Amarcord, il 'Viareggio' tra le braccia di Morfeo
CalcioLa Coppa Carnevale raccontata dall'ex trequartista, che con l'Atalanta allenata da Cesare Prandelli ha vinto nel febbraio 1993: "Ero infortunato, ma vi spiego come sono riuscito a giocare". TUTTE LE CURIOSITA' SUL TORNEO
di Alfredo Alberico
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"Se colpisci quell'albero con il pallone per almeno tre volte di fila giochi la finale del Torneo di Viareggio". La storia d'amore tra Domenico Morfeo e il grande calcio inizia da qui, da questa frase di Cesare Prandelli, allora tecnico della Primavera dell'Atalanta. Era il 25 febbraio 1993.
"Ho un ricordo bellissimo di quella esperienza - racconta -. Il 'Viareggio' è una vetrina importante, la più importante per chi ha quell’età. C’è la possibilità di confrontarsi con i migliori pari categoria italiani e stranieri. Un modo per maturare, se necessario, e per acquisire maggiore sicurezza. Senza dimenticare che in ballo c'è la possibilità di farsi notare dalla prima squadra del proprio club".
Da quel 25 febbraio, come ovvio, sono successe e cambiate molte cose. Tra queste la più eclatante è che Morfeo, oggi 33enne, ha deciso di chiudere con il calcio. Lo ha fatto quasi in sordina. Dopo 14 stagioni passate in Serie A - Atalanta e Parma le squadre dove ha dato il meglio di sé - il trequartista di Pescina (L'Aquila) ha detto basta subito dopo aver iniziato il 2009 in LegaPro (ex Serie C) con la Cremonese. Un talento puro, mai totalmente esploso; offuscato dalla difficoltà ad ambientarsi in grandi club come Milan e Inter, dove spesso ha dovuto fare i conti con una concorrenza agguerrita. Con Rui Costa, ad esempio, non ha avuto vita facile alla Fiorentina.
Di Morfeo il mondo dei calci d'angolo si è accorto subito. E quel 'Viareggio' del '93, vinto dall'Atalanta (secondo nella storia dei bergamaschi) nella finale giocata due volte contro il Milan, è stato decisivo per la sua carriera: "Non dovevo scendere in campo per una forte distorsione al piede. Ma la voglia, come potete immaginare, era enorme. Avevo disputato un gran torneo e non potevo saltare proprio la partita decisiva. Prandelli mi disse, immagino per gioco, di salire in pinetina e di provare a centrare un albero con il pallone. Dovevo colpirlo per almeno tre volte consecutive. Solo così mi avrebbe fatto giocare. E alla fine ce l'ho fatta. Non sono stato schierato tra i titolari, però il mio momento di gloria l'ho avuto".
I rossoneri allenati da Lorenzini escono sconfitti dal confronto (2-0), e il giovane regista abruzzese è ancora una volta tra i protagonisti. Spiana ai suoi la strada del raddoppio quando, lanciato a rete, viene travolto dal portiere avversario. Per Samsa inevitabile l'espulsione.
E poi Prandelli. L'allenatore che più di tutti ha creduto in lui, nelle giovanili dell'Atalanta come nel Verona della stagione '99-2000: "Di quel successo al 'Viareggio' - aggiunge - c'è molto di lui, del suo carattere. Ricordo la sera prima della finale, quando, per smorzare la nostra tensione, si era mascherato e andava in giro per la camerata".
Oggi Domenico Morfeo è soprattutto un marito e un papà. Un po' stanco e forse un po' deluso dal calcio. Ma non ha nostalgia: "Da quando ho lasciato non sento il bisogno di informarmi su quello che succede nei vari campionati. Per il momento va bene così.".
Eppure un legame con il pallone c'è ancora. Si chiama Leonardo, il piccolo di casa Morfeo: "Gioca nei pulcini del Parma - dice papà Domenico -. Troppo giovane per dire se questo sarà o meno il suo fututo. Mi farebbe piacere, ma non gli farò pressioni". Intanto si diverte a vederlo tirare i primi calci. Forse sogna per lui una grande carriera, e magari anche un "Viareggio" memorabile, proprio come quello del febbraio 1993.
