"Nuovi Maradona", 10 argentini che sono stati paragonati al Diez
Alcuni per le loro movenze in campo, altri per la posizione o chi per le caratteristiche fisiche. È dal 1986 - il Mondiale della Mano de Dios e del Gol del secolo - che gli argentini sono alla ricerca di un erede del più grande di tutti. Ma quasi nessuno è riuscito a reggere il paragone
La Creazione di Adamo, cinquecento anni dopo. Maradona come Dio. Messi con lui. E ci sono anche Ortega e Riquelme, altri due che hanno ricevuto l'illustre investitura. Una versione calcistica (idea del Club Sportivo Pereyra, piccola società di Buenos Aires) della volta della Cappella Sistina di Michelangelo, e che lascia ben intendere quanto conti trovare un "nuovo Maradona" da quelle parti.
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ARIEL ORTEGA - Uno dei più celebri ad aver avuto onori e oneri del paragone più importante di tutti fu "el Burrito", l'asinello. Fisco simile, la maglia è quella albiceleste e il numero è lo stesso, diez, ovviamente. Il suo debutto nei Mondiali nel 1994 dando il cambio proprio a Maradona, che poi - da Ct - lo convocherà nel 2009 quasi sei anni dopo la sua ultima apparizione con la nazionale.
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In mezzo tanta qualità ma anche tanta fragilità e tanti eccessi. Inizia col River Plate e poi l'Europa: per lui anche due anni in Italia tra Samp e Parma (con cui vince una Supercoppa italiana). In patria vince sette campionati, ma con l'Argentina nei suoi tre Mondiali non va oltre i quarti, raggiunti nel 1998 e chiusi con una testata a Van Der Sar.
PABLO AIMAR - Anche lui fu allenato dal "dieci" per eccellenza nella Selección. Anche lui simile fisicamente (170cm per 65kg). E anche lui (come Ortega) partito dai rivali del River. Maradona disse di Aimar essere "l'unico calciatore per cui avrebbe pagato pur di vederlo giocare". Un attestato di stima che attirò anche il paragone scomodo per eccellenza.
Aimar non sfigurerà di certo nella sua carriera, pur senza "essere Maradona". In Europa col Valencia vincerà due volte la Liga e una Coppa Uefa, sfiorando anche una Champions League. Con la nazionale due i mondiali, chiusi ai gironi nel 2002 (con Ortega) e ai quarti nel 2006. Ma senza ripetere le gesta eroiche del 1986.
JUAN ROMAN RIQUELME - Nel Mondiale del 2006 Aimar vestiva la maglia numero 16. La diez era del "Mudo", anche nel soprannome diverso da Maradona. 182 centimetri di altezza e quel nomignolo per un carattere introverso non di certo simile a quello del Pibe. Eppure il parallelo c'era, anche perché il Boca, per Riquelme, costruì una statua nel suo museo. Precedenti illustri? Ovviamente Maradona.
Non solo, nell'ultima recita di sempre del Pibe prima del ritiro sarà proprio Riquelme a sostituirlo nel bel mezzo di un Superclásico. Da quel momento il numero 10 passerà sulla schiena del "Mudo" con Apertura e Clausura vinte immediatamente, e da protagonista. 3 le Libertadores. Col Villarreal sfiorerà invece una finale di Champions. Mentre con l'albiceleste solo un oro olimpico e un Mondiale U20
JAVIER SAVIOLA - Campione U20 lo fu anche "el Conejo", che i media locali per un certo periodo ribattezzarono addirittura "el pibito", con chiaro riferimento al Pibe. Il 2001 è l'anno del titolo di categoria e del passaggio dal River al Barça. La BBC lo presenta come l'ultimo dei "next Maradona". E lo stesso Diego lo elesse a suo erede: "È il più grande giocatore del momento, farà fortuna"
Ma proprio al Barcellona (capitolo del passato anche di Maradona) la fortuna non sarà tale. In tre anni gioca 105 partite senza trasformarsi nel fenomeno che tutti si aspettavano. Poi Monaco e Siviglia. Vestirà anche la maglia del Real (5 gol in 2 anni), ma senza giustificare gli investimenti di due dei club più gloriosi al mondo. Chiuderà al River la sua carriera passando anche da Verona.
