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Re, Principe, Conti... I migliori calciatori romani della Serie A

Calcio

Vanni Spinella

Ci sono quelli che hanno legato per sempre il proprio nome a Roma o Lazio e quelli che, sbocciati nella Capitale, si sono poi affermati altrove. In ogni caso, la storia dimostra che il cordone ombelicale con la città di Roma è difficile da tagliare

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Una città, la Capitale, due anime: Roma e Lazio, derby infinito che dà vita a una delle rivalità più accese d'Italia. Una città che da sempre, poi, sforna campioni: alcuni, quelli che restano, sono destinati a diventare immortali; altri partono ma non sono mai dimenticati; altri ancora vanno e vengono, magari indossando entrambe le maglie. Abbiamo ristretto il campo dagli Anni Ottanta a oggi: questi sono i 20 migliori giocatori che la città di Roma ci ha regalato.

20) Stefano Desideri

Centrocampista centrale, nella seconda metà degli Anni Ottanta gioca nella Roma accanto a Giannini fornendo anche un buon contributo di gol grazie al potente tiro dalla distanza. Con la maglia giallorossa vince due Coppe Italia, lasciando il segno in quella della stagione 1985-86 con un gol su rigore in finale contro la Sampdoria. Dopo 6 stagioni in giallorosso, la cessione all’Inter, dove il feeling con gli allenatori (Orrico e poi Suarez) è scarso e le prestazioni non all’altezza. Riparte da Udine, dove gioca come libero con in panchina Bigon e il suo ex allenatore ai tempi dell’Under21, Vicini; in tutto saranno 5 le stagioni in bianconero, dove indossa anche la fascia di capitano. La prima (1992-1993) è quella in cui, con un gol all’ultima giornata proprio contro la Roma, regala all’Udinese la possibilità di giocarsi lo spareggio-salvezza, poi vinto, contro il Brescia.

19) Marco Nappi

Palla incollata sul naso e via, era capace di percorrere così anche metà campo, prima che un avversario indispettito lo stendesse per arrestarlo. Quel “trucchetto” gli valse il soprannome di “Foca monaca” e ancora oggi lo rende un mito dei primi Anni Novanta. Attaccante rapido e sgusciante, “Nippo” Nappi cresce nella Lazio ma è con il Genoa che si fa conoscere, contribuendo alla promozione in Serie A dei rossoblu a suon di gol (stagione 1988-89). Poi il Brescia, un importante biennio alla Fiorentina, dove un suo gol contro il Werder Brema porta i viola in finale di Coppa Uefa (poi persa contro la Juventus, nel 1990), Udinese e Spal, prima di rientrare nella sua amata Genova e farsi apprezzare anche a Bergamo.

18) David Di Michele

Nato in provincia di Roma nel 1976, cresce nella storica Lodigiani e approda al Foggia, in Serie B, a vent’anni. Esordio in A con la Salernitana, poi Udinese, Reggina, Palermo, Torino, Lecce, Chievo, all’estero il West Ham. Portando ovunque fantasia e gol, realizzati grazie a un’ottima tecnica, combinata con velocità, dribbling e capacità di adattarsi a qualsiasi modulo, giocando praticamente in tutte le posizioni dell’attacco. Non si è fatto mancare persino una capatina tra i pali, quando al termine di un epico Lecce-Udinese (finito 4-5), dopo aver segnato una doppietta per i bianconeri si infilò i guanti al posto di Handanovic, espulso, parando anche un rigore a Vucinic. Fine carriera con ritorno nella sua città, giocando per una stagione in LegaPro alla Lupa Roma.

17) Roberto Muzzi

Giovanili della Roma, poi la prima squadra: lascerà i giallorossi nel 1994, per tornarci solo da allenatore del settore giovanile, quindici anni dopo. Attaccante classe ’71, le sue stagioni migliori al Cagliari (è nella Hall of Fame del club sardo), poi Udinese e anche un biennio alla Lazio (2003-2005), dove vince la seconda Coppa Italia, 13 anni dopo la prima conquistata con la maglia della Roma, e segna un importante gol-salvezza (che ai tifosi romanisti non va proprio giù) nella seconda stagione. Passa al Torino, e ancora la sua storia si intreccia con quella giallorossa. Suo, infatti, il gol che regala un’altra salvezza, stavolta al Toro, nella stagione 2006-2007: 0-1 all’Olimpico contro la Roma. Chiude la carriera al Padova, la Roma lo richiama per allenare gli Esordienti e non mancano le polemiche dei tifosi che non dimenticano il suo passato e quegli “sgarbi” (“Non vogliamo laziali con i nostri ragazzini”). Resta nello staff giallorosso fino al 2015, poi un ex-compagno ai tempi della Roma, Stramaccioni, lo vuole con sé come vice al Panathinaikos.

