo champagne leggero. Noto appena che uno sgherro di Sanchez gli ha fatto un cenno. Lui si china al mio orecchio: “Si è fatto tardi”. Sono stralunato dall’incredulità (e un po’ dallo champagne, okay). Volata all’aeroporto. Mi aspetta uno steward con la carta d’imbarco. Raggiungo il gate alle 23 mentre l’interfono dice “imbarchiamo il volo per Bogotà scusandoci per il ritardo, dovuto a un problema tecnico”. La finezza è stata lasciare la gente al gate, se fossi entrato in un aereo carico da due ore mi avrebbero impiccato. Devo essere rosso come un peperone, ma nessuno mi sgama. In volo penso al potere assoluto di Sanchez. Il nome è inventato, la storia è vera. Zuccherificio? Mah"
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