Tricolore numero 17 matematicamente sulle maglie dei nerazzurri dopo il tracollo dei "cugini" a Udine per 2-1. Dopo i tre scudetti consecutivi dell'era Mancini, José Mourinho regala un altro sorriso a Moratti. GUARDA IL VIDEO
I nerazzurri festeggiano il 17° titolo senza giocare grazie alla vittoria dell'Udinese sul Milan. La squadra nerazzurra ha passato la serata ad Appiano Gentile assistendo alla sfida di Udine ed esultando davanti alla tv. Subito festeggiamenti in piazza del Duomo, a Milano. Domenica sera grande festa a San Siro in occasione del posticipo con il Siena.
Un titolo, il "titulo". Lo scudetto di Mourinho, quello numero 17 che non porta più sfiga, perché pareggia i conti in bacheca col Milan. Vinto davanti alla tv, in differita e senza spettacolo per garantire un po' di spezzatino in più proprio a quelle ingorde delle televisioni.
Inter, Inter, Inter, tre volte negli ultimi tre anni e poi ce ne aggiungiamo un altro a tavolino per il dominio post-Moggi, con tanti rivali soltanto virtuali. Dalla Supercoppa vinta ai rigori con la Roma (e addio giallorossi) il 24 agosto, a Udinese-Milan con i nerazzurri sul divano, e Mourinho pure ("ma solo perché in ritiro non abbiamo niente altro da fare"), dieci mesi di cavalcata trionfale.
Almeno in Italia. La differenza è tutta relativa: se le avversarie restano a "zero tituli", a Mourinho ne basta uno per vendere il 2008/09 come annata quasi perfetta: "Non è facile vincere subito al primo anno. Noi allenatori abbiamo bisogno di tempo. Se riesco ad arrivare in Inghilterra e vincere subito, in Italia ed essere campione alla prima stagione, sono felice e mi mancano ancora 20 anni minimo per provare a farlo pure in Spagna...".
Perché lui non è speciale, come esageravano in Inghilterra, ma nemmeno è un "pirla", come disse lui alla presentazione in italiano. Era giugno, l'inizio di tutto, fedele a quel che è stato poi: protagonisti annunciati e confermati. Lo scudetto di Mourinho e Ibrahimovic, amore vicendevole senza remore. Il tecnico fa le formazioni contando dieci più Ibra, l'attaccante ripaga con "la mia migliore stagione".
Regge su un asse personalistico l'anno nerazzurro. Vincono loro, pur senza gli acquisti "fondamentali" di Mou, Quaresma e Mancini. Uno scaraventato in Inghilterra a gennaio, l'altro scomparso in panchina. Vincono loro, Ibra e Mou, pur sulle montagne russe del recuperato (forse) Adriano.
Vince l'Inter, facendo ballare una volta il Milan e una volta la Juve. Si accapigliavano, le pretendenti fasulle al trono. Mai stato in discussione, quello. Il treno dei risultati ha sempre travolto tutto: sette vittorie (amichevoli comprese) e un pareggio fino alla sconfitta nel derby, quello del gol di Ronaldinho. E poi 11 vittorie e 3 pareggi - in serie A - fino al secondo stop, quello "più brutto" (parola di Mourinho) contro l'Atalanta, il 18 gennaio. Ma lì il campionato era già spezzato, le rincorse restavano tra chiacchiere degli inseguitori senza mai intaccare davvero l'impero di punti di distacco che l'Inter aveva in classifica.
La storia del "titulo" inteso al singolare nasce così: la Champions sparisce dopo un girone sprecato e un ottavo contro il Manchester United. La Coppa Italia in un 3-0 a Marassi dalla Samp nella semifinale d'andata. Mourinho ne esce mediaticamente più o meno bene, anche se è in linea con la tabella di marcia dell'esonerato Mancini. Il portoghese conta titoli su titoli, ma sono quelli dei giornali. E aggiorna le polemiche al momento sportivo: ad inizio stagione si trascina il battibecco con Ranieri, nella seconda parte del campionato sceglie Ancelotti. Dopo aver irritato i colleghi tutti accusandoli di farsi fare la formazione da altri.
Intanto lui si fa perdonare gli acquisti rimangiati (Mancini e Quaresma, si diceva) e s'inventa la linea verde: Balotelli e Santon. Niente di nuovo a Milano, il primo in particolare era stato lanciato da Mancini. Ma Mou detta i tempi della crescita, tentando al contempo di proteggere i suoi "bambini" dai risvolti della notorietà.
Non fila via liscia la stagione nerazzurra, mai. Un po' per il pepe che lo stesso allenatore si diverte a sparpagliare, un po' per restare fedeli al motto: "Pazza Inter". Appunto. Dopo l'eliminazione dalla Champions scoppia la grana Ibrahimovic. Il mal di pancia diventa una metafora di mercato. In italiano non risponde ai giornalisti, all'estero manda segnali facilmente equivocabili. Vuole andar via? A scudetto appena vinto, non v'è certezza. Se non Moratti che continua a ribadire: "Ibra ci sarà". Ma lo diceva pure per Ronaldo...
