Zola contro Mancini: la ricetta dei grandi 10 è l'equilibrio
CalcioCagliari-Inter vede per la prima volta i due ex-fantasisti affrontarsi da allenatori in A. Tornati in Italia per amore, hanno risollevato le loro squadre puntando su ordine ed equilibrio. Dimostrando che il genio può andare d'accordo con le regole
“Non mi sarei mai aspettato che potesse diventare un allenatore”, disse Zola qualche anno fa alla stampa inglese, riferendosi a Roberto Mancini e al modo in cui lo aveva conosciuto lui da giocatore: carismatico, certo, ma sempre un po' folle. “Ma scommetto che se parlaste con qualcuno dei miei vecchi compagni di squadra probabilmente anche loro direbbero la stessa cosa di me”. Allenatori quasi per caso, siamo di fronte a due belle dimostrazioni (forse casi più unici che rari) di come il genio calcistico possa essere trasferito in panchina.
Sì, perché Zola e Mancini per il calcio italiano sono innanzitutto due tra i migliori “10” che si siano visti negli anni Novanta, e poi anche allenatori, o manager se preferite, vista l’importanza dell’esperienza inglese per entrambi. Esportati con tempi, modalità e fortune diversi (Zola da giocatore al culmine della carriera, il Mancio per un finale di carriera che pochi ricordano, prima di tornarci da allenatore di successo), hanno saputo farsi amare in Inghilterra, patria del calcio pratico che sa però riconoscere gli uomini in grado di sussurrare al pallone. O di insegnare agli altri come bisogna sussurrargli.
E adesso rieccoli qua in Italia, uno contro l’altro per la prima volta da allenatori di serie A, entrambi tornati per amore, entrambi tornati per rianimare due squadre incapaci di superare i limiti tattici dei loro predecessori. Zola non ha saputo dire di no al Cagliari (club del cuore nonostante ci abbia giocato solo per un paio di stagioni) che con Zeman stava sprofondando nelle classiche contraddizioni del boemo. L’Inter e il Mancio, invece, non avevano mai smesso di amarsi, e così, quando fu chiaro che con Mazzarri non si poteva andare avanti, ecco il ritorno di fiamma.
La cosa veramente curiosa, però, è il modo in cui hanno operato d’urgenza i loro pazienti, con tecniche e prudenza che non diresti mai possano appartenere a un ex-fantasista di professione. Forse più prevedibile nel caso del sempre pacato Zola: arrivando dopo un estremista come Zeman era dura inventarsi un Cagliari ancor più spregiudicato. È bastato dare un po’ di ordine ai reparti dimenticati dal boemo per infilare tre risultati utili consecutivi. Sorprendente, invece, la filosofia del Mancio: l’uomo che in passato arrivò a schierare 4 punte di ruolo contemporaneamente, oggi adora l’equilibrio di Brozovic, scopre di non poter fare a meno di Medel e manda in panchina il “10” nerazzurro Kovacic.
Il nuovo rombo interista nasce proprio dalla quadratura del cerchio trovata da Mancini, molto più british anche a livello di temperamento. