Se il made in Italy fa ciao ciao. Per ultimo venne il calcio
CalcioE' il tema del momento. Il made in Italy che varca le frontiere e scappa all'estero. Pezzi di Belpaese a pezzi che, poco alla volta, in un domino inarrestabile, finiscono in mani straniere. Dopo Telecom, la moda, l'energia tocca alla Religione Italiana
di Paolo Pagani
E' il tema del momento. Il made in Italy che fa ciao ciao e varca le frontiere, prendendo la via dell'estero. Pezzi di Belpaese a pezzi che, poco alla volta, in un domino apparentemente inarrestabile, finiscono in mani straniere. La penultima azienda italiana ad avere cambiato bandiera è Telecom, l'ultima l'Inter. Ma se Franco Bernabè, ad della company telefonica, disse d'avere appreso dai giornali della cessione della società che guidava (a sua insaputa?), nel caso Moratti-Thohir le cose sono andate in modo diverso: mesi di trattative estenuanti, coi tifosi preda di delusione e batticuore.
Questioni di forma, la sostanza non muta. Energia, banche, moda, lusso, alimentare. Ora il calcio, la Religione degli Italiani. Tutti settori che salutano malinconicamente il tricolore. Dopo e prima di Telecom divorata dalla spagnola Telefonica, altri espatriii illustri. Nel 2011 la francese Lvhm si è accaparrata il 98,09% di Bulgari, azienda del lusso fondata nel 1884. L'anno successivo Valentino è volato invece in Qatar. Lvhm ha messo a segno anche l'acquisto di Emilio Pucci e Fendi. Mentre il brizzolato e ambiziosissimo François Pinault e la sua Ppr (ora ribattezzata Kering) ha acquisito Gucci, Bottega Veneta e Sergio Rossi. Attraverso Gucci, l'operazione ha consentito anche il salvataggio delle porcellane Richard-Ginori.
L'Eccellenza italica, così come i suoi celebrati cervelli, saluta la madrepatria. Fotografia di un declino che non è solo nelle statistiche o nelle cronache finanziarie di mergering (cessioni/acquisizioni) ma nella vita di ogni giorno. Hanno vinto "loro". Gli stranieri. Più competitivi, capaci forse. Ricchi, certamente. Nato a metà Ottocento, il marchio Rinascente che deve il suo nome alla fantasia pindarica del vate D'Annunzio dal 2011 è in mano ai tailandesi di Central Retail. Stessa sorte per Coin, che adesso parla francese. Proprio come Parmalat e Galbani, "mangiate" e digerite dalla più grande Lactalis.
Le banche? Cariparma è controllata da Crédit Agricole (Francia), mentre la Banca Nazionale del Lavoro fa parte di Bnp Paribas (Francia). Per non parlare di Alitalia, corteggiata dai russi di Aeroflot e dagli arabi del Gruppo Etihad, ora pronta a sposare (a prezzo di saldo fuori stagione, beninteso) il pretendente di sempre, il cugino d'Oltralpe Air France. E avanti così.
E' il tema del momento. Il made in Italy che fa ciao ciao e varca le frontiere, prendendo la via dell'estero. Pezzi di Belpaese a pezzi che, poco alla volta, in un domino apparentemente inarrestabile, finiscono in mani straniere. La penultima azienda italiana ad avere cambiato bandiera è Telecom, l'ultima l'Inter. Ma se Franco Bernabè, ad della company telefonica, disse d'avere appreso dai giornali della cessione della società che guidava (a sua insaputa?), nel caso Moratti-Thohir le cose sono andate in modo diverso: mesi di trattative estenuanti, coi tifosi preda di delusione e batticuore.
Questioni di forma, la sostanza non muta. Energia, banche, moda, lusso, alimentare. Ora il calcio, la Religione degli Italiani. Tutti settori che salutano malinconicamente il tricolore. Dopo e prima di Telecom divorata dalla spagnola Telefonica, altri espatriii illustri. Nel 2011 la francese Lvhm si è accaparrata il 98,09% di Bulgari, azienda del lusso fondata nel 1884. L'anno successivo Valentino è volato invece in Qatar. Lvhm ha messo a segno anche l'acquisto di Emilio Pucci e Fendi. Mentre il brizzolato e ambiziosissimo François Pinault e la sua Ppr (ora ribattezzata Kering) ha acquisito Gucci, Bottega Veneta e Sergio Rossi. Attraverso Gucci, l'operazione ha consentito anche il salvataggio delle porcellane Richard-Ginori.
L'Eccellenza italica, così come i suoi celebrati cervelli, saluta la madrepatria. Fotografia di un declino che non è solo nelle statistiche o nelle cronache finanziarie di mergering (cessioni/acquisizioni) ma nella vita di ogni giorno. Hanno vinto "loro". Gli stranieri. Più competitivi, capaci forse. Ricchi, certamente. Nato a metà Ottocento, il marchio Rinascente che deve il suo nome alla fantasia pindarica del vate D'Annunzio dal 2011 è in mano ai tailandesi di Central Retail. Stessa sorte per Coin, che adesso parla francese. Proprio come Parmalat e Galbani, "mangiate" e digerite dalla più grande Lactalis.
Le banche? Cariparma è controllata da Crédit Agricole (Francia), mentre la Banca Nazionale del Lavoro fa parte di Bnp Paribas (Francia). Per non parlare di Alitalia, corteggiata dai russi di Aeroflot e dagli arabi del Gruppo Etihad, ora pronta a sposare (a prezzo di saldo fuori stagione, beninteso) il pretendente di sempre, il cugino d'Oltralpe Air France. E avanti così.