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"Se colpisci quell'albero con il pallone per almeno tre volte di fila giochi la finale del Torneo di Viareggio". La storia d'amore tra Domenico Morfeo e il grande calcio inizia da qui, da questa frase di Cesare Prandelli, allora tecnico della Primavera dell'Atalanta. Era il 25 febbraio 1993.
"Ho un ricordo bellissimo di quella esperienza - racconta -. Il 'Viareggio' è una vetrina importante, la più importante per chi ha quell’età. C’è la possibilità di confrontarsi con i migliori pari categoria italiani e stranieri. Un modo per maturare, se necessario, e per acquisire maggiore sicurezza. Senza dimenticare che in ballo c'è la possibilità di farsi notare dalla prima squadra del proprio club".
Da quel 25 febbraio, come ovvio, sono successe e cambiate molte cose. Tra queste la più eclatante è che Morfeo, oggi 33enne, ha deciso di chiudere con il calcio. Lo ha fatto quasi in sordina. Dopo 14 stagioni passate in Serie A - Atalanta e Parma le squadre dove ha dato il meglio di sé - il trequartista di Pescina (L'Aquila) ha detto basta subito dopo aver iniziato il 2009 in LegaPro (ex Serie C) con la Cremonese. Un talento puro, mai totalmente esploso; offuscato dalla difficoltà ad ambientarsi in grandi club come Milan e Inter, dove spesso ha dovuto fare i conti con una concorrenza agguerrita. Con Rui Costa, ad esempio, non ha avuto vita facile alla Fiorentina.
Di Morfeo il mondo dei calci d'angolo si è accorto subito. E quel 'Viareggio' del '93, vinto dall'Atalanta (secondo nella storia dei bergamaschi) nella finale giocata due volte contro il Milan, è stato decisivo per la sua carriera: "Non dovevo scendere in campo per una forte distorsione al piede. Ma la voglia, come potete immaginare, era enorme. Avevo disputato un gran torneo e non potevo saltare proprio la partita decisiva. Prandelli mi disse, immagino per gioco, di salire in pinetina e di provare a centrare un albero con il pallone. Dovevo colpirlo per almeno tre volte consecutive. Solo così mi avrebbe fatto giocare. E alla fine ce l'ho fatta. Non sono stato schierato tra i titolari, però il mio momento di gloria l'ho avuto".
I rossoneri allenati da Lorenzini escono sconfitti dal confronto (2-0), e il giovane regista abruzzese è ancora una volta tra i protagonisti. Spiana ai suoi la strada del raddoppio quando, lanciato a rete, viene travolto dal portiere avversario. Per Samsa inevitabile l'espulsione.
E poi Prandelli. L'allenatore che più di tutti ha creduto in lui, nelle giovanili dell'Atalanta come nel Verona della stagione '99-2000: "Di quel successo al 'Viareggio' - aggiunge - c'è molto di lui, del suo carattere. Ricordo la sera prima della finale, quando, per smorzare la nostra tensione, si era mascherato e andava in giro per la camerata".
Oggi Domenico Morfeo è soprattutto un marito e un papà. Un po' stanco e forse un po' deluso dal calcio. Ma non ha nostalgia: "Da quando ho lasciato non sento il bisogno di informarmi su quello che succede nei vari campionati. Per il momento va bene così.".
Eppure un legame con il pallone c'è ancora. Si chiama Leonardo, il piccolo di casa Morfeo: "Gioca nei pulcini del Parma - dice papà Domenico -. Troppo giovane per dire se questo sarà o meno il suo fututo. Mi farebbe piacere, ma non gli farò pressioni". Intanto si diverte a vederlo tirare i primi calci. Forse sogna per lui una grande carriera, e magari anche un "Viareggio" memorabile, proprio come quello del febbraio 1993.
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