Casasport, quando il calcio non è soltanto un gioco

Calcio
La squadra Casasport gioca il suo primo "vero" campionato dall'autunno 2013 (Foto Sky)
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A Milano, non lontano dalla multiculturale Via Padova, un gruppo di ospiti ed ex ospiti della Casa della Carità, provenienti da tutto il mondo, sta giocando il suo primo campionato. Ecco la storia di una squadra molto particolare

di Roberto Brambilla

“Non perdiamo più, non perdiamo più”. Rilindas, Mohammed, Magdi, Mimì, Guido, lo urlano abbracciati in cerchio al centro del campo nel loro italiano dai mille accenti. L'arbitro ha appena fischiato la fine della partita e la loro squadra, il CasaSport, ha appena battuto 3-1 l'Ambrosiana Gold. Terza vittoria in campionato e seconda consecutiva per i ragazzi in maglia gialla. Tre punti che valgono doppio non solo in campo. Casasport infatti è la squadra formata da ospiti o ex residenti della Casa della Carità di Milano, iscritta al campionato Us Acli.


Una squadra per stare insieme - Per CasaSport, quello che disputa a Milano tra via Brambilla, ai limiti della multietnica via Adriano, a pochi metri dalla struttura fondata da Don Colmegna e la periferia, è il primo torneo “vero” della sua storia, ma queste non sono le prime partite. “Abbiamo cominciato 5 anni fa – racconta Generoso Simeone, uno dei dirigenti e “anime” della squadra, insieme all'allenatore e all'altro accompagnatore Marco – per qualche stagione abbiamo giocato in primavera il torneo dei centri sociali e delle comunità straniere organizzato dall'associazione Olinda e per un periodo nel 2009 abbiamo avuto un allenatore di Inter Campus." "Invece nel settembre 2013 - aggiunge -abbiamo deciso di iscriverci al campionato Acli”. “Volevamo avere la possibilità – spiega il dirigente - di far giocare i ragazzi e di farli stare insieme di tutto l'anno”. “Il pallone – racconta Giuseppe “Peppe” Monetti, responsabile dell'accoglienza e dell'assistenza legale di Casa della Carità e allenatore del Casasport– è importante perchè mette tutti sulla stessa riga, li fa stare insieme facendo una cosa che a loro piace e soprattutto con il pallone i ragazzi riescono a dimenticare per 90 minuti le difficoltà di tutti i giorni”.



Tutto il mondo è pallone, ma si parla italiano – Nessun allenamento istituzionalizzato (“il sabato mattina andiamo in un campo a Parco Lambro e giochiamo contro chi arriva” dice qualcuno) e una rosa di una ventina di ragazzi, che vivono alla Casa della Carità o che sono stati in passato ospiti della struttura. Quasi tutti sono migranti, vengono dal Togo, dal Marocco, dall'Egitto, dal Niger, ma anche dalla Romania e dal Kosovo. E in campo parlano italiano, come spiega Mohammed, squalificato alla partita ("non lo sapevo, mi ero preso il giorno libero" dice dispiaciuto) e che segue il suo match, da oltre la recinzione, incitando i compagni. “E' l'unica maniera per farsi capire da tutti”.

Dal Kosovo con il mito di Suarez – La star di giornata è Rilindas, per tutti Das, 19 anni, attaccante. Due gol (il terzo l'ha segnato Lamin, soprannominato Pogba) , uno mancato (“mi è rimasta sotto” dice indicando la suola della scarpa) e una storia legata al pallone. A 16 anni, nel 2011, è arrivato in Italia con l'Fk Illiria per giocare alcuni tornei. E ha deciso di fermarsi in Italia, Come minorenne è stato ospitato da una comunità di Milano, poi l'incontro con la casa della Carità, dove vive ora. Dopo aver fatto un corso per panettiere sta cercando lavoro. Coltivando la passione per il calcio e con un mito. “io che ho sempre giocato attaccante adoro Suarez anche perchè fin da bambino tifo il Liverpool”.

Moussa e Abdel, sempre presenti - “Sono del Niger, non nella Nigeria” dice con un pizzico d'orgoglio Moussa, il capitano. Lui in campo contro l'Ambrosiana non c'era ma ha seguito il match dalla tribuna, insieme ai tifosi del Casasport, una decina tra operatori. amici e parenti dei giocatori. Cresciuto in Libia da genitori nigerini, Moussa è arrivato alla Casa della Carità nel 2009, poco più che maggiorenne, dopo un viaggio attraverso il Mediterraneo. Più o meno nello stesso periodo ha cominciato a giocare con i suoi compagni, da centrocampista e milanista che adora Andrea Pirlo. Ora è un veterano come Abdel, classe 1985. Marocchino, tifa il Raja Casablanca, di cui porta orgogliosamente tuta e bandiera. E' arrivato dal suo paese nel 2003 a Milano, viaggiando tra le ruote e la carrozzeria (“senza mangiare e senza bere per tre giorni”) e dopo alcuni anni da clandestino è arrivato in via Brambilla. E non è più andato via. Giocando sempre a pallone, in difesa come il suo mito Zanetti. “Gioco per sfogarmi e per stare insieme ai miei amici”.

To be continued.. - Il sogno di CasaSport, oltre all'allenatore, ai dirigenti e a Don Virginio Colmegna che è presidente onorario, ha un po' d'Italia. Oltre all'attaccante Davide c'è Guido, milanese, di professione enologo, quasi 30 anni. Un medianaccio, volontario nella struttura di Don Colmegna che gioca con la squadra fin dai tornei nei centri sociali. "Giocare con loro ti da una carica incredibile - spiega - perchè per i ragazzi non è importante tutto il resto, ma solo la palla che rotola".  Per continuare però c'è anche bisogno di sostegno economico, per pagare le spese, tra cui l'affitto del campo. “Per sostenerci abbiamo dato il via a una campagna associativa – spiega Generoso Simeone – è possibile diventare soci per un anno pagando 10 euro e ci siamo affidato a Limoney, sito di crowdfunding per sostenere le nostre spese (ecco il link per sostenere progetto)”.