Maldini: ''Vorrei chiudere con un ultimo trofeo''

Calcio
Paolo Maldini, ultima stagione in serie A
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INTERVISTA esclusiva al capitano del Milan che a 'I signori del calcio' ha raccontato emozioni e sensazioni dei suoi ultimi mesi con la maglia rossonera

Pochi mesi ancora e poi calerà il sipario su una delle ultime bandiere del calcio italiano ed Europeo. Paolo Maldini vuole godersi fino alla fine gli odori e i sapori di una stagione che lo consegnerà alla storia come uno dei più grandi e titolati campioni di sempre. A "I signori del calcio", il difensore rossonero ha voluto raccontare sensazioni ed emozioni dell'ultimo campionato da giocare con la maglia del Milan.

Hai mai pensato che saresti diventato un "signore del calcio"?
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La mia speranza era quella di riuscire un giorno ad essere in Serie A, poi tutto quello che è capitato è andato al di là delle mie aspettative".

Ti senti più difensore centrale o più terzino sulla fascia?
"Dipende dal momento della mia carriera. Nella parte corposa della mia carriera mi sono sempre sentito a mio agio come difensore laterale; all’inizio e alla fine della carriera, il centrale era assolutamente il mio ruolo".

Quali sono le caratteristiche per essere un difensore vincente?
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Devi essere sempre attento, avere delle caratteristiche fisiche da atleta vero, perché incontri attaccanti che possono sovrastarti e devi giocare con astuzia". 

Avevi degli idoli quando hai iniziato?
"Mi piaceva molto la Juventus di quel tempo, che era in pratica la Nazionale che aveva partecipato al Mondiale del ’78. Paolo Rossi, Cabrini e Bettega erano i giocatori che più mi piacevano".

Silvio Berlusconi, il 21esimo Presidente del Milan: cos’è cambiato con il suo arrivo?
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Sono cambiati gli obiettivi: eravamo un'ottima squadra che lottava per entrare in Coppa Uefa. Con Berlusconi gli obiettivi sono diventati un pochino più grandi: ci aveva detto che potevamo diventare la squadra più forte al mondo e ha fatto investimenti su giocatori importanti. Credo che abbia cambiato la mentalità di un club e del calcio".

Qual è stata la tua rete più importante?
"Non saprei, forse quella in finale di Champions League, contro il Liverpool, anche se poi abbiamo perso ai rigori".

Il calcio è un divertimento, come diceva Liedholm, o un lavoro, come diceva Sacchi?
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Per me è un divertimento, non posso considerare il calcio un lavoro. Se fosse un lavoro, avrei già smesso da qualche anno e, siccome è un divertimento, fatto nella maniera seria, mi diverto ancora come un ragazzino".

Con la Nazionale Italiana hai stabilito il record di presenze (126), segnato 7 gol, vinto un bronzo, un argento a USA '94, nel 2000 sei stato vice campione d'Europa: hai un rammarico?
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Mi è mancata la vittoria, però magari quello non era il momento per vincere. Abbiamo avuto tante occasioni, ma i rigori ci hanno quasi sempre visto sconfitti".

Nel 2002, dopo i Mondiali, hai deciso di ritirarti dalla Nazionale.
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Non è stata una decisione presa dopo i Mondiali, ma molto prima. L'avevo già detto all'allenatore, all'ambiente, anche perché avevo già 34 anni e, dopo 15 anni di Nazionale, avevo la necessità di tirare il fiato".

Che rapporto avevi con Capello?
"Un rapporto molto schietto, credo di reciproca stima. Abbiamo vinto il Campionato più volte e anche la Champions League. Siamo stati invincibili per parecchio tempo, abbiamo ancora il record di partite in Campionato senza sconfitta, credo 58, però abbiamo perso due finali di Champions su tre e l'intercontinentale a Tokio".

La tua amicizia con Vieri è nata nello scontro che ti è costato il setto nasale?
"No, è nata prima, perché siamo stati compagni in Nazionale. Lui giocava nell'Inter e ci siamo frequentati a Milano. Quella è stata una cosa non voluta e, quando sono uscito dal Pronto Soccorso, lui era fuori ad aspettarmi, era dispiaciutissimo".

Nel Milan sei diventato capitano raccogliendo l’eredità di Franco Baresi.
"La cosa strana è che sono diventato prima capitano della Nazionale e dopo del Milan. Comunque, l'ho accolta come una successione bella, piacevole, mi è piaciuto avere più responsabilità. Ero già vicino ai 30 anni e, quindi, mi sentivo maturo e pronto per prendere quell'eredità".

Com'è stato il primo arrivo di Sheva al Milan?
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Lui è arrivato già da campione, l'investimento era stato notevole da parte del club. Ha fatto nel Milan quello che ha sempre fatto, cioè gol. E' stato uno degli acquisti più azzeccati in assoluto".

Cosa pensi adesso del suo rientro?
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Penso che l'abbia voluto con tutte le sue forze, ha fatto tutto lui in prima persona, ha parlato chiaramente, ha detto che voleva venire a tutti i costi. E anche questa è stata una sua vittoria, una sua conquista".

