Qua Chievo, cronaca di una festa-Roma che non c'è stata

Calcio
I tifosi giallorossi danno appuntamento all'Inter all'anno prossimo
striscione_roma

Il Bentegodi di Verona, trasformato per un pomeriggio in un piccolo Olimpico, si ammutolisce soltanto per due secondi. La frecciata di Milito arriva dritta da Siena, ma non basta a spegnere l'entusiasmo dei tifosi giallorossi. Che cantano fino alla fine

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di Vanni Spinella
da Verona

Il silenzio non è tutto uguale. C’è silenzio e silenzio.
C’è il silenzio del passaparola e delle radioline, quello che avvolge il “Bentegodi” alla notizia del gol di Milito a Siena. Come in un immenso telefono senza fili la voce si sparge. Due secondi di quiete, poi si riprende con un coro, più forte di prima. Come se nulla fosse successo, come a voler raccontare una bugia alla squadra che si batteva in campo, ma con la faccia di chi sa che sta mentendo.
La frecciata al cuore giallorosso arriva nella ripresa, quando anche i più scettici iniziavano veramente a pensare che potesse “succedere”. Due secondi di calma piatta nell’elettrocardiogramma ad impennate continue di un Bentegodi trasformato per un pomeriggio in un piccolo Olimpico.

Il “prima” è tutto fuorché silenzio. L’invasione dei ventimila, il messaggio “Chi tifa Roma non perde mai” accompagnato da petardi, cori, sana “caciara”. Ci si appella anche alla scaramanzia, tirando fuori dal guardaroba i panni di vecchi eroi decisivi all’ultima giornata: “Ce sta uno c’a maja de Batistuta” – commenta un ragazzo. “Un nostalggico”.
La formazione del Chievo viene annunciata, ma è impossibile sentirla. Quella della Roma è scandita dagli olè del pubblico, e lo speaker dello stadio veronese, dopo aver letto rapidamente i primi due nomi, deve adeguarsi e rallenta per consentire che ognuno venga accompagnato dal tributo che merita.
Persino l’inno del Chievo, sparato a tutto volume dagli altoparlanti dello stadio, stona con lo spettacolo offerto dalla Curva: bandiere, a centinaia, sciarpe, fumogeni, striscioni. Tutti giallorossi. Le orecchie sentono una cosa, gli occhi ne vedono un’altra.
Lo spicchio di tifosi del Chievo si risveglia solo al gol di Milito. Quando il maxi-schermo annuncia ufficialmente il vantaggio dell’Inter, un timido “olé” stuzzica l’orgoglio giallorosso. Immediato scatta un coro di risposta, che se la prende con la promiscuità sessuale di Giulietta e la scarsa virilità di Romeo.

Il silenzio non è tutto uguale. E così c’è anche il silenzio degli applausi, quelli che la Roma va a raccogliere sotto la Curva al termine della partita. Solo applausi, scroscianti, senza cori, senza parole. Nel silenzio di quelle quarantamila mani c’è gratitudine, tensione che si allenta, condivisione di un sogno sfumato.
E poi c’è il silenzio della strada che dallo stadio conduce dritto dritto alla stazione. I tifosi giallorossi si incamminano e riflettono ad alta voce, senza polemiche. È il silenzio delle considerazioni. “La squadra c’è, manca solo un attaccante vero”. “Co’ ‘na punta javemo rimontato 13 punti”. “E chi è, ‘sta punta?”, chiede un altro. “Toni. Nun je voi concede’ manco questo?”.
Qualcuno scuote la testa e, indicando il viale e il flusso silenzioso, immagina la festa che sarebbe stata se solo…
“Pensa che era qua se…”. Il condizionale non sarà il suo forte, ma l’idea la rende anche così.