"Valgo 100 milioni? Troppi se penso a chi è in difficoltà"

Calcio
Kakà lascia le sue impronte nella Hall of Fame dello stadio Maracanà di Rio de Janeiro. (Ansa 14 ottobre 2008)
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Il fuoriclasse del Milan Kakà si confessa ai ''Signori del calcio'', l'approfondimento in onda venerdì alle 23 su SKY Sport 1: "Se penso alla crisi e al crollo delle banche mi accorgo che la mia valutazione è esagerata". LEGGI L'INTERVISTA INTEGRALE

Domani, venerdì 17 ottobre, su Sky Sport 1 alle ore 23.00, torna “I Signori del calcio”, l’approfondimento di un’ora dedicato ai più grandi calciatori ancora in attività. Protagonista di questa puntata il brasiliano del Milan, Kakà.

- Quando hai iniziato a pensare di poter diventare un “Signore del calcio”?
Dopo la conquista della Champions League. Quello è stato il momento in cui potevo diventare un “Signore del calcio” e rimanere veramente nella storia del calcio.

- Come si diventa un “signore del calcio”?
Vincendo. L’unica possibilità per diventare un “Signore del calcio” è quella di essere un vincente, fare parte ed essere protagonista di una squadra vincente.

- Ti ricordi il tuo primo incontro con il pallone?

Ho cominciato a giocare a pallone quando avevo otto anni, a scuola. Per me era un divertimento e, anche se adesso è diventato il mio lavoro, è ancora un divertimento. Il primo pallone me l’ha regalato mia nonna, me lo ricordo come se fosse oggi.

- Sei sempre stato il più bravo a giocare?

Ho avuto un problema fisico quando avevo tra i 10 e i 12 anni. Avevo un ritardo di due anni nella mia età ossea, quindi quando avevo 14 anni di età, avevo il fisico di uno di 12. Ho avuto questo problema fino all’età di 15-16 anni. E’ stato un momento difficile della mia vita e della mia carriera, ho dovuto avere tanta pazienza, ho vissuto dei brutti momenti che però mi hanno fatto imparare tanto. In quel periodo, non ero sicuramente il più bravo della squadra.

- Bisogna essere vincenti anche in questi momenti per superare i problemi?
Sì, bisogna essere vincenti anche lì, perché devi avere sempre la perseveranza, devi avere la fede, la forza di credere che il sogno può diventare realtà. E’ stato un periodo della mia vita in cui ho imparato molte cose, è stato un momento difficile però è molto bello per me, oggi, sapere di essere riuscito a superare quel problema.

- Qual era il giocatore più forte, quando eri bambino?
Mi ricordo che nella squadra del San Paolo più avanti rispetto a noi, c’erano ragazzi che giocavano già nelle Nazionali Under 17, anche se poi pochi di questi sono diventati grandi giocatori professionisti. Guardando quei ragazzi, pensavo un giorno di poter vestire anch’io la maglia della Nazionale.

- Com’è avvenuto l’incontro tra Kakà e il San Paolo?
Prima giocavo nella scuola, poi ci siamo spostati e siamo andati a vivere in una zona di San Paolo dove c’era lo stadio. Mio padre è diventato socio del club e da lì è cominciata la mia esperienza con il San Paolo. Andavo a scuola al mattino e poi passavo tutto il giorno a giocare nel club e a stare con i miei amici.

- Sei sempre stato un giocatore d’attacco?

Il mio primo ruolo era quello di attaccante puro. Poi, per via del mio problema fisico, per cui ero molto piccolo rispetto ai miei compagni, il mio allenatore mi disse che per me era molto difficile giocare come attaccante e quindi mi spostò un po’ più dietro. Decisi di provare e da lì nacque il Kakà trequartista.

- Poi è arrivato un Presidente (Berlusconi, ndr) che ha detto: “No, Kakà è un attaccante”.
Sì, adesso sono due anni che gioco anche come attaccante, anche se ultimamente sono tornato trequartista. Diciamo che sono abituato a sacrificarmi per la squadra.

- Il momento più bello di Kakà al San Paolo qual è stato?
Quando abbiamo vinto il torneo di San Paolo. Abbiamo vinto la Finale 2-1, sono entrato a metà del secondo tempo e ho fatto i due gol.

- A quel punto, però, non ti sentivi ancora un “signore del calcio”?
No, era solo da tre mesi che giocavo con la prima squadra del San Paolo, dove ho vissuto dei momenti molto belli, anche quando sono andato a fare il Mondiale del 2002 giocavo lì, quindi tengo molto a questa squadra.

- Sul Mondiale del 2002.
Faccio parte di quella squadra vincente. Io mi considero un vincente del Mondiale e questo è pesantissimo nella carriera di un calciatore. Tanti vogliono giocare un Mondiale, fare parte di una Nazionale, io ho avuto l’esperienza di vincere un Mondiale con la Nazionale brasiliana. Sono molto contento e spero di poterne giocare altri, come vincente.

