Che fine hanno fatto? Pistone, dall'Inghilterra alle piadine

Calcio
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Roy Hodgson avallò la cessione di Roberto Carlos dall'Inter al Real Madrid per lui, ma la favola nerazzurra durò poco. Newcastle ed Everton lo accolsero a braccia aperte. Appesi gli scarpini, si è buttato nella ristorazione tipica romagnola. VIDEO E FOTO

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di AUGUSTO DE BARTOLO

Quando Roy Hodgson, allenatore dell'Inter stagione 1998-99, diede l'assenso per la cessione di Roberto Carlos al Real Madrid dicendo di avere in squadra uno più disciplinato tatticamente in molti furono scettici. Un falso storico secondo Alessandro Pistone che del brasiliano fu l'erede naturale in nerazzurro: "Anche perché a un certo punto della stagione passammo dal 5-3-2 al 4-4-2 e Roberto giocava davanti a me sulla linea dei centrocampisti - dice Pistone - Io avevo dato delle garanzie ma lui era un campione che ha dimostrato anche a Madrid di fare bene la fase difensiva".

Oggi Alessandro, smessi i panni del calciatore, è proprietario in società di Farinami, un ristorante tutto dedicato alla piadina romagnola da gustare in molteplici varietà: "L'idea di aprire un locale c'è sempre stata, da giocatore ne ho frequentati parecchi, ma mi spaventava - spiega - Poi la cosa mi è stata proposta dal mio socio e mi sono convinto". Qualche volta in cassa a dare una mano, talvolta dietro al bancone a preparare qualche caffè ma in cucina no. La gente che affolla il locale all'ora di pranzo spesso parla di calcio, una passione viva nel cuore di Alessandro: "Maurizio Ganz mi ha coinvolto nella sua società (l'Aldini ndr), ho cominciato da poco, ho fatto il corso base da allenatore e vorrei prendere il patentino di seconda categoria - dice - Purtroppo e per fortuna il calcio ce l'hai dentro per sempre".

E la carriera di Pistone è filata via, veloce, come una delle sue discese sulla fascia sinistra: "A volte mi sembra di aver iniziato ieri - racconta - sono stato fortunato, subito dal Vicenza all'Inter. Ero alla Borghesiana, aspettavo la chiamata ma lì non c'era campo per i telefonini e quindi rispondevo e cadeva la linea fino a quando mi hanno dato la bella notizia. Mi sono detto, 'ora ci sono'". Eppure l'avventura in nerazzurro è stata condita da alti e bassi: "Nell'Inter dell'epoca c'era un errore di fondo, quello di cambiare 15 giocatori all'anno - dice - Io sono stato contestato per un periodo, ma poi tutto è passato così come era iniziato". Dell'avventura nerazzurra l'unica ferita che brucia è quella finale di Coppa Uefa persa ai rigori con lo Schalke: "Ci penso spesso, era una partita che potevamo vincere, c'era questa sensazione in campo ma poi ai rigori non si sa mai come può finire". Eppure la gioia con l'Under 21 è arrivata, vittoria nel campionato Europeo 1996 in finale con la Spagna: "Ma quella era un'Under fortissima, c'era Cannavaro, Coco, Totti, Morfeo".

Poi, come un fulmine a ciel sereno l'offerta del Newcastle: "Non potevo dire di no - racconta Pistone - Un calcio che mi affascinava ma completamente diverso, all'epoca non c'era la stessa mentalità di oggi: scarsa cura per l'alimentazione, poco lavoro fisico, tutto un po' approssimativo, poi io non conoscevo la lingua e a Newcastle si parla un dialetto molto simile allo scozzese. Le serate gli inglesi le passavano nei locali a bere come spugne per questo inevitabilmente si creavano i gruppi. Con Bobby Robson sono stato benissimo, poi è arrivato Gullit e sono stato costretto ad andare via". A Newcastle c'è stata la possibilità di giocare con Paul "Gazza" Gascoigne: "Un ragazzo stupendo ma con tanti problemi - dice - Dormiva una o due ore a notte, arrivava al campo alle 7.30 faceva palestra per smaltire l'alcol bevuto".

Dai Magpies ai Toffees dell'Everton: "La parte più importante della mia carriera, sette anni indimenticabili. Ho conosciuto Rooney ragazzino, si allenava con noi e io gli dicevo 'dai Wayne fammi vedere cosa sai fare' era un osso duro già allora, un predestinato anche perché è un ragazzo umile che lavora sodo e questo fa di lui un campione". Gli ultimi scampoli di carriera in Belgio, al Mons: "Mi era scaduto il contratto, ho accettato la prima offerta che mi è arrivata ma avevo problemi al tendine d'Achille e in più avevo lasciato la mia famiglia in Inghilterra, un'esperienza da non ripetere" Da lì la decisione di dire addio, per una carriera il cui bilancio lo si può considerare positivo: "Forse avrei potuto fare di meglio ma ho comunque realizzato il mio sogno di bambino".