"Ho visto l'Inferno: è dove i bambini non giocano a pallone"

Calcio
L'inviato della "Stampa" Domenico Quirico è rimasto 5 mesi in prigionia in Siria
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L'INTERVISTA. Domenico Quirico, il grande inviato della Stampa rimasto per 152 terribili giorni prigioniero dei ribelli in Siria pubblica il suo diario: Il Paese del male. Milanista sfegatato e maratoneta, ammette: Kakà? Ancora il migliore...

di Alfredo Corallo

Nelle mille e un'Odissea stravissute da un inviato di guerra nei luoghi del finimondo come Domenico Quirico lo sport acquista, direbbe lui, un senso cabalistico. Aggiungeremmo: provvidenziale. In Libia, soltanto nell'agosto di due anni fa, quando fu rapito per la prima volta - in piena guerra civile, sulle tracce del raìs, con le milizie anti-Gheddafi a spaccare il cuore di Tripoli - un angelo dalle sembianze di un giovane mercenario della legione africana del Colonnello, sotto la giubba... "Tra caricatori e mitra - scriverà Quirico su La Stampa - vedo una maglia che conosco, bianca con le strisce rosse e nere, la maglia della mia squadra, il Milan. Ha seguito la sequenza dell'uccisione del mio autista, il viso ricamato con tutti i punti interrogativi della curiosità. In quella traversata del male è come un segno di casa, un appello a sperare. Per tentare di comunicare con quelli che possono essere, ancora, i miei assassini, ho dunque un oggetto comune, il simbolo di una passione che, incredibilmente, ci affratella. Gli faccio un segno, lo tento: «Hai una bella maglia...». Il ragazzo mi guarda e poi, svelto, inizia a spogliarsi della cartucciera, si leva la maglia e me la porge: «Ti piace? E' tua...».

Nel secondo dei sequestri che Quirico - e il compagno di disavventura belga, l'insegnante Pierre Piccinin Da Prata - ci raccontano ne Il Paese del male. 152 giorni in ostaggio in Siria (Neri Pozza Editore), da oggi in libreria, è la corsa, in senso lato, a confermare questa dimensione salvifica della vita sportiva.

Com'è andata, Domenico?
"Sa, abituato a correre la maratona, la più sublime delle gare, e senza poter neanche muovere le gambe in quei 5 mesi di prigionia... Mi è sembrata una terribile punizione. Però quel ritmo che conoscevo, che avevo dentro, mi ha aiutato a sopravvivere".

Ci racconta di combattenti di Al Qaida che vivono e muoiono di odio nei confronti degli occidentali. Ma che tifano per il Real Madrid...
"Sembrerebbe paradossale, ma non lo è. Perché parliamo di fanatici, fuori da qualsiasi circuito, inimmaginabile. E i calciatori possiedono una magia straordinaria, commuovono, cacciano ad ognuno il diavolo in corpo, anche quando l'uomo lotta per uccidere l'altro e quello che gli rimane non è che la fede per la sopravvivenza".

Nel suo personalissimo inferno ha visto cose che noi umani...
"Certo. Ma se rimaniamo nell'ambito sportivo, mi sono reso conto che il dramma della Siria è talmente profondo e terribile che, tra tutti i luoghi più assurdi che ho visitato, dalla Somalia al Ruanda, è l'unico posto al mondo dove non ho visto bambini giocare al pallone. Questo dà l'idea della guerra totale e dell'odio che anima questo Paese".

Quando è tornato a casa, già all'aeroporto di Ciampino, le è stato riferito che il suo Milan aveva ripreso Kakà. Memorabile la sua battuta: "Quasi quasi me ne ritorno in Siria...".
(risata) "Chiedo scusa! Sta giocando benissimo, ero stato un po' pessimista quando Galliani mi ha regalato la sua maglia e mi ha detto «si ricrederà»... Ma non ce l'avevo con Ricardo, che è un campionissimo e ringrazieremo sempre per quello che ci ha fatto vincere. Trovo soltanto che da qualche tempo il Milan 'ricicli' invece di investire su delle giovani promesse, una politica dell'usato, non sicuro. La minestra riscaldata, non a caso si trova in questa posizione di classifica...".

Si parla di un ciclo finito, nel suo precedente libro salutava gli sconfitti della Storia, Atahualpa come Rasputin (Gli ultimi. La magnifica storia dei vinti. Neri Pozza Editore).
"Vede, il vantaggio del football è che tutto, poi, può ricominciare (escluse le squadre fallite, ma quelle per motivi extracalcistici). Non come i grandi imperi. Non esiste nessuna squadra che abbia sempre vinto, ricordo delle stagioni memorabili, con Rivera, Rocco, van Basten, ma anche la serie B. Sono due mondi antitetici, le grandi dinastie e il calcio, che non possono essere messi a paragone".

Qualche giorno dopo la sua liberazione il ct Cesare Prandelli l'ha invitata a Coverciano. E lì ha conosciuto Balotelli.
"Abbiamo parlato, ma per 5 minuti, e non posso certo giudicarlo. Mi spiace però che non sia più quello di qualche tempo fa... Ma è giovane e avrà tempo per rifarsi. Ci conto, Mario. Mi raccomando!".