Mobbing, quando il calcio scopre il diritto del lavoro
CalcioIl portiere del Cagliari Marchetti ha chiesto la risoluzione del contratto lamentando una discriminazione da parte del club: analisi di un fenomeno in ascesa nel calcio italiano, fra precedenti illustri (Pandev l'ultimo) e società recidive. GUARDA LE FOTO
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di LORENZO LONGHI
È un fenomeno in ascesa: da qualche anno, il calcio italiano ha scoperto il mobbing. Da pochi giorni, il portiere del Cagliari Federico Marchetti ha denunciato la società al Collegio arbitrale della Lega chiedendo la risoluzione del contratto e un risarcimento per i danni subiti. Nella richiesta non compare il termine “mobbing”, ma di fatto secondo il calciatore e i suoi legali di questo si tratta. E, sebbene a quanto pare la denuncia non sia stata preceduta dalla diffida nei confronti dei comportamenti messi in atto dal club, il caso del portiere rossoblù si avvicina a diversi altri che, da sei anni a questa parte, periodicamente finiscono al vaglio del Collegio. Con mobbing si intende un comportamento discriminatorio finalizzato a procurare un danno al lavoratore stesso: si tratta, infatti, di diritto del lavoro. E il dorato mondo del calcio, dove pure spesso che tutto sia permesso anche per il denaro che gira, si trova così a fronteggiare un aspetto prima mai considerato.
Le norme - È l’articolo 7 dell’Accordo collettivo siglato da Aic-Figc e Lega calcio (in vigore dall’ottobre 2005) ad essere contestato dai calciatori: si riferisce a “Preparazione precampionato ed allenamenti” e vi si esplicitano i diritti/doveri dei calciatori. L’aspetto decisivo si trova spesso in questi meandri, perché non è infrequente che i club mettano di fatto alcuni giocatori fuori rosa (ad esempio facendoli sì allenare, ma non con i compagni, nonostante non vi siano casi di indisponibilità accertate) ma non attraverso il “fuori rosa tecnico”, regolato dall’art. 11 del medesimo accordo, che le società possono chiedere al Collegio arbitrale a fronte di determinati inadempimenti. La falla, spesso, si trova qui, ed ecco allora che i calciatori, in base all’art. 12, possono contestare le violazioni ai club chiedendo il reintegro (i club hanno tre giorni dalla ricezione del telegramma per adempiere), ma anche la risoluzione e i danni, pari al 20% della parte fissa dell’ingaggio annuale lordo. Molto spesso sono stati proprio i giocatori ad ottenere soddisfazione dai collegi giudicanti.
I precedenti - Goran Pandev, in base a questa contestazione, ottenne giusto un anno fa lo svincolo dalla Lazio e il risarcimento, svincolo che non ottenne Ledesma (il club lo reintegrò, a differenza del macedone): in entrambi i casi i giocatori avevano denunciato il comportamento della società che li teneva da separati in casa non avendo i due accettato di prolungare il contratto che sarebbe andato in scadenza l’anno successivo. Nel 2006 Luis Jimenez contestò il comportamento alla Ternana (da allora i rapporti fra il cileno e il club sono tesi), ma gli umbri vennero denunciati anche nel 2008 da una decina di calciatori. Accadde in serie C - dove i casi sono numerosi e meno noti - e tre di loro ottennero svincolo e danni: si trattava di Fattori, Corrent e Oshadogan, tutti con un passato in A. La Ternana fu anche penalizzata di 1 punto, ma successivamente la penalizzazione fu revocata.
Gli altri - Contestarono il mobbing alla Lazio, nel 2004, Dino Baggio e Paolo Negro, che vinsero la causa. Nel 2008 fu Giulio Falcone, assistito dall’avvocato dell’Aic Calcagno, ad imputare al Parma la violazione dell’art. 7, a causa dell’ostracismo del tecnico Cagni: la situazione si risolse ad un passo dall’udienza, quando l’esonero del tecnico (gli subentrò Guidolin) fece reintegrare il difensore in gruppo. Cinque i casi contestati, negli anni scorsi, al Catania: prima furono Pantanelli, Falsini e Biso (il club venne condannato dal Collegio arbitrale), quindi un anno più tardi toccò a Millesi e Giuseppe Colucci ricorrere al Collegio per lo stesso motivo. Contestò mobbing al Cagliari, nel 2007, Davide Marchini: in quel caso, però, fu il club sardo ad avere ragione.
