Lo spettro della B? E il milanista ripensa all'incubo Cavese

Calcio
Il tabellone del Meazza decreta il finale: Milan-Cavese 1-2
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La crisi dei rossoneri di Allegri, che contro il Genoa si gioca l'ultimissima carta, riporta all'82, quando Baresi e compagni, che poi stravinceranno il campionato, persero in casa con i campani: un ricordo indelebile nella memoria collettiva

di Alfredo Corallo

"Ma dov'eri tu quando giocavamo con la Cavese?!" E' il solito refrain che, cascasse il mondo, quasi per una smania di autoflagellazione tafazziana, il vecchio cuore rossonero deve resuscitare al cospetto dello sbarbato di turno, svezzato nella bambagia berlusconiana a base di caviale e Champions. Ma non c'è niente da fare: quant'è vero che ognuno porti una sua croce nella vita, quella del milanista si chiama Cavese. Mai però, almeno da trentanni a questa parte, si è fatto così pesante il ricordo di quel 7 novembre 1982, indicato, all'unanimità, come il momento più basso nella gloriosa storia del Diavolo.

Gasati - Colpevolmente retrocesso per la seconda volta in tre anni (la prima per il calcioscommesse, ma il 16 maggio a Cesena sul campo) il Milan formato 82/83 è effettivamente uno squadrone - stravincerà il torneo - forte dei giovani Baresi, Tassotti, Evani, Serena, i senatori Damiani, lo squalo inglese Joe Jordan, Castagner in panchina. Prima in classifica, macchina da gol (19 in otto giornate) pronta a stritolare anche i campani dati per spacciati nonostante l'ottimo avvio di campionato.

L'invasione degli aquilotti - E dire che per Cava dei Tirreni è già una giornata storica: in tremila, tra pullman (12 granturismo), aerei (2), treni (3), insieme a carovane di auto, camper e mezzi di locomozione dei più disparati, si lanciano in pellegrinaggio verso il "Tempio" dedicato al dio Meazza. In totale, secondo le fonti giornalistiche dell'epoca, sommati agli emigrati, a San Siro saranno stati più di diecimila. Il cronista della Gazzetta dello Sport racconta che perfino un professore di Italiano invitò i suoi allievi a raccontare le sensazioni dell'elettrizzante vigilia. E che, in città, la partita si gioca al Bar Mena, in via Garzia, tutti a pendere dalle labbra di Radio Press Panda, un'emittente privata milanese che trasmetteva la diretta anche nella distante provincia salernitana.

Scusa Ameri! - Il gol di Jordan al 23' non spaventa Tivelli, che ha già segnato al Milan con il Foggia ("San Siro? E che sarà mai" se la rideva in settimana). Fatto sta che tre minuti più tardi ti va a indovinare il tiro della vita (perché della domenica non basta, no), un diagonale mancino di rara bellezza che fulmina Ottorino Piotti e arriva nei timpani dei cavesi con il fragore squarciante di un tuono. Se non bastassero le metafore, che poi metafore non sono, il gol del trionfo arriverà veramente da uno che era soprannominato Gigi Riva dell'Adriatico: il pescarese Bartolomeo Di Michele, secondo rombo di tuono e man of the match di giornata. Certo, Tassotti, che oggi è il vice del vituperato Allegri, l'avrà rimosso, ma lo marcava proprio lui: avrà di che farsi perdonare un giorno, se gliene sarà data occasione...

"Nelle strade - leggiamo dalla Gazzetta dell'8 novembre - si è rovesciata una fiumana di gente in festa. In maggioranza ragazzi e anziani, mentre le famiglie scorrazzavano in lungo e in largo sulle macchine colorate di vessilli biancoblù. Andava in tilt il telefono della principale tv locale. Tutti ansiosi di sapere se e quando sarebbe stata mandata in onda la telecronaca registrata. Poi una lunga pausa, fino a mezzanotte. La gente appagata, esausta per la tensione, era rientrata in casa davanti ai teleschermi dove già cominciavano a scorrere le immagini della partita di Milano".

Domani è un altro giorno - Quando arriverà il pullman, non molto tempo dopo, ad attenderlo non c'era folla ("solo tre giornalisti infreddoliti, alcune mogli dei calciatori, un metronotte e due cani randagi"). Scriverà Candido Cannavò nel suo
editoriale sulla rosea di quel lunedì mattina: "La Cavese ha vinto non solo contro il Milan, ma anche e soprattutto contro la 'prima volta' a San Siro, lo stadio che una intramontabile e popolaresca oleografia disegna sempre come Scala del calcio italiano. Sta in questo la sensazionalità di un'impresa che, al di là di ogni stupore, ci porta a scoprire un'immagine piena di fantasia e concretezza della solita 'piccola Italia', che esiste al Nord e al Sud, e che molto spesso abbiamo il torto di trascurare".