16) Daniele Conti

Figlio d’arte che ha scelto di diventare bandiera lontano da Roma, sposando la causa del Cagliari e restando fedele al rossoblu per 464 partite, impreziosite da 51 gol. Centrocampista con buona visione di gioco, agiva soprattutto davanti alla difesa ma sapeva rendersi pericoloso anche nell’area avversaria con i suoi inserimenti o calciando le punizioni. Esordio in Serie A nel 1996, a 17 anni, con la maglia della Roma, il club in cui è cresciuto e in cui papà Bruno ha scritto pagine di storia; nel 1998, alla prima da titolare, arriva anche il primo gol, festeggiato sotto la Curva Sud con tanta foga da costargli l’espulsione. Sarà il Cagliari, però, l’amore della sua vita: ci arriva nell’estate 1999, lo lascerà da capitano 16 anni dopo con un addio al calcio emozionante davanti al suo pubblico e al papà.

15) Fabio Grosso

A Roma ci nasce soltanto, il 28 novembre del 1977, ma in pochi lo sanno: per tutti, infatti, la sua regione è l’Abruzzo, con l’infanzia trascorsa tra la provincia di Chieti e Pescara. Qui cresce anche calcisticamente, iniziando come trequartista e finendo da terzino sinistro campione del mondo, lasciando più di una firma sul Mondiale 2006, deciso dal suo rigore in finale contro la Francia e prima ancora da quello conquistato contro l’Australia e dal gol (“il gol di Grosso”) nella semifinale con la Germania. Un eroe nazionale, insomma, più che regionale. In Serie A con Perugia, Palermo, Inter e Juventus; una parentesi anche al Lione, tra i “nemici” francesi. Roma-città l’ha visto nascere; e poi tornare per la festa al Circo Massimo.

14) Lionello Manfredonia

Sia Lazio che Roma in carriera: con una spruzzata di Juventus nel mezzo. Classe ’56, nasce libero e diventa mediano, crescendo nelle giovanili della Lazio e trascorrendo in biancoceleste 10 stagioni, tra cui quelle in B post-scandalo calcioscommesse, in cui viene coinvolto in prima persona; squalifica, condono dopo la vittoria dell’Italia al Mondiale 1982, rientro in campo e, dopo 234 gare con la maglia della Lazio, il passaggio alla Juventus. Qui vince scudetto e Intercontinentale, prima di tornare nella Capitale, ma alla Roma, altra scelta che i tifosi della Lazio non gli perdonano. La sua carriera si chiude il 30 dicembre 1989, dopo un arresto cardiaco in campo, quando durante una partita contro il Bologna si accascia a terra e l’ex compagno ai tempi della Lazio, Bruno Giordano, è tra i primi a prestargli soccorso. Dramma sfiorato e addio al calcio giocato a 33 anni.

13) Luigi Di Biagio

Creatura di Zeman, che ne fa il perno del centrocampo nel Foggia e se lo ritrova poi alla Roma, dove gioca dal 1995 al 1999. La Serie A, a dir la verità, l’aveva già assaggiata, con un’unica presenza, nel giugno del 1989… con la maglia della Lazio. Scaricato dai biancocelesti, si fa notare in B con il Monza e da lì inizia la carriera che lo porterà a vestire anche l’azzurro della Nazionale e la maglia dell’Inter in A (4 stagioni). Centrocampista centrale con spiccata personalità e grande carisma; ottime geometrie, gran tiro dalla distanza, lancio lungo e preciso con cui pescava i compagni, forte di testa (specie negli inserimenti in zona-gol) e propensione all’interdizione che a fine carriera gli permise di trasformarsi anche in difensore centrale. La gamba tirata indietro mai, ecco spiegate le 12 espulsioni in Serie A (solo Montero più di lui).

