E' morto Bearzot. Addio al vecio che vinse il Mundial '82

Calcio
Enzo Bearzot portato in trionfo dopo il successo al Mondiale 1982 (foto Getty)
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Aveva 83 anni ed era malato da tempo. Educazione salesiana, nato ad Aiello nel Friuli il 26 settembre 1927. Gli chiesero un giorno come avrebbe voluto essere ricordato. "Come una persona perbene", rispose. Se ne va una leggenda dello sport. FOTO E VIDEO

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E' morto a Milano Enzo Bearzot, nella sua casa in zona Vigentina. Friulano d'origine, il ct azzurro di Spagna '82 aveva 83 anni. Giocò da mediano anche nell'Inter, prima di allenare con Rocco, Fabbri e Bernardini. Alla guida della Nazionale dal 1975 conquistò il quarto posto ad Argentina '78 e vinse il Mondiale quattro anni dopo.

di LORENZO LONGHI

La Coppa del Mondo in primo piano, il presidente della Repubblica Sandro Pertini alla sua destra, Dino Zoff di fronte, Franco Causio opposto: se c’è un’immagine che ritrae Enzo Bearzot entrata nell’iconografia popolare, è proprio questa. Luglio 1982, sull’aereo che riporta l’Italia Campione del Mondo nel Belpaese viene scattata la fotografia del decennio: il riposo dei vincitori, quattro icone degli anni ’70 e ’80, le carte in mano e una partita di scopone che vale, nella loro memoria, almeno quanto il Mondiale. Enzo Bearzot, il Vecio, se n’è andato oggi all’età di 83 anni.

Inevitabilmente, Bearzot è sinonimo di Mondiale, anzi di Mundial, Spagna 1982 per la precisione. Il Mondiale delle polemiche e delle derisioni, quello del silenzio stampa, di Gentile che marca Maradona, di Paolo Rossi e di Pertini che esulta in tribuna durante la finale al Bernabeu. Il Mondiale di Enzo Bearzot, il capolavoro di un uomo che, dal 1969 inserito all’interno dei ranghi federali, era riuscito a riportare l’Italia sul tetto del mondo dopo ben 44 anni. Non ne aveva ancora compiuti 55, il Vecio, quell’11 luglio in cui l’Italia scese in piazza. Per festeggiare, però, perché quello era il 1982, e quando si scendeva in piazza allora era per altri motivi: erano gli anni di piombo, erano i mesi dell’agguato a Pio La Torre e dell’invio anticipato in Sicilia del generale Dalla Chiesa, della scoperta del cadavere di Roberto Calvi a Londra. Bearzot, il suo orgoglio e la sua straordinaria umanità, avevano compiuto il miracolo, proprio nel momento in cui il Paese aveva bisogno di qualcosa che sollevasse il morale.

Educazione salesiana, Bearzot era nato ad Aiello nel Friuli il 26 settembre 1927. A cambiargli la vita fu il trasferimento da Gorizia a Milano, nel 1948, dove approdò per giocare nell’Inter. Lì incontrò (“in corso Italia, sul tram numero 3”) Luisa, la donna che divenne sua moglie e compagna di una vita, colei che lo seguì nel suo peregrinare calcistico di difensore-centrocampista fra Milano, Catania e Torino, sponda granata. Dove divenne capitano e leggenda, il Vecio. Perché il Toro, per uno così, era la squadra perfetta. Appese le scarpe al chiodo nel 1964, dopo 251 presenze in serie A e una, appena, in Nazionale: finì con una sconfitta, il 27 novembre 1955, Ungheria-Italia 2-0 al Nepstadion di Budapest. Eppure, sarà proprio la Nazionale a regalargli l’immoratlità.

Così, quando nel 1975 - dopo avere allenato nel settore giovanile del Torino, a Prato e l’Under 23 azzurra - divenne ct della Nazionale maggiore, prima in coabitazione con Fulvio Bernardini poi da solo, cominciò la sua rincorsa verso la storia. Quarto posto al Mondiale 1978, quello dell’Argentina dei colonnelli e quarto posto anche agli Europei del 1980, in Italia. Poi fu la volta di Spagna 1982 e di tutti coloro che, dopo averlo sbeffeggiato (“sbranarmi andava di moda”, ricordò), salirono sul suo carro, quello del vincitore. La stampa, la gente: lo delegittimarono, poi fecero dietrofront.  “Fiumi di miele nauseabondo”, ricordò lui in un intervista a Roberto Beccantini nel decennale del trionfo, lui che in Spagna si era ritrovato con un nuovo fratello minore, Dino Zoff, e tanti figli, come amava chiamarli lui. Lui che aveva vinto con la difesa. Non quella sul campo: quella dei suoi ragazzi, derisi poi esaltati dai 56 milioni di ct di questo Paese. Nel giorno del suo ottantesimo compleanno, al termine di una lunghissima intervista, Gianni Mura gli domandò come avrebbe voluto essere ricordato. “Come una persona perbene”, rispose semplicemente Bearzot. Addio, Vecio.



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