Zanetti si racconta all'amico Riotta: come 'Giocare da uomo'

Calcio
Javier Zanetti è nato a Buenos Aires il 10 agosto 1973 (Getty Images)
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L'INTERVISTA. Arriva la biografia del capitano nerazzurro, scritta con GIANNI RIOTTA, che ci racconta com'è nato il libro e chi è il personaggio Zanetti: dal cero acceso a S. Rita prima della finale di Champions ai capelli impeccabili

di Luciano Cremona

«Javier Zanetti non è André Agassi. Ma non è nemmeno Madre Teresa di Calcutta. È uno normale, che da piccolo è stato scartato dalla sua squadra del cuore perché era troppo magro, che ha fatto il muratore e si è fatto i muscoli portando i sacchi di cemento. Ed è uno che ama, tantissimo, il suo sport, il calcio, la vita. E, da oltre vent'anni, lavora come un matto - divertendosi - per fare quello che più gli piace: giocare a calcio, da uomo». Gianni Riotta ci presenta così la biografia del capitano dell'Inter «Giocare da uomo» (Mondadori, 200 pagine, 17,50 euro), in uscita martedì 15 ottobre, scritta da Zanetti assieme al giornalista della Stampa.

Un libro affatto scontato, dove ci sono tante cose che di solito un calciatore non direbbe. Ci sono i ritratti di grandi campioni dello sport, come Beckham, Totti, Del Piero e Mourinho. C'è l'infanzia difficile nel quartiere Dock Sud di Buenos Aires, ci sono le preghiere a Santa Rita prima del Triplete e anche qualche frecciatina, come quella a Tardelli, «il tecnico più scarso che mi abbia mai allenato».



Riotta, lei ha intervistato, tra gli altri, tre presidenti degli Stati Uniti. Ora, invece, si è trovato fianco a fianco con il capitano della sua squadra del cuore. Che effetto le ha fatto?
"Partiamo subito da un dato di fatto: il libro è di Zanetti. Io l'ho solo aiutato a trovare la sua voce, ed è stato un grandissimo piacere. Perché l'ho conosciuto da vicino, ed è una persona vera".

Qualcuno ha detto che è una biografia sullo stile di "Open" di André Agassi. È vero?

"C'è una grossa differenza di fondo. Zanetti nasce povero e a 11 anni vede già concludersi la sua carriera da giocatore, scartato perché troppo minuto. Aiuta il papà nei cantieri, solleva i sacchi di cemento, si fa i muscoli. Poi arriva all'Inter. È una storia di sacrifici, come quella di Agassi, vessato dal padre. Ma a differenza del tennista americano, che non fa altro che lamentarsi e odiare il tennis senza mai ringraziare Dio per il talento che gli è stato donato, quella del capitano è una biografia in cui emerge, oltre al lavoro, oltre ai sacrifici, anche un grande, grandissimo amore per quello che fa e ha fatto. Amore e tanto divertimento".

Zanetti a ruota libera, come difficilmente lo si ascolta dietro ai microfoni...
"Dopo vent'anni, le domande che gli fanno sono sempre le stesse. Nel libro, oltre a tratteggiare alcuni campioni dello sport, dice cose che normalmente i calciatori non hanno il coraggio di riferire. Come quella volta che, di fronte a Marcello Lippi allenatore nerazzurro che diceva Voi avete paura di giocare contro la Juventus, si oppose duramente: Non è vero, mister. Si sbaglia. O come quando dà i voti ai tecnici avuti. Ecco, Tardelli si è preso quello più basso".

Esemplare in campo come nella vita: l'amore con Paula dai tempi del liceo, tre figli, cattolico fervente, la Fundacion Pupi. Ma Zanetti qualche difetto ce l'ha?

"Me lo sono chiesto e gliel'ho chiesto anche io. E difatti ne è saltato fuori un capitolo. Provate voi a fidanzarvi con uno che va ad allenarsi anche il giorno del matrimonio. O che quando è in vacanza al mare prende in spalla la moglie per fare gli esercizi, causa assenza di palestre".

Quali sono i lati più nascosti del capitano nerazzurro che emergono dal libro?
"Zanetti è uno normale. Non è un santo, è un uomo: per niente narciso, fedele a se stesso. Ripeto, normale: nel 2010, la Roma giocava contro la Samp all'Olimpico. Vincendo avrebbe ipotecato lo scudetto. Il capitano guardò quella partita sul divano a casa di Milito, con le mogli che si occupavano della cena e dei bambini. Oppure la mania per i capelli, sempre uguali: da piccolo la mamma lo pettinava così. E che gli basta un po' d'acqua ed eccoli, sempre perfetti".

Nel 2010 arrivò la Champions. Anche grazie a un aiuto... dal cielo.
"Prima della partita di Madrid, in albergo, Javier e Ivan Cordoba si sono chiusi in una camera dell'albergo. E hanno pregato Santa Rita, della quale era devoto fin da bambino, accendendo un cero. Nelle prime righe del libro, invece, Zanetti racconta ciò che urlò a Samuel Eto'o dopo un recupero dell'attaccante nella sfida del Camp Nou contro il Barcellona: Bravissimo Samu, dai che manca poco. C'era ancora un'ora da giocare".

Qual è l'insegnamento più sorprendente che si ricava dal libro?
"Senza dubbio la tesi del capitano secondo cui i giocatori sono la parte migliore del calcio".

Siete volati anche in Argentina, a visitare i luoghi della sua infanzia. Sensazioni?
"Ci avevano sconsigliato tutti di andarci. Dock Sud è un quartiere malfamato. Ma non ci è successo niente. Ed è stato importante per ricostruire un periodo della sua vita fondamentale".

Anche nella stesura del libro, quindi, Zanetti è stato il solito, instancabile, Tractor?

"Assolutamente. Il capitano è un grandissimo professionista, poi con me ha trovato un'ottima spalla: siamo stati due secchioni a confronto. Se decidevamo di trovarci a lavorare sul libro dalle otto alle dieci, lo si faceva, di filato, senza mai alzare la testa".