12) Marco Di Vaio

Prodotto del vivaio biancoceleste, Zoff è tra i primi a intravederne le qualità e ad aggregarlo alla prima squadra ancora diciassettenne, nel 1993, accanto a gente come Signori, Boksic, Casiraghi. Nella Lazio giocherà effettivamente solo per una stagione (1994-1995: 8 presenze e 3 gol in campionato), prima di iniziare un giro d’Italia e d’Europa che lo porterà a vestire le maglie di Verona, Bari, Salernitana, Parma, Juventus, Valencia, Monaco, Genoa, Bologna. Ad ogni tappa, tanti gol e una crescita costante che ne fanno uno dei migliori attaccanti italiani a inizio Anni Duemila, capace di farsi apprezzare anche nel suo finale di carriera, da giocatore ormai maturo, al Bologna (66 gol in 4 stagioni), club in cui è tornato da dirigente dopo l’esperienza in Canada, nella MLS.

11) Angelo Di Livio

“Soldatino” di fascia a cui era difficile rinunciare per il modo in cui interpretava il ruolo, con enorme generosità e spirito di sacrificio. Al servizio dei compagni, sempre. Da Baggio a Vialli, da Ravanelli a Del Piero nella Juventus, la squadra con cui spende i migliori anni della sua carriera vincendo gli scudetti della prima era Lippi, la Champions e l’Intercontinentale del 1996, oltre a Coppa Italia, Supercoppa europea e due Supercoppe italiane. Nel 1999 passa ai “nemici” della Fiorentina, ma impiega poco a conquistare anche i tifosi viola con le stesse armi che ne avevano fatto un idolo bianconero: 6 stagioni, compresa quella in C2 con successiva rinascita viola, e un’altra Coppa Italia. Cresciuto nel settore giovanile della Roma (con cui vince un Torneo di Viareggio), in giallorosso non ha mai esordito in prima squadra.

10) Giuseppe Giannini

Quindici stagioni con la maglia giallorossa incollata addosso ne fanno per tutti “er Principe”, soprannome che si guadagnò grazie all’eleganza con cui dirigeva l’orchestra in mezzo al campo. Testa alta e fascia al braccio: è lo storico capitano della Roma di fine Anni Ottanta-inizio Novanta, un classe ’64 nato – naturalmente – a Roma e che con le giovanili del club giallorosso cresce e muove i primi passi. In prima squadra non raccoglie molto a livello di successi, assistendo da diciottenne alla conquista dello scudetto nel 1983 (non scende mai in campo: nella stagione precedente, invece, ha esordito in A con una mezz’ora contro il Cesena), vincendo tre Coppe Italia (solo due da protagonista) e sfiorando soltanto la Coppa Uefa (doppia finale persa contro l’Inter nel 1991). Tutta Italia, però, lo ricorda come uno degli sfortunati, ma ancora amatissimi, eroi delle “Notti Magiche” del Mondiale 1990, che a livello personale lui impreziosì con il gol, bello e decisivo, agli Stati Uniti. Peccato per la mancata chiusura di carriera in giallorosso: dopo 437 partite con la stessa maglia, gli screzi con la dirigenza del club lo portarono al divorzio, con le ultime stagioni da giocatore spese tra Sturm Graz, Napoli e Lecce.

9) Bruno Giordano

Centravanti di qualità fedele alla causa laziale per 10 anni, segnando oltre 100 reti (suo il record, 18, nelle coppe nazionali con la maglia della Lazio) e laureandosi capocannoniere nel 1979. Dribbling, fantasia, tiro secco e preciso: romano di Trastevere, esordisce in A a 19 anni, in Sampdoria-Lazio 0-1, segnando il gol decisivo al 90° su passaggio di Chinaglia. Chiamatela investitura, se volete. Con la Lazio vive la Serie B (è tra i giocatori coinvolti nello scandalo calcioscommesse del 1980), nel 1985 l’approdo al Napoli, dove va a costituire la MaGiCa con Maradona e Careca, vincendo scudetto e Coppa Italia nel 1987.

