Il sogno di Zenga: "Tornare a casa per allenare l'Inter"

Calcio
Walter Zenga ripercorre la sua giovane carriera di allenatore a I Signori del Calcio
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L'ex tecnico del Catania ripercorre la sua carriera di allenatore a "I Signori del Calcio", la trasmissione di SKY in onda ogni venerdì alle 23 su SKY Sport 1. "La Romania è stata importante, in Sicilia ho avuto una grande opportunità". GUARDA IL VIDEO

La tua carriera è legata all’Inter, la tua squadra del cuore fin da bambino
"Sì. Diventai interista perché quando ero bambino mio padre mi portò per la prima volta a San Siro a vedere un Inter-Brescia. Finì 7-1. Ricordo che il portiere del Brescia aveva una maglia nera con la V del Brescia, molto bella. Quello fu il mio primo impatto con San Siro".

Come prese tuo padre, juventino, il fatto di avere un figlio interista?

"Come faccio ora io col mio primo figlio, che è juventino. C'erano molte battaglie, soprattutto quando si andava a vedere Inter-Juventus a San Siro".

C'è un anno che è rimasto nella storia della tua carriera e in quella dell’Inter: lo Scudetto con Trapattoni in panchina
"Fu un anno eccezionale. Ci fu una partenza sbagliata, venimmo eliminati dalla Fiorentina in Coppa Italia e volevano mandare via Trapattoni. Noi giocatori ci riunimmo per cementare il gruppo e cominciammo a vincere. C'erano Mattheus, Brehme e poi Ramon Diaz, che fece un girone di ritorno straordinario. Anche Alessandro Bianchi fu fantastico, Matteoli, che dava molto equilibrio alla squadra davanti alla difesa, e poi Aldo Serena. L'unico rammarico fu quella sconfitta per 3-1 in casa contro il Bayern, dopo aver vinto 2-0 in Germania. Potevamo vincere anche la Coppa Uefa ma quella sera fu stregata. Quattro giorni dopo, però, vincemmo il derby 1-0 con grande personalità. Eravamo una grande squadra.

L'avventura con l'Inter, però, è finita "male"
"Rifiutai molte squadre, pur di rimanere all’Inter a guadagnare di meno. Il ringraziamento fu che dopo 22 anni di Inter, mi mandarono via senza darmi alcuna spiegazione. E questa amarezza mi è sempre restata".

Sei stato per tre anni di fila il miglior portiere del mondo.

"Non so se ero io il più bravo di tutti. Secondo me ogni portiere è bravo perché ha una sua caratteristica specifica: lo stile, la conformazione fisica, la mentalità. Io, fisicamente e nei movimenti, mi rivedo in Gigi Buffon".

Ti hanno criticato per il gol subito in semifinale contro l'Argentina a Italia 90'
"Non è vero che quel gol ci costò il Mondiale. Dopo quel gol c'erano ancora venti minuti di partita, due supplementari e i rigori. Se a uno che ha giocato 600 partite, ne rimbalzano sempre una addosso, vuol dire che qualcosa di buono avrà pur fatto!

La voglia di allenare come ti è venuta? Hai iniziato per caso…
"Avevo smesso di giocare negli Stati Uniti. Ero stato invitato per la festa del club e quel giorno la squadra perse 5-1 in casa. Ero nella loggia del Presidente, venne da me e mi disse che dal giorno dopo sarei stato io l'allenatore di quella squadra".

Il tuo rapporto con gli allenatori. Parlavi spesso con Claudio Ranieri all'inizio della tua carriera di allenatore, è vero?
"Telefonavo a Ranieri spessissimo. Non mi vergogno a dire che dopo Steaua-Valencia, vinta da noi ai rigori, in cui raggiungemmo una qualificazione storica, Ranieri venne mandato via dal Valencia e io non ebbi il coraggio di chiamarlo. Non ho nessun problema a dire che recentemente ho chiesto un consiglio a Spalletti su una cosa perché lui aveva la gestione di una cosa molto simile alla mia. Mi piacerebbe ci fosse più collaborazione, più scambio di idee e di materiale tra gli allenatori. Io, se ho la possibilità, chiamo e mi confronto con gli altri allenatori. Mi piace".

La Romania ha significato tanto per te
"La Romania ha significato tantissimo perchè mi ha fatto diventare allenatore, mi ha fatto apprezzare nel mondo del calcio e mi ha dato la possibilità di cambiare la loro mentalità. In Romania c'è una pressione mostruosa, la gente è matta per il calcio".

Una cosa ancora più bella è stato vincere due scudetti: uno a Bucarest e l'altro a Belgrado.

