Sì è spento nella notte dopo una lunga malattia l'ex centrocampista di Nazionale, ma soprattutto bandiera del Bologna degli anni '70. A darne l'annuncio è stata la stessa società emiliana sul proprio sito internet. Aveva 68 anni
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Giacomo Bulgarelli è morto ieri sera a 68 anni dopo una lunga malattia. Lo ha reso noto questa mattina il Bologna sul proprio sito internet. "Tutto il Bologna Fc 1909, presidente, dirigenti, tecnici, giocatori e dipendenti si stringe alla famiglia nel ricordo di Giacomo, la più grande bandiera rossoblu"', si legge sul sito. Campione del Bologna e della Nazionale negli anni '60 e '70, è morto in una casa di cura di Bologna, Villa Nigrisoli, per una malattia che lo tormentava da tempo. Avrebbe compiuto 69 anni il prossimo ottobre. Nel calcio di quegli anni dire Bulgarelli era come dire Bologna perché nessuno ha vestito tante volte come lui, 486, quella maglia rossoblù che non si è mai tolto dall'esordio all'addio al calcio e perché per molti anni aveva anche la fascia da capitano. Ma dire Bulgarelli faceva (e per i meno giovani fa) anche pensare subito a Mazzola e Rivera, gli altri due talenti che fecero la storia di quel periodo (anche loro sempre Inter e Milan) e che con lui giocarono in azzurro.
Le statistiche ricordano quelle 486 partite ufficiali (392 in serie A, con 43 gol), le sue 27 gare in nazionale (sette reti), soprattutto quell'unico scudetto vinto nel 1964 all'Olimpico nello spareggio contro l'Inter con la squadra "che giocava come in paradiso", pilotata da Fulvio Bernardini, ma non possono ricordare che Bulgarelli per la Bologna del calcio è stato per molto tempo un simbolo, qualcosa di intoccabile come le Due Torri. La sua guida in campo era come una piacevole abitudine. Quando la squadra si schierava a centrocampo, arrivava puntuale la voce dal megafono del vecchio capotifoso Gino Villani (uno che in tutta la vita non gridò un insulto e non lanciò neppure una palla di carta) dalla torre di Maratona: "Onorevole Giacomino, salute!". Lui rispondeva alzando il braccio e a quel punto si poteva cominciare a giocare.
Da Bologna non si mosse mai, anche quando la squadra a fine anni '60 cominciò a declinare e le offerte dei grandi club furono ripetute. Soprattutto quelle del Milan che con Rivera avrebbe riprodotto la coppia che Bulgarelli aveva fatto con Helmuth Haller in rossoblù. Lui pochi anni fa ci ha scherzato su: "Una volta mi ero anche convinto, il contratto era praticamente fatto, ma fu mia moglie a dire: 'Andar via da qui per vivere a Milano? Non ci penso neppure. E' lei la bandiera del Bologna".
Ma alla città era evidentemente affezionato molto. Tanto da tornarci sempre dopo un paio di tentativi non fortunati in ruoli dirigenziali in altre società e di restarci anche quando cominciò con successo la carriera di commentatore televisivo. Tanto da non gradire nella campagna elettorale per le amministrative una battuta di Cofferati: "Ha parlato di una città triste. Ma si è guardato allo specchio?". L'estate scorsa, quando il Bologna giocò la partita decisiva per tornare in serie A, Bulgarelli, gia' molto malato, era al 'Dall'Ara'.
In controtendenza con i calciatori di quegli anni, veniva da una famiglia della agiata borghesia ed era uno dei pochi ad aver frequentato e finito il liceo. Nel privato e cattolico 'San Luigi', dove passava e passa molta della gioventù bene di Bologna. Mancava di velocità, avrebbe probabilmente faticato molto nel calcio e nel pressing di oggi, ma tecnicamente era quasi perfetto. Soprattutto aveva tanta intelligenza calcistica. Capiva in anticipo dove sarebbe arrivato il pallone e lo sapeva giocare come pochi, facendo girare la squadra e coprendo la difesa. Insomma il più classico dei registi che aveva l'intuito per arrivare a fare anche qualche gol. In due partite, con Nielsen infortunato, Bernardini lo fece giocare da centravanti puro. E pur non avendo elevazione e colpo di testa, gli ultimi due campionati in serie A li giocò da libero dietro la difesa. L'ultima partita la fece nel maggio 1975 contro l'Ascoli. Aveva debuttato nell'aprile 1959 col Vicenza.
