Riforma del lavoro? Adesso la vorrebbe anche il calcio...

Calcio
Una immagine della sfida di Lega Pro Spal-Pisa. Macalli spera che i contratti di apprendistato vengano estesi ai giovani calciatori (Getty)
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Allenatori licenziati per "giusta causa", la Lega Pro che chiede l'introduzione dei contratti di apprendistato per i giovani calciatori, i vari casi di mobbing e l'ente previdenziale che cambia: il mondo del pallone scopre il lavoro e le sue dure leggi

NEWS - Riforma del lavoro: ecco cosa cambia

di Lorenzo Longhi

Apprendistato, articolo 18, mobbing, casse di previdenza che cambiano: il calcio, notoriamente - e spesso a ragione - considerato lontanissimo dalle problematiche della vita quotidiana, sotto l'aspetto mediatico sta scoprendo ora il mercato del lavoro e le sue leggi, in linea con l'annunciata riforma del lavoro del governo Monti.

Anche se, negli ultimi giorni in pieno clima di polemica per la paventata cancellazione dell'articolo 18, a fare scalpore è stata la notizia secondo cui l'ex tecnico del Cagliari, Davide Ballardini, non sarebbe stato esonerato ma licenziato per "giusta causa", più in generale a lanciare il sasso nello stagno ci ha pensato il presidente della Lega Pro, Mario Macalli: "L'introduzione nella nostra categoria dei contratti di apprendistato cambierebbe radicalmente la situazione", aveva detto un mese fa a un convegno sul futuro della ex Serie C.

I contratti di appendistato, quelli che tanto piacciono a Monti e al ministro Fornero in tema di flessibilità in entrata, servirebbero alla Lega Pro per derogare in diversi casi sui minimi contrattuali e per accedere a una serie di sgravi contributivi oggi impossibili, anche se è piuttosto singolare riflettere sull'estensione delle specificità del contratto di apprendistato ai calciatori: in fabbrica, la conoscenza tecnica può passare da un operaio specializzato all'apprendista, ma sul campo può un terzino imparare da un altro terzino? E ancora, come andrebbe a impattare la eventuale nuova tipologia contrattuale sulla disciplina che regola i contratti delle migliaia di "giovani di serie" del nostro calcio?

La questione è degna di interesse e sarà dibattuta, anche perché il momento è quello giusto. I calciatori, sin dalla legge 91 del 1981, quella sul professionismo sportivo, sono inquadrati come lavoratori subordinati (lo esplicita l'art. 3), con contratti rigorosamente a tempo determinato per un massimo di 5 anni e tenuti al vincolo di esclusiva. Per questo, sono i club - che gradirebbero, per motivi fiscali, che tutto venisse rivisto e i calciatori diventassero lavoratori autonomi - a versare i contributi previdenziali per i giocatori. Lo facevano all'Enpals, lo fanno ora all'Inps perché quest'ultima, nella più recente finanziaria, ha inglobato quello che era l'ente previdenziale per i lavoratori dello sport e dello spettacolo.

Poi c'è il mobbing, bestia nera di certi club che si sono visti trascinare in tribunale (non solo in quelli sportivi) da alcuni loro dipendenti-calciatori. Il caso più noto è stato quello di Federico Marchetti, ma in Lega Pro sono diversi i casi analoghi che non fanno rumore. E' il mercato del lavoro applicato al calcio. Dove qualcuno, ora, pensa alla riforma.

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