Tredici anni meravigliosi e tanti trofei con la maglia del Parma. Un secondo posto ai Mondiali con la Nazionale di Sacchi, l'ex difensore adesso ha un'impresa edile nella sua Brindisi, ma appena può torna nella città emiliana. GUARDA IL VIDEO
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Tredici anni a correre sulle fasce del Tardini con la maglia del Parma, adesso, Antonio Benarrivo da Brindisi, fa l’imprenditore edile: “Con il mio socio costruiamo, ristrutturiamo e vediamo. Mi è sempre piaciuto il mattone”. E’ tornato a Brindisi ma appena può corre a Parma, città che gli è rimasta nel cuore e nella quale ha trascorso gli anni più belli della sua carriera da calciatore: tre Coppe Italia, due Coppe Uefa, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Italiana e una Europea.
Un’avventura quella in maglia gialloblù, cominciata in sordina: “Quando sono arrivato eravamo una squadra di semisconosciuti, ma al primo anno vincemmo subito la Coppa Italia contro la Juventus, una gioia infinita. E l’anno dopo vincemmo la Coppa delle Coppe a Wembley con l’Anversa”. Era il Parma dei miracoli di Nevio Scala prima e Alberto Malesani poi, con Asprilla, Sensini, Veron, Cannavaro, Thuram, Buffon, Crespo e Chiesa. Un’autentica armata che in più di una circostanza ha sfiorato il titolo: “Eravamo sempre lì a due tre punti, poi nelle ultime giornate accadeva sempre qualcosa di strano. Ma lel 96/97 ci andammo davvero vicino”.
Il Parma fu la porta d’ingresso per la Nazionale. Benarrivo era infatti l’esterno destro dell’Italia che con Sacchi in panchina arrivò seconda ad Usa 94. Nella memoria di Benarrivo il ricordo di quella finale di Pasadena contro il Brasile è ancora vivissimo: “Ci penso sempre. Perdere un Mondiali ai rigori brucia. Eravamo due squadre stanchissime. Mi resi conto che alla fine dei supplementari, sullo 0-0, vidi alcuni giocatori della panchina del Brasile esultare. Mi ricordo che ero un po’ appannato, così chiesi ad Antonio Conte: ‘Ma abbiamo perso la partita?’. Lui mi rispose: ‘noi siamo andati ai rigori’. Evidentemente erano convinti di aver già vinto”. Benarrivo non era di certo un goleador, solo 5 reti all’attivo in A, ma una di questa ha un valore speciale: “Sono legatissimo al gol che segnai a Vicenza. Salvai la panchina ad Ancelotti”. E chissà se senza quel gol la carriera di Carletto sarebbe stata la stessa.
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Tredici anni a correre sulle fasce del Tardini con la maglia del Parma, adesso, Antonio Benarrivo da Brindisi, fa l’imprenditore edile: “Con il mio socio costruiamo, ristrutturiamo e vediamo. Mi è sempre piaciuto il mattone”. E’ tornato a Brindisi ma appena può corre a Parma, città che gli è rimasta nel cuore e nella quale ha trascorso gli anni più belli della sua carriera da calciatore: tre Coppe Italia, due Coppe Uefa, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Italiana e una Europea.
Un’avventura quella in maglia gialloblù, cominciata in sordina: “Quando sono arrivato eravamo una squadra di semisconosciuti, ma al primo anno vincemmo subito la Coppa Italia contro la Juventus, una gioia infinita. E l’anno dopo vincemmo la Coppa delle Coppe a Wembley con l’Anversa”. Era il Parma dei miracoli di Nevio Scala prima e Alberto Malesani poi, con Asprilla, Sensini, Veron, Cannavaro, Thuram, Buffon, Crespo e Chiesa. Un’autentica armata che in più di una circostanza ha sfiorato il titolo: “Eravamo sempre lì a due tre punti, poi nelle ultime giornate accadeva sempre qualcosa di strano. Ma lel 96/97 ci andammo davvero vicino”.
Il Parma fu la porta d’ingresso per la Nazionale. Benarrivo era infatti l’esterno destro dell’Italia che con Sacchi in panchina arrivò seconda ad Usa 94. Nella memoria di Benarrivo il ricordo di quella finale di Pasadena contro il Brasile è ancora vivissimo: “Ci penso sempre. Perdere un Mondiali ai rigori brucia. Eravamo due squadre stanchissime. Mi resi conto che alla fine dei supplementari, sullo 0-0, vidi alcuni giocatori della panchina del Brasile esultare. Mi ricordo che ero un po’ appannato, così chiesi ad Antonio Conte: ‘Ma abbiamo perso la partita?’. Lui mi rispose: ‘noi siamo andati ai rigori’. Evidentemente erano convinti di aver già vinto”. Benarrivo non era di certo un goleador, solo 5 reti all’attivo in A, ma una di questa ha un valore speciale: “Sono legatissimo al gol che segnai a Vicenza. Salvai la panchina ad Ancelotti”. E chissà se senza quel gol la carriera di Carletto sarebbe stata la stessa.