8) Mauro Tassotti

Terzino da filastrocca, di quelle che si recitano quando una squadra entra nella storia del calcio; a lui succede con il Milan di Sacchi, in cui è l’insostituibile polmone di destra, una sorta di Djalma Santos che nella imperforabile linea a 4 rossonera si esalta anche con le sue avanzate. Cresce ed esordisce in A nella Lazio, approda nel Milan nella prima delle due stagioni in B (1980-81), resta rossonero e viene ripagato con una cascata di trofei collezionati dal 1988 in poi: vince scudetti (5), solleva Champions (3), Intercontinentali (2), Supercoppe italiane (4) ed europee (3). Ritiratosi dal calcio giocato, ne vede alzare tante altre, da vice di Ancelotti sulla panchina rossonera, club che ha salutato nel luglio 2016 dopo 36 anni.

7) Francesco Graziani

Per tutti “Ciccio”, da Subiaco, ha legato il proprio nome al Torino, club in cui ha trascorso 8 stagioni scrivendo la storia in coppia con il “gemello” Pulici. Attaccante generoso, abilissimo di testa, capocannoniere della Serie A nel 1977. Nella stagione prima, 1975/76, sempre con il Toro, era stato tra i grandi protagonisti dello scudetto. Dopo 122 gol in granata (in 289 presenze), nel 1981 il passaggio alla Fiorentina (dove sfiorò un altro scudetto) e, dopo due stagioni in viola, quello alla Roma, con cui vinse due Coppe Italia ma collezionò le più grandi delusioni della sua carriera: lo scudetto del 1986 perso contro un Lecce già retrocesso (titolo alla Juventus) e la finale di Coppa dei Campioni del 1984, contro il Liverpool, marchiata anche dal suo errore dal dischetto, nella serie finale. Con la maglia della Nazionale, da titolare, il Mondiale del 1982.

6) Agostino Di Bartolomei

“Core de Roma”, tra i giocatori più amati dal popolo giallorosso, grazie a una carriera iniziata nel settore giovanile della Roma e proseguita nel club fino al 1984, anno in cui passa al Milan dopo oltre 300 presenze con la sua squadra del cuore e uno storico scudetto nel 1983. Libero o centrocampista schierato davanti alla difesa, aveva visione di gioco e un’intelligenza tattica superiore alla norma con cui riusciva a far girare la squadra. Senza dimenticare il lancio per i compagni o il potente tiro, con cui trovava spesso il gol dalla distanza, su punizione o su rigore (calciati quasi da fermo). Capitano schivo e silenzioso, muore suicida il 30 maggio 1994, dieci anni esatti dopo la finale di Coppa dei Campioni persa contro il Liverpool.

5) Paolo Di Canio

Nato a Roma, cresciuto nella Lazio, club in cui trascorre due spezzoni di carriera: da giovanissimo (1987-1990) esordendo anche in A e da giocatore ormai maturo (2004-2006), tornando 36enne nella sua città dopo un importante giro d’Italia (Juventus, Napoli, Milan) e d’Europa (il Celtic prima della grande parentesi in Premier). Due fasi in biancoceleste, ognuna contraddistinta da uno storico gol nel derby: il 15 gennaio 1989, appena ventenne, firma l’1-0 decisivo e lo festeggia sotto la Curva giallorossa, immagine che si ripete 16 anni dopo, il 6 gennaio 2005 (quando il derby finisce 3-1 per la Lazio). Classe innata e un temperamento che ne hanno fatto un giocatore amatissimo anche in Inghilterra, Paese che riconosce al volo i giocatori che danno tutto per la maglia e che ne sa perdonare anche gli eccessi. Non è un caso che la sua esperienza in Premier (tra Sheffield Wednesday, West Ham e Charlton) sia ricordata soprattutto con tre immagini, che sono la sintesi perfetta del personaggio: la spinta all’arbitro Allcock (con la maglia dello Sheffield) e poi, con gli Hammers, lo spettacolare gol al volo contro il Wimbledon e la redenzione con l’atto di fair-play (pallone fermato con le mani anziché segnare di fronte al portiere avversario infortunato) nella gara contro il Wimbledon.

