Ibra choc: botte a Onyewu, Calciopoli e i clan dell'Inter

Calcio
Zlatan Ibrahimovic continua a togliersi sassoloni dalle sue scarpe nella sua autobiografia
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Nuove indiscrezioni sull'autobiografia dell'attaccante. Prima le liti con Guardiola a Barcellona, ora il capitolo Milan: si ruppe una costola nella lite furibonda con lo statunitense. Ma si parla anche di Inter ("Divisi in clan") e Juventus-Calciopoli

FOTO - Ibrahimovic campione di taekwondo - Sfoglia l'Album del Milan

Nuovo capitolo dell'autobiografia di Zlatan Ibrahomivic. Come ricorda la versione online del quotidiano spagnolo "As", la stampa svedese continua a fornire anticipazioni che non cessano di stupire. Dopo le dichiarazioni dell'ex giocatore di Barcellona contro l'allenatore Pep Guardiola, questa volta viene rivelata una "lotta internazionale" tra l'attaccante e il difensore statunitense Oguchi Onyewu.

Quella scazzottata con Onyewu - Secondo il racconto del'attaccante, tutto è successo a
Milanello, quartier generale rossonero. Ibrahimovic e Onyewu (oggi allo Sporting Lisbona), dopo un duro scontro di gioco, furono protagonisti di una lite in cui dovettero intervenire molti compagni. E questo perché -si legge- erano "sul punto di uccidersi a vicenda". Ibrahimovic assicura che la colluttazione gli provocò la rottura di una costola.

Infine
i cori razzisti, che per il milanista sono all'ordine del giorno nel campionato italiano: nel suo libro sostiene di essere abituato al soprannome "zingaro".

Calciopoli, che montatura - Ma nell’autobiografia, Ibra parla anche di Calciopoli. Lo svedese ha le idee chiare. "Come sempre, quando qualcuno domina, altri vogliono tirarlo nel fango, e non mi stupiva affatto che le accuse venissero fuori quando stavamo per vincere di nuovo il campionato. Stavamo per portare a casa il secondo scudetto consecutivo quando scoppiò lo scandalo. Che la situazione era grigia lo capimmo subito. I media trattavano la faccenda come una guerra mondiale. Ma erano balle, almeno per la gran parte", aggiunge l'attaccante svedese che nega qualsiasi favore da parte degli arbitri.

"Arbitri che ci favorivano? Ma andiamo! Avevamo lottato  duramente, là in campo. Avevamo rischiato le nostre gambe, e senza avere nessun aiuto dagli arbitri, queste sono cazzate! Io dalla mia parte non li ho avuti proprio mai, detto in tutta franchezza. Sono troppo grosso -spiega Ibra nella sua autobiografia-. Se uno mi viene addosso io rimango fermo, ma se finisco io addosso a qualcuno quello fa un volo di quattro metri. Non sono mai stato amico degli arbitri, nessuno della nostra squadra lo era. No, no, eravamo semplicemente i  migliori e ci dovevano affondare, ecco la verità".

Moggi in lacrime - Ibrahimovic racconta nel suo libro che la  "Juventus organizzò una riunione di crisi nella nostra saletta fitness, in palestra, e non la dimenticherò mai". "Moggi  all'apparenza sembrava quello di sempre, ben vestito e forte. Ma era un altro Moggi. Proprio allora era venuto a galla un nuovo scandalo che riguardava suo figlio, una qualche storia di infedeltà coniugale, e lui ne parlò, di come fosse offensivo, ed ero d'accordo: erano  faccende personali che non avevano nulla a che fare con il calcio, ma  non fu quello a colpirmi di più -svela il bomber-. Fu il fatto che  cominciò a piangere, proprio lì, davanti a tutti noi. Fu come un pugno nello stomaco. Non l'avevo mai visto debole prima. Quell'uomo aveva sempre avuto padronanza di sé, aveva irradiato potere e forza. Adesso all'improvviso, ero io a provare compassione per lui. Il mondo si era rovesciato".

L'Inter: una squadra divisa in clan - Dopo Calciopoli lo svedese lascia la Juve e si trasferisce a Milano, sponda nerazzurra. Qui l'attaccante trova una squadra divisa in clan. Così si presentava l'Inter nella quale Zlatan Ibrahimovic sbarcò nell'estate 2006. Il centravanti svedese del Milan ricorda le prime  fasi dell'avventura nerazzurra in 'Io Ibra', l'autobiografia edita da  Rizzoli in uscita questo fine settimana. "La vera sfida era rompere quei cazzo di gruppetti. Li odiai  fin dal primo giorno, e non dipendeva soltanto dal fatto che io venivo da Rosengard, dove ci si mischiava senza problemi: turchi, somali,  jugoslavi, arabi. Era anche perché l'avevo visto già molto chiaramente, sia alla Juventus sia all'Ajax: tutte le squadre rendono  molto meglio quando fra i giocatori c'è coesione. All'Inter era l'opposto", dice l’attaccante rossonero. "Là in un angolo stavano seduti i brasiliani; gli argentini  stavano in un altro e tutti gli altri in un terzo. Era una cazzata.  Così considerai come mio primo grande test da leader porre fine a quella situazione. Andavo in giro e dicevo: 'Cos'è questa storia?  Perché state lì seduti tra di voi come dei bambini?', aggiunge.  "Quelle barriere invisibili erano troppo nette. Perciò andai nuovamente da Moratti, e fui più chiaro possibile. L'Inter non  vinceva il campionato da secoli. Volevamo andare avanti così?  Dovevamo essere dei perdenti solo perché la gente non aveva voglia di parlarsi? 'Ovviamente no' disse Moratti. 'Ma allora bisogna rompere  questi dannati clan. Non possiamo vincere se lo spogliatoio non è unito"'.

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