"Sono stato il primo allenatore straniero nella storia sia della Steaua Bucarest che della Stella Rossa, le uniche due squadre dell'est europeo che hanno vinto la Coppa Campioni. E' difficile essere un allenatore straniero in questi due club perché ci sono tradizioni e modi di pensare diversi. Alla Steaua non ho festeggiato in campo perché il Presidente mi mandò via a due partite dalla fine. E non ho mai capito perché. Alla Stella Rossa ho fatto il double: Campionato e Coppa di Serbia. Abbiamo vinto tutte le partite di campionato in casa. Non so quanti ci sono riusciti.

Poi, il tuo ritorno nel calcio italiano. Cosa hai ritrovato? E' cambiato qualcosa?

"Il calcio è cambiato tanto. Per me allenatore è cambiato tanto il post partita. A livello di gioco è sempre complicato giocare e leggere le partite. E' sempre uno dei campionati più importanti del mondo".

Catania ti ha dato una grande possibilità…

"Enorme".

Com'è andata?
"Era un lunedì mattina. Mi chiamò l’Amministratore Delegato Lo Monaco, presi un aereo alle cinque del pomeriggio. La sera ci siamo trovati a Taormina con la squadra e il Presidente e il martedì successivo ho iniziato il primo allenamento. Diluviava, faceva freddo, sembrava di essere a Milano"

Le sensazioni di Catania-Napoli, la tua prima panchina italiana?

"E' difficile trovare le parole adatte. Gioco a calcio da quando avevo 9 anni, ho giocato per 22 anni nella mia squadra del cuore e 2 in un'altra che mi piaceva molto (la Sampdoria, ndr). E poi sono rientrato dalla porta principale, la Serie A. E' stata una cosa incredibile. Non ho fatto in tempo a sedermi che avevamo già fatto gol. Quello che ricordo di più è il post partita: mia moglie era a Milano che mi aspettava, sono scappato per prendere l’aereo alle sei e credo ci non aver mai scaricato la batteria del cellulare così velocemente nella mia vita: continuavo a ricevere telefonate e messaggi. La sera a letto, prima di spegnere la luce, mi sono detto: "Bentornato, era ora".

Catania-Roma è stato un altro momento importante di quella stagione, la salvezza, che poteva arrivare anche prima…

"Sì, potevamo anche essere salvi la domenica prima, però, evidentemente doveva andare così. In ritiro quest’anno ho detto ai ragazzi che dovevamo cercare di salvarci prima, di fare un campionato sopra le righe per cercare di non essere mai nelle ultime cinque. I ragazzi sono stati straordinari perché per tutto il campionato non sono mai stati nelle ultime cinque-sei, non hanno mai avuto un margine di pericolo. Ed è questo che volevo portare a Catania, una serenità di classifica con due ciliegine sulla torta: le due vittorie nel derby, senza subire gol, facendone 6, vincendo due partite perfette, straordinarie. Questo è stato il 2009 ed era quello che volevamo fare".

Il tuo sogno per il futuro?

"Io sono ambizioso, il mio sogno era e rimane sempre quello di tornare a casa. Credo che sia normale".

Ti aspettavi di più da Mourinho dal punto di vista del gioco?

"L'Inter, per il quarto anno di fila ha dominato il Campionato. Poi, bisogna vedere cosa vuol dire "giocare bene". Se giocare bene, vuol dire vincere 6-2 a Madrid come ha fatto il Barcellona, tanto di cappello, ma giocare bene vuole anche dire essere costantemente in un posto e mantenerlo. Tutti gli allenatori amano il bel gioco e vorrebbero vincere giocando come il Barcellona. A volte bisogna, però, fare i conti con lo stato di forma dei giocatori, gli infortuni, le squalifiche. Io non mi sento di poter giudicare né Mourinho, né Ancelotti, né Ranieri e neppure gli altri. Come faccio io a giudicare Mourinho? Forse quando vincerò qualche trofeo internazionale e un Campionato in Italia, potrò dire la mia. Per adesso no comment.

Il giorno in cui Mourinho lascerà l’Inter, se Moratti decidesse per Zenga, ti sentiresti sotto esame?

"Appena arrivato a Catania, dopo due giorni, alcuni tifosi mi dicevano che rivolevano Baldini oppure Marino. Anche Mourinho, quando è andato all'Inter, aveva un predecessore che aveva fatto benissimo. Anche quando Ancelotti se ne andrà dal Milan, chi arriverà al suo posto, può solo vincere. Chi va nei grandi club sa perfettamente che ha solo un'alternativa: vincere. E' il nostro mestiere".