- A quel punto chi era il tuo idolo?
Nel 2002 Ronaldo era il giocatore che seguivo di più. Poi, davanti avevamo una squadra molto forte con Ronaldinho, Rivaldo e Ronaldo. Io sono sempre stato un appassionato di Ronaldo, per tutto quello che ha fatto e che ha vinto col Brasile, però anche Rivaldo fece un grandissimo Mondiale. Ronaldinho aveva solo 22 anni, ma anche lui è stato decisivo per noi.

- Nel 2003 il tuo arrivo al Milan: com’è nato questo feeling?
Dopo che ho giocato con Leonardo. Ho giocato con lui sei mesi, quando è tornato a giocare in Brasile, nel San Paolo. E lì lui ha cominciato a parlarmi del Milan, della squadra, della società, del club. E da quello che mi raccontava, mi sono detto: “Sarebbe da provare questa squadra”. Poi lui è andato via, nel Flamengo, poi è tornato in Italia. Allora è cominciato un rapporto maggiore con lui, mi chiamava, mi diceva alcune cose della società, cosa stava succedendo, finchè si è trovata la possibilità di venire al Milan.

- Ci racconti il momento esatto in cui hai deciso di venire al Milan?

Leonardo è andato in Brasile per fare la trattativa. Era agosto, Galliani era in vacanza e c’era Braida che cercava di aiutarlo. Si è creata un po’ una difficoltà perché il San Paolo non voleva vendermi per 8 milioni e mezzo, però il Presidente mi ha detto: “Questa è l’offerta che abbiamo. Se tu vuoi andare via, devi lasciare quello che ti spetterebbe prendere di diritto dalla società per la cessione”. Io gli ho risposto: “Presidente, questa è l’opportunità della mia vita. A me i soldi non servono, voglio sfruttare questa possibilità, andare a vivere in Europa, in Italia, giocare in una squadra come il Milan”. Lui mi ha risposto: “A questo punto non ti posso più tenere qui. Poi mi ha lasciato andare, ha firmato il contratto di vendita e da lì è cominciata la mia storia con il Milan”.

- Qual era la percentuale sulla cessione?

Il 15% era la percentuale che avrei dovuto prendere dalla mia vendita, però l’ho lasciata perché per me, in quel momento, era più importante andare via.

- Sono tanti soldi, però, il 15% di 8 milioni di euro…
Sì, poi per uno che sta cominciando ancora di più, però, mi sono sempre detto: “Questo per me è un divertimento, giocare a calcio è la mia passione. Prima lo prendo come una passione e come un divertimento, e se poi lo farò così bene, sarò pagato per questo. Poi è diventato anche un lavoro”.

- Adesso il tuo cartellino vale 100 milioni di euro. Cosa pensi di questa valutazione?
E’ molto bello sapere che uno ha offerto questa cifra per me, anche se devo dire che è un po’ esagerato, nel periodo che stiamo attraversando oggi, in cui si vede un mondo in crisi, banche che crollano. Però, per me, sarebbe un’ipocrisia dire che non è una cosa bella.

- Hai rifiutato le offerte di Real Madrid e Chelsea? Come si fa a rifiutare l’offerta di società così importanti?
La passione, il divertimento e il sentimento vengono prima dei soldi e prima di tutto. Io sono molto legato al Milan. Le offerte ci sono per me come per tutti i giocatori, perchè il mercato è aperto e tutti possono fare le offerte, ma io sono molto legato al Milan. Il giorno che andrò via da qui sarà perché i miei obiettivi non saranno gli stessi della società. Finchè avremo gli stessi obiettivi, non saranno i soldi a portarmi via.

- Quanto hai pensato al Real Madrid e quanto al Chelsea?
Il Real Madrid è una squadra importantissima in tutto il mondo e anche il Chelsea ha costruito una squadra vincente. Io credo nel Milan, mi piace l’Italia, il campionato italiano. Ogni tanto penso a che cosa potrei avere se andassi al Real o al Chelsea però questo è un pensiero che passa subito perché mi viene in mente quando abbiamo vinto la Champions League, il Mondiale per Club e a come riesco ad esprimermi qui in Italia, nel Milan. E i pensieri di andarmene vanno via subito.

- Il gol a cui sei più affezionato con la maglia del Milan?
Quello al Manchester Utd, il secondo gol all’Old Trafford in semifinale di Champions. E’ un gol che mi piace tanto perché era molto importante e poi per come è stato fatto.

- Ti ricordi il tuo esordio ad Ancona?
Una partita indimenticabile, anche per tutto quello che è successo, la doppietta di Sheva, il suo secondo gol, a cui ho partecipato anch’io, insieme a Cafu. E’ stato molto bello, esordire nel campionato italiano in quella maniera, vincendo, e poi quell’anno abbiamo vinto anche lo Scudetto.