Con il ritorno di Sheva, di Borriello e l'arrivo di Ronaldinho, credi si  possa parlare di un nuovo corso al Milan?
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Credo che non si sia mai spenta la stella del Milan: ci sono anni migliori e anni peggiori, ma ancora oggi siamo i campioni del mondo in carica. Bisogna cogliere le occasioni al volo, soprattutto quando si tratta di giocatori importanti, perché ormai la concorrenza di squadre inglesi e spagnole è diventata quasi insuperabile per le italiane".

Chi è stato l'attaccante che, nel corso degli anni, ti ha messo più in difficoltà?
"Credo che il migliore in assoluto sia stato Maradona. Anche Ronaldo, nei primi due anni di Inter, era veramente fenomenale".

L'era Ancelotti è iniziata nel 2002/2003: in quel momento dove hai trovato le motivazioni?
Nella bellezza di questo gioco, nella passione che ho per questo sport. A 35 anni credo di aver fatto la mia migliore stagione, mi sono sentito veramente un ragazzino e, probabilmente, anche il fatto di aver lasciato la Nazionale, aver avuto minor impegni e più possibilità di allenarmi, mi ha aiutato.

In Champions avete superato l'Inter in una doppia sfida, andata e ritorno.
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Sono stati 6 giorni veramente intensi, che ci hanno tolto ogni tipo di forza, ma che fortunatamente ci hanno visto vincitori. Non è bello giocare una partita così importante contro la squadra della tua città".

Qual è il derby che ricordi con maggiore affetto?
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Quello di Champions è stato il più intenso, mi è sembrato lungo 6 giorni".

28 maggio 2003, Juventus-Milan: la vittoria più bella?
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Bella fra tutte quelle belle. Era da 9 anni che non vincevamo quella competizione, avevamo una gran voglia di arrivare sul tetto d'Europa. È stata veramente dura"

Istanbul: la sconfitta più dolorosa?
"Sì, perché è la meno meritata. E' stato un vero peccato perché in una serata normale non avremmo mai perso. Ogni volta, dopo una sconfitta, se si ascolta l’opinione pubblica bisogna cambiare tutto, rifondare. Noi siamo ben attaccati alle nostre radici e questo ci ha portato ad essere la squadra che più ha vinto nel mondo negli ultimi anni".

Nel 2003 eri il lizza per il Pallone d'Oro e sei arrivato terzo, come nel 1994, ma tutti credevano che avresti vinto tu. Com'è andata?
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Sono arrivato terzo, poi di più non posso dire. Non baratterei mai la vittoria del Pallone d'Oro con la vittoria della finale, non lo farei mai, assolutamente, perché io gioco per vincere qualcosa per la squadra, non per vincere dei premi personali".

Negli anni hai mai pensato di cambiare squadra o hai mai ricevuto un'offerta che ti abbia fatto pensare a questa possibilità?
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No, ho sempre pensato che ci dovessero essere tre componenti: la mia volontà, la volontà della società e quella dell'allenatore. E queste non sono mai mancate".

Cosa vorresti dare ancora a questa squadra prima di ritirarti?
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Vorrei giocare con continuità l'ultimo anno, riuscire a vincere il Campionato e riuscire a divertirmi. E per divertirmi, deve essere un anno positivo. Ma, al di là di tutto, non posso avere nessun tipo di rimpianto, anche se non dovesse arrivare nessun titolo quest'anno".

In un'intervista hai detto che in futuro vorresti dimostrare ancora la tua appartenenza a questa società. In che modo?
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Per quello che riguarda il futuro c'è un grosso punto di domanda, perché sar° in altre vesti, non più da calciatore. Non sempre chi è stato un grande calciatore può essere un grande dirigente. Sono apertissimo a qualsiasi proposta e anche a cambiare completamente lavoro. Vediamo quello che il futuro mi riserverà".

Ti sei mai immaginato come sarà San Siro quando entrerai per l'ultima volta da giocatore?
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Ci sono stato molto vicino perché il mio rinnovo non era poi così automatico come tutti pensavano. Lo sarà sicuramente quest'anno e il mio sogno è quello di giocare la mia ultima partita, magari di Campionato, qui a San Siro, giocarmi qualcosa di importante o festeggiare una vittoria. Però, la mia ultima partita la vedo come una partita ufficiale e non di addio".

A giugno smetterai: potrebbe farti cambiare idea qualcosa?
"No, assolutamente no".

Cosa vorresti lasciare in eredità?
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Tanti titoli, rispetto da parte dell’ambiante, da parte dei calciatori, delle persone che lavorano qui, che fanno parte della mia famiglia, perché ho passato 25 anni tra casa, Milanello e sede".

Quale sarà il tuo pensiero nell'ultimo minuto dell'ultima partita?
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Che ormai è finita un'avventura lunghissima, che è iniziata quando ero giovanissimo e che, calcisticamente parlando, è finita da vecchissimo, perché finire a 40 anni è veramente incredibile. Penserò alla grande fortuna che ho avuto ad aver trovato tutto nella mia città, nel mio club, nel club dove anche mio padre ha alzato come me la Coppa Campioni, dove mio figlio sta giocando nelle giovanili, penserò che sono stato un uomo molto fortunato".