Calcio, amici e... tortelli: una giornata con Marcio Amoroso

Calcio
Marcio Amoroso insieme a Franco Chiastra, ex storico responsabile del centro sportivo del Parma: per lui, uno di famiglia (foto di Gabriele Majo)
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A CASA DI. Il ritorno dell'ex attaccante brasiliano in Italia, ospite a Parma della famiglia Chiastra, un secondo focolare per lui e la moglie. Un pranzo fra lambrusco e aneddoti, salumi e Romario. E le scelte di Zaccheroni... GUARDA LA FOTOGALLERY

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di LORENZO LONGHI
da Collecchio (Parma)

La foto sull’Iphone è di due mesi fa. 18 luglio, San Paolo, Brasile: Marcio Amoroso, Deco e Messi ritratti durante una partita di beneficienza. Dei tre, quello che appare fisicamente più in forma è in realtà l’unico che ha appeso le scarpe al chiodo. Marcio Amoroso dos Santos, 36 anni, ha infatti chiuso con il calcio giocato da qualche mese. Ultima maglia, quella del Guarani, campionato paulista, romantico ritorno nel club dal quale era partito, una ventina d’anni fa. Ora si dedica agli amici, ed è per questo che giovedì è tornato a Parma, una delle città - come anche Udine - in cui ha messo radici e lasciato “legami eterni”. Come quello con la famiglia di Franco Chiastra, ex storico responsabile del centro sportivo del Parma a Collecchio, la quale ogni volta che Marcio e la moglie Rachele decidono di tornare in Italia li riempiono di affetto familiare e prelibatezze culinarie. Per le quali, dopo il ritiro agonistico, c’è decisamente più spazio.

È di fronte a un piatto di salumi e all’ultimo melone di stagione che Marcio racconta del suo nuovo lavoro e del distacco dal calcio. Un distacco non esattamente traumatico, “anche perché adesso posso giocare le partitelle con gli amici, o il footvolley in spiaggia, e farlo solo per piacere. Ora faccio l’imprenditore nell’immobiliare: mi occupo di case, in Brasile. Ma non mi sono staccato del tutto: commento il calcio italiano per una televisione e ogni tanto c’è chi mi chiede di andare ad osservare qualche giocatore o mi chiede consigli”. Per chi ha fatto del calcio una professione mantenendo la passione originaria, l’amore per il gioco resta incondizionato. “Per la verità, quando vedo giocare i ragazzini, anche in Brasile mi sembra ci sia meno divertimento da parte loro. C’è meno spazio per il talento, più per il fisico e la tattica. Eppure io, ancora oggi, preferisco venti minuti di un Ronaldo gordo a una partita giocata sul fisico. Vuoi mettere?”

Intanto si gode la moglie e i figli, nell’occasione rimasti in Brasile con i nonni, per seguire la scuola. Giovanni e Matteo, nomi italiani, cittadini italiani. Come lo erano i bisnonni di Marcio e Rachele, come lo sono loro due: “Il primogenito è nato a Udine, e di questo sono orgoglioso perché la tradizione della nostra famiglia prosegue nel legame con l’Italia. Sono stato benissimo a Udine, Parma e anche a Milano. Se uno dei miei figli, magari grazie al calcio, dovesse venire qui, sarei contento per lui. A proposito: giocano entrambi, e sui fondamentali li alleno io a casa, giocando con loro, proprio perché il calcio è divertimento. Chissà che prima o poi in campo da queste parti non vi ritroviate in serie A un altro Amoroso…” sorride lui, o artilheiro dos quatro cantos do mundo, essendo stato capocannoniere in Giappone, Brasile, Italia e Germania.

I tortelli d’erbetta fanno il loro ingesso sul palcoscenico della tavola imbandita e si prendono la scena. L’anfitrione Chiastra (“Per me è un secondo papà”, racconta Marcio) e sua moglie Nicetta non fanno mancare nulla. Marcio è un fiorire di aneddoti sul suo ex compagno Romario, “che arrivava agli allenamenti del Flamengo in ritardo, in elicottero ma già in divisa: il migliore di tutti”, sulla sua parentesi al Milan (“Arrivai da svincolato dopo avere vinto il Mondiale per club, a fine stagione mi lasciarono partire ma la stagione successiva persero a lungo Borriello per la squalifica e presero Ricardo Olivera… Avrei fatto comodo anche io, peccato”), sul gol che stregò Tanzi, su quanto fosse andato vicino a vestire la maglia dell’Inter e sulle preoccupazioni per il Mundial casalingo del 2014, perché "il Brasile in quel mese sarà un casino. Ne approfitterò per una lunga vacanza...".

L’ora del caffè scocca a pomeriggio inoltrato. “No, io non lo prendo. Il buon caffè c’è anche in Brasile, ma questo vino no”, scherza Marcio. Vince il lambrusco. Questione di scelte. Come quelle di Zaccheroni, tecnico di Marcio a Udine. “Quando arrivai - ricorda Amoroso - c’era Zico a presentarmi in piazza. Mi diede la maglia numero 10 (la cosa creò un piccolo caso: il 10 era di Stroppa, Marcio in effetti scelse poi il 7 su consiglio di Causio, che gli suggerì di prenderlo definendolo “un numero mistico”, ndr) e disse che avrei rinverdito i suoi fasti. Invece Zaccheroni mi diceva che ero il più completo delle sue punte ma mi schierava poco, tanto che con Pozzo, che mi invitava a pazientare, già si ragionava per un prestito in Spagna. Poi si infortunò Bierhoff, pensai che finalmente toccasse a me per la partita contro la Fiorentina. Invece Zac mise in campo all’inizio Claudio Clementi, che era la quarta punta e mi lasciò in panchina. Il caso ha voluto che Claudio si facesse male dopo una decina di minuti. Entrai io, segnai due gol e non uscii più…”

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