- Nel 2007 tanti successi, tra cui il Pallone d’Oro

E’ uno dei premi più belli in assoluto che uno può vincere nel calcio. L’ho vinto nel 2007, è stato un anno particolarmente bello per me, per tutte le vittorie, per tutti i premi che sono riuscito a vincere. Questo, in assoluto, insieme al Fifa World Player, è il più bello e il più importante. Il 2007 è stato un anno straordinario perché abbiamo vinto la Champions League, la Supercoppa, il Mondiale per Club in Giappone e poi tutti i premi individuali, però, tutti i premi individuali vengono grazie ai successi ottenuti con la squadra. Se non avessimo vinto la Champions League, sicuramente non avrei vinto il Pallone d’Oro. Sono sicuro di questo e quindi ringrazio tutti i miei compagni. Europea

- Quanti ‘Pallone d’Oro’ pensi di poter vincere?

Spero di poter tornare a Parigi e di vincerne altri. Non so dire un numero esatto. Il prossimo Pallone d’Oro spero sempre di poterlo vincere. Poi, dopo che avrò vinto il secondo, penserò al terzo e così via. Penso veramente di poter tornare a Parigi. Dipende tanto da quello che faccio con la mia squadra e da quello che riusciremo a portare a casa come vittorie.

- Anche quando hai vinto il Pallone d’Oro, hai alzato le braccia al cielo per ringraziare Dio?

Io sono molto legato alla fede e alla Bibbia. Io sono un cristiano evangelico e a me piace tantissimo. I miei valori sono quelli che vengono dalla Bibbia, la leggo tantissimo e cerco di seguire quello che dice. Sono molto legato e tutte le volte che faccio gol e alzo le braccia al cielo, è semplicemente per ringraziare Dio di poter fare una cosa che mi diverte, che per me è una passione, che riesco a fare bene, per l’opportunità che mi ha dato, per il talento.

- Perché questo legame così forte?

I miei genitori mi hanno insegnato fin da bambino l’educazione alla Bibbia. Poi, col tempo, sono cresciuto e ho cominciato anch’io a vivere le mie esperienze con Dio e oggi non riesco più a vivere senza pregare, senza leggere la Bibbia e senza vivere questo rapporto personale con Dio. E’ una cosa molto mia. E poi cerco di trasmetterla a tutti quelli che ne hanno bisogno.

- Molti rimangono un po’ stupiti quando scoprono che tu sei arrivato vergine al matrimonio. Non è un po’ riduttivo parlare sempre di questa storia?
Suona strano, perché oggi è molto difficile che una persona riesca a fare questo, ma io non ho nessun problema a parlarne perché è un valore mio, una cosa a cui tenevo insieme a mia moglie, e credo che il risultato sia quello di avere una famiglia bella, un rapporto particolare con mia moglie e con mio figlio. Abbiamo fatto un’offerta a Dio di quello che siamo riusciti a fare fino al matrimonio.

- Tuo figlio Luca quanto ti ha cambiato la vita?
Tantissimo, è una cosa molto bella, una gioia. Ogni volta che mi viene in mente che è a casa e che quando torno c’è lui, è una cosa veramente speciale. Poi, vederlo quando ride e quando comincia ad interagire un po’ di più con me e con mia moglie è divertente. Mi ha cambiato la vita, prima tutto girava intorno a me e mia moglie, facevamo le cose all’improvviso. Oggi, invece, dobbiamo pensare sempre prima a lui, quando dobbiamo decidere delle cose da fare, prima dobbiamo pensare a Luca.

- Se un giorno tuo figlio ti dicesse: “Papà, voglio diventare un calciatore”. Cosa gli diresti?
Lo sosterrò in tutto quello che vorrà fare, entro certi limiti ed entro i nostri valori. Se lui vorrà fare il calciatore, va bene. Se poi vorrà studiare e fare l’ingegnere come il nonno andrà bene lo stesso. Non lo forzerò a diventare un calciatore e non voglio che lo diventi a tutti i costi.

- C’è un film che ti carica particolarmente?
A me piacciono film come “Il gladiatore” e “300”, mi caricano tantissimo. Se dovessi vedere un film prima di una partita sarebbe “300”.

- Ti senti un po’ un calciatore ‘epico’?

Mi piace la lotta, il sacrificio, il gruppo, l’unione, quando in un esercito, durante una guerra, bisogna stare insieme. A me ovviamente non piacciono le guerre, sto facendo solo un paragone per dire che il sacrificio che uno fa in campo per la sua squadra e per il bene di tutti è importante.

- Ci vuole sempre un comandante?

Sì, è fondamentale avere una voce di comando che ti dia la dritta giusta da seguire, quello fa sì che la squadra possa diventare sempre più forte e sapere dove sta camminando.

- Ancelotti che comandante è?

Ancelotti è uno molto bravo, perchè sa gestire un gruppo forte, fatto di molti campioni. Oltre che essere un bravo allenatore tatticamente, uno per lavorare in una grande squadra come il Milan deve saper gestire il carattere dei giocatori. E lui lo fa benissimo.