Inter dall'altare alla polvere. Il colpevole? Eccoli in fila

Calcio
La disperazione di Cambiasso, uno degli eroi del Triplete, è l'emblema del momento attraversato dalla squadra
ITALY SOCCER:INTER MILAN-NOVARA

La sconfitta contro il Bologna è il punto più basso toccato dai nerazzurri da quel 22 maggio 2010: la società non ha in mente un progetto, i cambi di Ranieri fanno invocare Mou e infuriare Moratti, i giocatori sono irriconoscibili. La soluzione? Un sogno

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di Matteo Veronese

Cosa fotografa al meglio la situazione attuale dell'Inter? Non il misero punto in cinque partite di campionato o l'ultima sconfitta contro il Bologna, né Moratti che abbandona San Siro prima della fine della partita; non la contestazione in pelliccia fuori dagli uffici della Saras e nemmeno l’ennesimo allenatore in odore di esonero. E' lo striscione esposto dai tifosi della Juventus che suggeriscono al piccolo Filippo di cambiare scuola, o squadra, anche se il giovane tifoso dimostra di avere le idee ben chiare.

Mai come oggi, da quell'ormai lontanissimo 22 maggio 2010, l'Inter era caduta così in basso. Il crollo dall'altare alla polvere di un anonimo settimo posto in classifica è stato lento ma costante, intervallato da qualche gloria passeggera che riempiva la maglietta di coccarde ma nascondeva le crepe della squadra. L'Inter vista contro il Bologna venerdì sera, a meno di un miracolo sportivo, rischia nel giro di pochi giorni dire addio anche all'ultimo "obiettivo" stagionale, la Champions League, finendo col ritrovarsi a marzo senza più traguardi da raggiungere. Non capitava dalla stagione 2003-2004.

Quello striscione esposto allo Juventus Stadium mette a nudo tutti gli aspetti di una stagione fallimentare e dalla quale l'Inter sembra non essere in grado d'uscire in tempi brevi, con una vittoria o un paio di acquisti. La debàcle nerazzurra parte da lontano e nessuno, società, allenatore e giocatori è esente da colpe.

Società. Col senno di poi (ma anche di allora), la rosa andava sfoltita e ringiovanita già dal 23 maggio 2010. Moratti, il più "tifoso" dei presidenti, ha agito col cuore e ha regalato a tutti una stagione da Campioni d'Italia, d'Europa e del Mondo con la maglia dell'Inter, salvo al giocatore che più di tutti avrebbe garantito un futuro roseo al club, Mario Balotelli. Un anno dopo, le cessioni di Eto'o e Santon e, a gennaio, di Thiago Motta, rendono l'eventuale nuovo "progetto" della società un mistero. Per rinforzare una squadra bisogna, in primis, non indebolirla. Nel giro di sei mesi hanno lasciato Appiano il miglior attaccante ed un pilastro del centrocampo, sacrificati al fair play finanziario e mai degnamente sostituiti. Ranocchia, Faraoni, Poli e Castaignos, i giovani, hanno dimostrato di non essere pronti a portare il peso di una maglia che, se indossata, impone loro di raggiungere certi obiettivi. Specialmente in una situazione negativa come quella che sta vivendo tutta la squadra. Coutinho è addirittura stato ceduto in prestito. Lo svecchiamento della rosa, in fondo, non c'è mai stato.

Allenatore. Tra cessioni e cerotti, Ranieri ha avuto ben poco da cui attingere in panchina per raddrizzare partite nate male, ma quelle poche mosse sono state il più delle volte inspiegabili. Negli occhi e nei cuori dei tifosi interisti a San Siro, tra le tante partite dell'Inter di Mourinho sarà rimasta senz'altro la rimonta contro il Siena. Il più classico dei testacoda: nerazzurri primi in classifica, bianconeri ultimi. Al 43' della ripresa il Siena è avanti 3-2 e in campo, nell'Inter, ci sono Sneijder, Milito, Pandev, Arnautovic, Stevanovic più Samuel ad agire da punta. I nerazzurri vincono 4-3 al secondo minuto di recupero contro l'ultima in classifica, ma ai tifosi pare di aver vinto la Champions League. Mourinho ha osato, ha rischiato, ha vinto. Ranieri, per stile di gioco e indole diversissimo dallo Special One, ha invece indispettito i tifosi – e per ultimo Moratti – con cambi difensivisti e per giunta infruttuosi: nella partita "pazza" contro il Palermo, una di quelle in cui l'Inter, per definizione, sa esaltarsi, sul 3-3 sostituisce Sneijder con Obi, finendo comunque per pareggiare 4-4; a Roma, sotto 2-0, ad inizio ripresa inserisce Poli per Pazzini, finendo per subire altre due reti; contro il Bologna, sempre sotto 2-0, è Forlan ad essere sacrificato per l'ex centrocampista doriano, ma ciò non impedisce ai rossoblù di segnare anche una terza rete. Ecco allora che i cori indirizzati a José Mourinho al termine della partita di venerdì sono la richiesta da parte della tifoseria di un messaggio, da parte dell'allenatore, di speranza: le partite si possono raddrizzare e vincere. Togliere un centravanti per un mediano significa rassegnarsi ad attendere il triplice fischio e riprovarci la domenica successiva.

Giocatori. Contro il Bologna erano in campo sei reduci della notte di Madrid, eppure a guardare le due partite sembra passato un secolo. La benzina nelle gambe è finita, la fame di vittorie pare saziata, più d'uno sembra avere in testa altri progetti, ansioso di cambiare aria come Eto'o e Thiago Motta. Ranieri vanta nel curriculum un derby di Roma vinto sostituendo Totti e De Rossi all'intervallo. Come sostituire Zanetti e Cambiasso che, invece, restano intoccabili pur non offrendo più da troppe partite prestazioni degne della loro fama. Nessun tifoso chiederebbe di più di quanto già dimostrato al Capitano, ma se lui o altri sentono di dover tirare il fiato, che siano i primi a dirlo.

La soluzione. Il delfino di Mourinho, Villas-Boas, in panchina e spese mirate a rinforzare la squadra con un grosso nome per reparto: Bale (1989) per sistemare definitivamente la fascia sinistra, Modric (1985) per sostituire il partente Sneijder, Neymar (1992) per dare fantasia all'attacco e far sognare i tifosi. Il problema è che questi nomi sono destinati a rimanere, appunto, dei sogni. Paradossalmente per l'Inter, intesa come società e non come singoli, sarebbe meglio allora andare incontro ad una stagione senza impegni europei, incassare da alcune cessioni importanti e parallelamente alleggerire il monte ingaggi (e d'altronde sembrano essere queste le prime preoccupazioni della dirigenza). In questo modo la società sarebbe libera di affidare la squadra ad un allenatore giovane e carismatico (Pea o Sannino), investire sui giovani e lasciarli maturare. Siccome però due/tre stagioni di digiuno annunciato in una piazza come Milano sono fantascienza e il gioco del Barcellona non si è costituito "in due-tre anni e con un po' di soldi" (Jordi Mestre, addetto alle giovanili del board Barça), la strada verso l'ennesima rinascita della pazza Inter sembra davvero lunga.

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