Kubala e la Pro Patria, matrimonio che non s'aveva da fare
CalcioNel 1949 il giovane László fuggì dall'Ungheria e riparò a Busto alla corte del presidente Cerana. Ma non poté mai giocare una partita ufficiale, a causa di una squalifica a vita che gli fu tolta solo quando passò al Barcellona. Dove divenne un mito
di Lorenzo Longhi
Il migliore lo vedevano all'opera tutti i giorni, ma non quando serviva: in quel 1949, László Kubala vestiva la maglia della Pro Patria. In allenamento e nelle amichevoli, ma non in campionato. Perché era squalificato a vita, quel ragazzo nato in Ungheria ma apolide per convinzione e destino. Dall'Ungheria comunista era fuggito, aveva riparato in Italia passando attraverso l'Austria e aveva scelto di mostrare il suo calcio, qualora ne avesse avuto la possibilità, a Busto Arsizio. Il tutto per merito di Peppino Cerana, presidente della Pro migliore di sempre. Ci aveva visto giusto, Cerana, e aveva saputo toccare le corde adatte: László, uno dei giovani talenti più forti del calcio europeo, preferì Busto al Torino di Novo e alla Juventus degli Agnelli, perché lì si sarebbe inserito facilmente, grazie alla presenza di diversi suoi connazionali, come Viney e Turbekey.
E bene, in effetti, si inserì. Solo che fu tutto inutile, perché la fuga dall'Ungheria aveva portato per lui l'ostracismo del calcio internazionale, con la Fifa che ratificò la sua squalifica. Ma a Busto la fede era incrollabile e, dal momento che la soluzione era tutt'altro che semplice, qualcuno organizzò una spedizione a Roma. Gennaio 1950: partirono un paio di industriali bustocchi ed altrettanti dirigenti della Pro. L'obiettivo, per sbloccare la squalifica del migliore, era chiedere l'intercessione con la federazione ungherese al Migliore, al segretario del Pci Palmiro Togliatti cioè, considerando la sua nota passione calcistica (quella che, un giorno, lo portò ad apostrofare Pietro Secchia con uno sferzante "e tu pensi di fare la rivoluzione senza sapere i risultati della Juve?").
Partirono, arrivarono, tornarono indietro. Alle Botteghe Oscure li dissuasero: Togliatti aveva altro a cui pensare, inutile compiere passi che non avrebbero raggiunto lo scopo. Il sogno, più o meno, cedette il passo alla realtà proprio in quel momento e tutti capirono che mai László Kubala avrebbe giocato con la Pro Patria una partita ufficiale.
Andò proprio così. Il 30 novembre 1950, infatti, fu proprio Kubala ad organizzare la fuga di una dozzina di calciatori ungheresi tesserati per squadre italiane. Partenza da Ciampino, direzione Colombia, con l'obiettivo di far nascere un club di globetrotter, l'Hungaria, che non venne mai riconosciuto dalla Fifa. Durò poco, ma portò fortuna a tutti, a László soprattutto, perché fu proprio in quel periodo che Pepe Samiter, onnipotente manager del Barcellona, si adoperò per procurare a Kubala un passaporto spagnolo e, sfruttando le sue entrature politiche, riuscì a fare ridurre ad un anno la sua squalifica. Perché il Barcellona, a palazzo, conta più della Pro Patria. Kubala diventerà uno dei più forti giocatori della storia del Barcellona. E cosa sarebbe successo se avesse potuto giocare con la Pro Patria, noi non lo sapremo mai.
Il migliore lo vedevano all'opera tutti i giorni, ma non quando serviva: in quel 1949, László Kubala vestiva la maglia della Pro Patria. In allenamento e nelle amichevoli, ma non in campionato. Perché era squalificato a vita, quel ragazzo nato in Ungheria ma apolide per convinzione e destino. Dall'Ungheria comunista era fuggito, aveva riparato in Italia passando attraverso l'Austria e aveva scelto di mostrare il suo calcio, qualora ne avesse avuto la possibilità, a Busto Arsizio. Il tutto per merito di Peppino Cerana, presidente della Pro migliore di sempre. Ci aveva visto giusto, Cerana, e aveva saputo toccare le corde adatte: László, uno dei giovani talenti più forti del calcio europeo, preferì Busto al Torino di Novo e alla Juventus degli Agnelli, perché lì si sarebbe inserito facilmente, grazie alla presenza di diversi suoi connazionali, come Viney e Turbekey.
E bene, in effetti, si inserì. Solo che fu tutto inutile, perché la fuga dall'Ungheria aveva portato per lui l'ostracismo del calcio internazionale, con la Fifa che ratificò la sua squalifica. Ma a Busto la fede era incrollabile e, dal momento che la soluzione era tutt'altro che semplice, qualcuno organizzò una spedizione a Roma. Gennaio 1950: partirono un paio di industriali bustocchi ed altrettanti dirigenti della Pro. L'obiettivo, per sbloccare la squalifica del migliore, era chiedere l'intercessione con la federazione ungherese al Migliore, al segretario del Pci Palmiro Togliatti cioè, considerando la sua nota passione calcistica (quella che, un giorno, lo portò ad apostrofare Pietro Secchia con uno sferzante "e tu pensi di fare la rivoluzione senza sapere i risultati della Juve?").
Partirono, arrivarono, tornarono indietro. Alle Botteghe Oscure li dissuasero: Togliatti aveva altro a cui pensare, inutile compiere passi che non avrebbero raggiunto lo scopo. Il sogno, più o meno, cedette il passo alla realtà proprio in quel momento e tutti capirono che mai László Kubala avrebbe giocato con la Pro Patria una partita ufficiale.
Andò proprio così. Il 30 novembre 1950, infatti, fu proprio Kubala ad organizzare la fuga di una dozzina di calciatori ungheresi tesserati per squadre italiane. Partenza da Ciampino, direzione Colombia, con l'obiettivo di far nascere un club di globetrotter, l'Hungaria, che non venne mai riconosciuto dalla Fifa. Durò poco, ma portò fortuna a tutti, a László soprattutto, perché fu proprio in quel periodo che Pepe Samiter, onnipotente manager del Barcellona, si adoperò per procurare a Kubala un passaporto spagnolo e, sfruttando le sue entrature politiche, riuscì a fare ridurre ad un anno la sua squalifica. Perché il Barcellona, a palazzo, conta più della Pro Patria. Kubala diventerà uno dei più forti giocatori della storia del Barcellona. E cosa sarebbe successo se avesse potuto giocare con la Pro Patria, noi non lo sapremo mai.