Storico scudetto a parte, ha vinto poco (due Coppe Italia, una Coppa di lega italo-inglese) e in Nazionale non fu fortunato. Debuttò alla grande (due gol) nei Mondiale del Cile del '62 ma in un inutile 3-1 alla Svizzera con gli azzurri già eliminati e soprattutto fu coinvolto nel disastro-Corea del '66 in Inghilterra. In panchina c'era Mondino Fabbri che del suo regista non voleva assolutamente fare a meno e che lo mandò in campo nella decisiva partita con gli asiatici nonostante un precedente infortunio. Bulgarelli obbedì, provò a fare la sua parte, ma un'entrata robusta gli costò un ginocchio. Italia in dieci (le sostituzioni sarebbero arrivate molti anni dopo), tanti gol sbagliati e vittoria della Corea del Nord con rete del poi famoso Pak Do Ik. Un'onta per il calcio italiano che pesò tanto su Fabbri ma anche su molti di quelli che erano in campo. Ma non a Bologna dove molti di quelli che hanno più di 50 anni recitano ancora a memoria la formazione di quella squadra di Bernardini. Cominciava con William Negri e finiva con Ezio Pascutti. A farla giocare 'da paradiso' ci pensava, soprattutto, Giacomo Bulgarelli
Giacomo Bulgarelli è morto ieri sera a 68 anni dopo una lunga malattia. Lo ha reso noto questa mattina il Bologna sul proprio sito internet. "Tutto il Bologna Fc 1909, presidente, dirigenti, tecnici, giocatori e dipendenti si stringe alla famiglia nel ricordo di Giacomo, la più grande bandiera rossoblu"', si legge sul sito. Campione del Bologna e della Nazionale negli anni '60 e '70, è morto in una casa di cura di Bologna, Villa Nigrisoli, per una malattia che lo tormentava da tempo. Avrebbe compiuto 69 anni il prossimo ottobre. Nel calcio di quegli anni dire Bulgarelli era come dire Bologna perché nessuno ha vestito tante volte come lui, 486, quella maglia rossoblù che non si è mai tolto dall'esordio all'addio al calcio e perché per molti anni aveva anche la fascia da capitano. Ma dire Bulgarelli faceva (e per i meno giovani fa) anche pensare subito a Mazzola e Rivera, gli altri due talenti che fecero la storia di quel periodo (anche loro sempre Inter e Milan) e che con lui giocarono in azzurro.
Le statistiche ricordano quelle 486 partite ufficiali (392 in serie A, con 43 gol), le sue 27 gare in nazionale (sette reti), soprattutto quell'unico scudetto vinto nel 1964 all'Olimpico nello spareggio contro l'Inter con la squadra "che giocava come in paradiso", pilotata da Fulvio Bernardini, ma non possono ricordare che Bulgarelli per la Bologna del calcio è stato per molto tempo un simbolo, qualcosa di intoccabile come le Due Torri. La sua guida in campo era come una piacevole abitudine. Quando la squadra si schierava a centrocampo, arrivava puntuale la voce dal megafono del vecchio capotifoso Gino Villani (uno che in tutta la vita non gridò un insulto e non lanciò neppure una palla di carta) dalla torre di Maratona: "Onorevole Giacomino, salute!". Lui rispondeva alzando il braccio e a quel punto si poteva cominciare a giocare.
Da Bologna non si mosse mai, anche quando la squadra a fine anni '60 cominciò a declinare e le offerte dei grandi club furono ripetute. Soprattutto quelle del Milan che con Rivera avrebbe riprodotto la coppia che Bulgarelli aveva fatto con Helmuth Haller in rossoblù. Lui pochi anni fa ci ha scherzato su: "Una volta mi ero anche convinto, il contratto era praticamente fatto, ma fu mia moglie a dire: 'Andar via da qui per vivere a Milano? Non ci penso neppure. E' lei la bandiera del Bologna".
Ma alla città era evidentemente affezionato molto. Tanto da tornarci sempre dopo un paio di tentativi non fortunati in ruoli dirigenziali in altre società e di restarci anche quando cominciò con successo la carriera di commentatore televisivo. Tanto da non gradire nella campagna elettorale per le amministrative una battuta di Cofferati: "Ha parlato di una città triste. Ma si è guardato allo specchio?". L'estate scorsa, quando il Bologna giocò la partita decisiva per tornare in serie A, Bulgarelli, gia' molto malato, era al 'Dall'Ara'.
In controtendenza con i calciatori di quegli anni, veniva da una famiglia della agiata borghesia ed era uno dei pochi ad aver frequentato e finito il liceo. Nel privato e cattolico 'San Luigi', dove passava e passa molta della gioventù bene di Bologna. Mancava di velocità, avrebbe probabilmente faticato molto nel calcio e nel pressing di oggi, ma tecnicamente era quasi perfetto. Soprattutto aveva tanta intelligenza calcistica. Capiva in anticipo dove sarebbe arrivato il pallone e lo sapeva giocare come pochi, facendo girare la squadra e coprendo la difesa. Insomma il più classico dei registi che aveva l'intuito per arrivare a fare anche qualche gol. In due partite, con Nielsen infortunato, Bernardini lo fece giocare da centravanti puro. E pur non avendo elevazione e colpo di testa, gli ultimi due campionati in serie A li giocò da libero dietro la difesa. L'ultima partita la fece nel maggio 1975 contro l'Ascoli. Aveva debuttato nell'aprile 1959 col Vicenza.
Storico scudetto a parte, ha vinto poco (due Coppe Italia, una Coppa di lega italo-inglese) e in Nazionale non fu fortunato. Debuttò alla grande (due gol) nei Mondiale del Cile del '62 ma in un inutile 3-1 alla Svizzera con gli azzurri già eliminati e soprattutto fu coinvolto nel disastro-Corea del '66 in Inghilterra. In panchina c'era Mondino Fabbri che del suo regista non voleva assolutamente fare a meno e che lo mandò in campo nella decisiva partita con gli asiatici nonostante un precedente infortunio. Bulgarelli obbedì, provò a fare la sua parte, ma un'entrata robusta gli costò un ginocchio. Italia in dieci (le sostituzioni sarebbero arrivate molti anni dopo), tanti gol sbagliati e vittoria della Corea del Nord con rete del poi famoso Pak Do Ik. Un'onta per il calcio italiano che pesò tanto su Fabbri ma anche su molti di quelli che erano in campo. Ma non a Bologna dove molti di quelli che hanno più di 50 anni recitano ancora a memoria la formazione di quella squadra di Bernardini. Cominciava con William Negri e finiva con Ezio Pascutti. A farla giocare 'da paradiso' ci pensava, soprattutto, Giacomo Bulgarelli