Il futuro non c'è ancora, anche se ha un tema obbligatorio: l'anno prossimo Champions, c'è poco da fare. Perché lo scudetto è bello, pure se in differita, però è il quarto negli ultimi quattro anni. E Mourinho, che pirla non è, sa che la noia appartiene pure ai vincenti. Un "titulo" non basta più.
Un titolo, il "titulo". Lo scudetto di Mourinho, quello numero 17 che non porta più sfiga, perché pareggia i conti in bacheca col Milan. Vinto davanti alla tv, in differita e senza spettacolo per garantire un po' di spezzatino in più proprio a quelle ingorde delle televisioni.
Inter, Inter, Inter, tre volte negli ultimi tre anni e poi ce ne aggiungiamo un altro a tavolino per il dominio post-Moggi, con tanti rivali soltanto virtuali. Dalla Supercoppa vinta ai rigori con la Roma (e addio giallorossi) il 24 agosto, a Udinese-Milan con i nerazzurri sul divano, e Mourinho pure ("ma solo perché in ritiro non abbiamo niente altro da fare"), dieci mesi di cavalcata trionfale.
Almeno in Italia. La differenza è tutta relativa: se le avversarie restano a "zero tituli", a Mourinho ne basta uno per vendere il 2008/09 come annata quasi perfetta: "Non è facile vincere subito al primo anno. Noi allenatori abbiamo bisogno di tempo. Se riesco ad arrivare in Inghilterra e vincere subito, in Italia ed essere campione alla prima stagione, sono felice e mi mancano ancora 20 anni minimo per provare a farlo pure in Spagna...".
Perché lui non è speciale, come esageravano in Inghilterra, ma nemmeno è un "pirla", come disse lui alla presentazione in italiano. Era giugno, l'inizio di tutto, fedele a quel che è stato poi: protagonisti annunciati e confermati. Lo scudetto di Mourinho e Ibrahimovic, amore vicendevole senza remore. Il tecnico fa le formazioni contando dieci più Ibra, l'attaccante ripaga con "la mia migliore stagione".
Regge su un asse personalistico l'anno nerazzurro. Vincono loro, pur senza gli acquisti "fondamentali" di Mou, Quaresma e Mancini. Uno scaraventato in Inghilterra a gennaio, l'altro scomparso in panchina. Vincono loro, Ibra e Mou, pur sulle montagne russe del recuperato (forse) Adriano.
Vince l'Inter, facendo ballare una volta il Milan e una volta la Juve. Si accapigliavano, le pretendenti fasulle al trono. Mai stato in discussione, quello. Il treno dei risultati ha sempre travolto tutto: sette vittorie (amichevoli comprese) e un pareggio fino alla sconfitta nel derby, quello del gol di Ronaldinho. E poi 11 vittorie e 3 pareggi - in serie A - fino al secondo stop, quello "più brutto" (parola di Mourinho) contro l'Atalanta, il 18 gennaio. Ma lì il campionato era già spezzato, le rincorse restavano tra chiacchiere degli inseguitori senza mai intaccare davvero l'impero di punti di distacco che l'Inter aveva in classifica.
La storia del "titulo" inteso al singolare nasce così: la Champions sparisce dopo un girone sprecato e un ottavo contro il Manchester United. La Coppa Italia in un 3-0 a Marassi dalla Samp nella semifinale d'andata. Mourinho ne esce mediaticamente più o meno bene, anche se è in linea con la tabella di marcia dell'esonerato Mancini. Il portoghese conta titoli su titoli, ma sono quelli dei giornali. E aggiorna le polemiche al momento sportivo: ad inizio stagione si trascina il battibecco con Ranieri, nella seconda parte del campionato sceglie Ancelotti. Dopo aver irritato i colleghi tutti accusandoli di farsi fare la formazione da altri.
Intanto lui si fa perdonare gli acquisti rimangiati (Mancini e Quaresma, si diceva) e s'inventa la linea verde: Balotelli e Santon. Niente di nuovo a Milano, il primo in particolare era stato lanciato da Mancini. Ma Mou detta i tempi della crescita, tentando al contempo di proteggere i suoi "bambini" dai risvolti della notorietà.
Non fila via liscia la stagione nerazzurra, mai. Un po' per il pepe che lo stesso allenatore si diverte a sparpagliare, un po' per restare fedeli al motto: "Pazza Inter". Appunto. Dopo l'eliminazione dalla Champions scoppia la grana Ibrahimovic. Il mal di pancia diventa una metafora di mercato. In italiano non risponde ai giornalisti, all'estero manda segnali facilmente equivocabili. Vuole andar via? A scudetto appena vinto, non v'è certezza. Se non Moratti che continua a ribadire: "Ibra ci sarà". Ma lo diceva pure per Ronaldo...
Il futuro non c'è ancora, anche se ha un tema obbligatorio: l'anno prossimo Champions, c'è poco da fare. Perché lo scudetto è bello, pure se in differita, però è il quarto negli ultimi quattro anni. E Mourinho, che pirla non è, sa che la noia appartiene pure ai vincenti. Un "titulo" non basta più.