4) Daniele De Rossi

Capitan Futuro per tutta l’era Totti, capitan presente oggi, con il traguardo delle 500 gare in giallorosso ampiamente superato e la diciassettesima stagione di fedeltà alla causa in corso. Nasce a Ostia tifoso della Roma, club in cui il padre Alberto fa l’allenatore della Primavera: lui approda nel settore giovanile a 16 anni e a 18 esordisce in Champions League prima ancora che in Serie A. Da lì una scalata che lo porta a diventare un insostituibile (solo Zeman lo accantona per un certo periodo) nell’undici giallorosso, perno del centrocampo e leader della squadra grazie a carisma e personalità fuori dal comune, venute fuori anche nella sua ultima apparizione in Nazionale (con cui ha vinto il Mondiale 2006), con il rifiuto di entrare in campo contro la Svezia, quando a suo avviso sarebbe stato più utile inserire il compagno Insigne. Non sono mancate le tentazioni, con Real Madrid, Manchester United e Inter che gli hanno fatto la corte a più riprese: è rimasto fedele alla Roma, e i tifosi queste cose le apprezzano.

3) Bruno Conti

Una vita alla Roma, o meglio, per la Roma: lui, originario di Nettuno (cittadina del baseball in provincia di Roma), nel club giallorosso parte dalle giovanili, spende quasi tutta la sua carriera da giocatore (a parte due campionati, 1975-76 e 1978-79, in prestito al Genoa, in Serie B), resta in qualità di dirigente una volta appesi gli scarpini. Quello sinistro, in particolare, ne fa uno dei migliori giocatori che non solo Roma, ma tutta l’Italia possa vantare, con il picco del Mondiale 1982 dove lui è semplicemente “MaraZico”: per Pelé è il miglior giocatore del torneo, lui a suon di dribbling, serpentine, finte e assist trascina gli Azzurri alla vittoria finale. L’anno dopo fa altrettanto con la Roma, vincendo uno storico scudetto da protagonista assoluto e facendo della maglia numero 7 giallorossa il suo simbolo. Ala imprendibile, tecnica superiore, fedeltà alla maglia: inutile sottolineare quanto sia amato a Roma. Al calcio, poi, ha regalato anche due eredi, con i figli Daniele e Andrea che hanno seguito le sue orme intraprendendo la carriera da calciatori.

2) Alessandro Nesta

Bandiera della Lazio, finché i problemi economici del club non ne “imposero” la cessione al Milan, affare che fece contenti tutti tranne i tifosi laziali. Nesta diventò colonna rossonera per un decennio vincendo tutto (due scudetti, due Champions, un Mondiale per Club, due Supercoppe italiane e due europee) e ampliando una bacheca personale già comunque significativa: con la Lazio più forte degli ultimi decenni aveva già vinto scudetto 1999-2000, Coppa delle Coppe e Supercoppa europea 1999, due Coppe Italia e due Supercoppe italiane. Meno fortunato in Nazionale: risulta tra gli eroi mondiali del 2006, torneo che per lui, causa infortunio, finì però alla fase a gironi. Stessa sorte gli era capitata nel 1998 e nel 2002. Inutile soffermarsi sulla grandezza del giocatore: tecnico ed elegante, tatticamente intelligente, veloce e forte di testa. Il classico elemento che fa reparto da solo. Ai romantici del calcio resta il rimpianto di non averlo visto per tutta la carriera con un’unica maglia, quella della squadra in cui era cresciuto sfidando, fin dalle giovanili, il coetaneo Totti.

1) Francesco Totti

Un addio al calcio giocato da pelle d’oca, anche per chi non tifa Roma ma semplicemente ama il calcio. Il 28 maggio 2017 l’Olimpico in lacrime saluta il suo Capitano, che legge una dichiarazione d’amore nei confronti di quella che è stata più di una squadra: una fede, un amore mai tradito nonostante a tentarlo siano state in tante, negli anni. Allo stesso modo lui, per il club, sarà per sempre più di un semplice giocatore. Leggenda, bandiera, simbolo: chiamatelo come volete, per lui parlano numeri e record. Venticinque stagioni con un’unica maglia, classe allo stato puro e una longevità fuori dal comune, vista la capacità di essere decisivo anche a 40 anni. Inutile dilungarsi sui record che ha riscritto, molto più affascinante cercare di capire come abbia cambiato il calcio con le sue giocate, le invenzioni, la capacità di giocare in qualsiasi ruolo dell’attacco diventando persino un centravanti da Scarpa d’Oro (26 gol nel 2006-2007), lui che nasce trequartista e con Zeman gioca da esterno nel tridente. Picco della sua carriera in giallorosso, lo scudetto nel 2001 che, come dice lui, “ne vale 10 nel resto d’Italia”.