MARCELO GALLARDO - È l'attuale allenatore del River, con cui ha vinto la Libertadores del 2018 battendo il Boca di Maradona nella finalissima. Anche lui fu a lungo profetizzato come erede del Pibe. L'inizio di carriera proprio nel River e poi il viaggio in Francia (col Monaco vincerà un campionato). Sei quelli invece in bacheca in Argentina. Ma senza mai ripetere le gesta del Diez in nazionale.
ANDRES D'ALESSANDRO - Nel 2002, quando ancora giocava (anche lui) nel River, fu nientemeno che lo stesso Maradona a dire: "È il giocatore che più mi assomiglia, l'unico che mi fa divertire guardando una partita di calcio". Eleganza, stile e qualità indubbie, più quella mossa che lo rese celebre, un autentico marchio di fabbrica: "la boba", la finta che "emboba" gli avversari, cioè li stordisce.
In realtà nel grande calcio D'Alessandro deluderà. Al Wolfsburg fallisce, al Portsmouth dura sei mesi (non senza perle di bravura), dunque si trasferisce al Zaragoza dove dura poco di più. Anche lui vince un oro olimpico e un Mondiale U20, ma senza mai rispettare quel paragone pesantissimo. Chiuderà la sua carriera tornando in Sudamerica tra Internacional e River.
LUCIANO GALLETTI - Tra i tanti "nuovi Maradona", per un breve periodo, ci fu anche lui. Classe 1980, in carriera vestì anche la maglia azzurra del Napoli: sei i mesi in quella che fu la casa di Maradona, 11 presenze e 2 gol in B. Attaccante prima e esterno di centrocampo poi. In carriera giocherà anche per Zaragoza e Atletico, chiudendo in Grecia ma siglando appena tre gol con l'albiceleste.
DIEGO BUONANOTTE - Gli appassionati di videogame - e in particolar modo della saga di Football Manager - si ricorderanno di questo "wonderkid" destinato a dominare il mondo del calcio. Piccolo di statura (161 cm), il salto in Europa con Malaga e Granada e un incidente d'auto nel 2009 dove tre amici persero la vita. E da quale farà fatica riprendersi.
Anche lui da giovanissimo fu inserito nella lista dei potenziali "nuovi Maradona" argentini. Senza successo. La sua carriera è proseguita in Sudamerica dopo una breve parentesi in Grecia. Oggi gioca nell'Universidad Católica in Cile.
CHORI DOMINGUEZ - Classe 1981, anche lui trequartista e anche lui classico numero 10. Partito dal River, in Russia prima (2 campionati) e Grecia poi (4 campionati) ha vinto tantissimo. Compresa una Coppa Uefa con lo Zenit. In nazionale? Poche presenze, appena tre gol e senza mai rispettare un paragone troppo grande per chiunque. O forse non per tutti?
LIONEL MESSI - Dulcis in fundo. L'unico capace di reggere il confronto. Il più forte? Quasi impossibile rispondere. Il giovane Leo in un match di Coppa del Re contro Getafe nel 2007 segnerà saltando mezza squadra come Maradona contro l'Inghilterra. Più tardi la rete di pugno contro l'Espanyol, citazione della Mano de Dios e di quella stessa partita del 1986.
Insieme - uno da CT e l'altro col dieci sulle spalle - hanno vissuto il Mondiale 2010, chiuso senza gol per Leo e con la corsa finita ai quarti. Messi quella Coppa l'ha sfiorata nel 2014 in Brasile, a cui si aggiungono le finali perse in Copa America: la gloria solo quasi raggiunta là dove Maradona aveva vinto. Ma per Leo potrebbe ancora non essere troppo tardi per trionfare con la sua nazionale