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di LORENZO LONGHI
È un fenomeno in ascesa: da qualche anno, il calcio italiano ha scoperto il mobbing. Da pochi giorni, il portiere del Cagliari Federico Marchetti ha denunciato la società al Collegio arbitrale della Lega chiedendo la risoluzione del contratto e un risarcimento per i danni subiti. Nella richiesta non compare il termine “mobbing”, ma di fatto secondo il calciatore e i suoi legali di questo si tratta. E, sebbene a quanto pare la denuncia non sia stata preceduta dalla diffida nei confronti dei comportamenti messi in atto dal club, il caso del portiere rossoblù si avvicina a diversi altri che, da sei anni a questa parte, periodicamente finiscono al vaglio del Collegio. Con mobbing si intende un comportamento discriminatorio finalizzato a procurare un danno al lavoratore stesso: si tratta, infatti, di diritto del lavoro. E il dorato mondo del calcio, dove pure spesso che tutto sia permesso anche per il denaro che gira, si trova così a fronteggiare un aspetto prima mai considerato.
Le norme - È l’articolo 7 dell’Accordo collettivo siglato da Aic-Figc e Lega calcio (in vigore dall’ottobre 2005) ad essere contestato dai calciatori: si riferisce a “Preparazione precampionato ed allenamenti” e vi si esplicitano i diritti/doveri dei calciatori. L’aspetto decisivo si trova spesso in questi meandri, perché non è infrequente che i club mettano di fatto alcuni giocatori fuori rosa (ad esempio facendoli sì allenare, ma non con i compagni, nonostante non vi siano casi di indisponibilità accertate) ma non attraverso il “fuori rosa tecnico”, regolato dall’art. 11 del medesimo accordo, che le società possono chiedere al Collegio arbitrale a fronte di determinati inadempimenti. La falla, spesso, si trova qui, ed ecco allora che i calciatori, in base all’art. 12, possono contestare le violazioni ai club chiedendo il reintegro (i club hanno tre giorni dalla ricezione del telegramma per adempiere), ma anche la risoluzione e i danni, pari al 20% della parte fissa dell’ingaggio annuale lordo. Molto spesso sono stati proprio i giocatori ad ottenere soddisfazione dai collegi giudicanti.
I precedenti - Goran Pandev, in base a questa contestazione, ottenne giusto un anno fa lo svincolo dalla Lazio e il risarcimento, svincolo che non ottenne Ledesma (il club lo reintegrò, a differenza del macedone): in entrambi i casi i giocatori avevano denunciato il comportamento della società che li teneva da separati in casa non avendo i due accettato di prolungare il contratto che sarebbe andato in scadenza l’anno successivo. Nel 2006 Luis Jimenez contestò il comportamento alla Ternana (da allora i rapporti fra il cileno e il club sono tesi), ma gli umbri vennero denunciati anche nel 2008 da una decina di calciatori. Accadde in serie C - dove i casi sono numerosi e meno noti - e tre di loro ottennero svincolo e danni: si trattava di Fattori, Corrent e Oshadogan, tutti con un passato in A. La Ternana fu anche penalizzata di 1 punto, ma successivamente la penalizzazione fu revocata.
Gli altri - Contestarono il mobbing alla Lazio, nel 2004, Dino Baggio e Paolo Negro, che vinsero la causa. Nel 2008 fu Giulio Falcone, assistito dall’avvocato dell’Aic Calcagno, ad imputare al Parma la violazione dell’art. 7, a causa dell’ostracismo del tecnico Cagni: la situazione si risolse ad un passo dall’udienza, quando l’esonero del tecnico (gli subentrò Guidolin) fece reintegrare il difensore in gruppo. Cinque i casi contestati, negli anni scorsi, al Catania: prima furono Pantanelli, Falsini e Biso (il club venne condannato dal Collegio arbitrale), quindi un anno più tardi toccò a Millesi e Giuseppe Colucci ricorrere al Collegio per lo stesso motivo. Contestò mobbing al Cagliari, nel 2007, Davide Marchini: in quel caso, però, fu il club sardo ad avere ragione.