Sibilia fa 90: "I miei erano campioni, ora solo capelloni"

Calcio
Ramon Diaz, indimenticato campione argentino che giocò nell'Avellino di Sibilia oltre che nell'Inter (Getty)
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L'INTERVISTA ESCLUSIVA. Il vulcanico Don Antonio, presidente dell'Avellino degli anni '80, oggi compie gli anni: "Festeggerò con 45' di fuochi d'artificio. Il mio calcio era basato sull'arte dell'arrangiarsi. Oggi? Solo capelloni con i tatuaggi". LE FOTO

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di LUIGI VACCARIELLO

90 anni di commendatore. Ultimissimo esemplare di quella generazione di presidenti che, con i compianti Luzzara, Scibilia, Rozzi, Anconetani e Lugaresi, ha illuminato quel calcio tutto radioline e 90º minuto che negli anni ‘80 si chiamava “di provincia”, Don Antonio, come da sempre viene chiamato nella sua Avellino, festeggia i suoi 90 anni questa sera alle 20.30 alla Tana del Lupo, a Torrette di Mercogliano, a due passi dal capoluogo irpino. Per lui, per circa 20 anni presidente dei famigerati Lupi della “Legge del Partenio” (da quelle parti, in quello stadio, era difficile uscire imbattuti, ndr), è pronta una festa in grande stile con 45’ di fuochi d’artificio. Provare a contattarlo ci ha riportato indietro nel tempo. Di cellulari Don Antonio non ne vuol sentir parlare, il telefono “dell’ufficio” squilla a vuoto. Chi lo conosce dice che nel pomeriggio “va a giocare a carte al circolo, ma lì il telefono non ce l’hanno”. Alla fine riusciamo a parlarci. La voce è sempre la stessa, quella roca, forte e genuina del commendator Sibilia dei tempi d'oro.

Presidente, 90 anni sono un grande traguardo. Lei li ha vissuti sempre in prima linea, non le manca un po’ il calcio?
“Non molto, un po’ per l’età, un po’ per il cambio di mentalità del calcio. Diciamo che lo seguo da appassionato. Ma non vado più allo stadio”.

10 anni di Serie A da patron dei “Lupi”. Quale stagione ricorda con maggior piacere?

“Guardi, io ho fatto 20 anni tra Serie A e B. Sono stati anni belli. Noi eravamo una provinciale, come si chiamavano all’epoca. Non ci potevamo permettere di giocare a viso aperto. Ho sempre cercato di costruire squadre rocciose in difesa e forti e veloci davanti. Perché il nostro gioco era tutto basato sul contropiede. Dovevamo fare i punti per la salvezza. Era quello il nostro segreto”. 

Barbadillo, De Napoli, Tacconi. Ad Avellino ai suoi tempi, sono passati fiori di giocatori. Quale ricorda con più piacere?
“Il mio era un calcio basato sull’ arte di arrangiarsi. Sono stato sempre costretto a prendere lo scarto degli altri. Non avevamo tanti soldi. Che dire, Tacconi era finito, l’ho preso dalla Sambenedettese e l’ho portato in A. Ho avuto anche Cervone che ha giocato a lungo nella Roma e ricordo con piacere anche Vignola che poi finì alla Juve”.

E quale avrebbe voluto prendere?
“(Sorride, ndr) Parecchi. Sa quanti ne ammiravo... Ma io mi dovevo arrangiare con scambi e prestiti. Di soldi non ce n’erano”.

Ma è vero che è stato vicino ad acquistare Maradona?
“Ma quando mai. A me Maradona non è mai piaciuto. Non l’ho mai apprezzato, soprattutto come uomo. Lui stava bene a Napoli, quello era l’ambiente giusto. Quelli, gli argentini, sono come i napoletani”.

E del suo Avellino attuale che mi dice?
“Che ogni tanto m’informo, ma ripeto: non seguo il calcio come prima”.

Lei è stato sempre contro i capelloni. Come si sarebbe comportato con i calciatori di oggi tutti tatuaggi e orecchini?
“Io mi sono ritirato dal calcio quando sono comparsi i procuratori. Come sono arrivati loro è cambiato tutto. E questi sono i risultati che abbiamo, capelloni e tatuati pieni di orecchini”.

C’è un Sibilia del 2000?
“Non credo. Anche se c’è quello della Lazio (non si ricorda il nome, gli dico Lotito: “sì quello”, ndr). Lui è un po’ dittatore. Nel calcio la democrazia non porta da nessuna parte. C’è bisogno di essere autoritari”.

Don Antonio, ha fatto tanti regali ai tifosi, che regalo vorrebbe ricevere?
“Quelli di ora non sono più i miei tifosi. Quelli che mi stavano vicino ai miei tempi lo erano. Quelli di adesso sono dei mangiapane a tradimento. Cosa vuole che mi regalino”.

Come festeggerà stasera?
“Prima con gli amici, quelli veri, che verranno da tutte le parti del mondo. E poi in piazza con 45’ di fuochi d’artificio”. Augurissimi Don Antonio, presidente di un calcio che non c’è più.

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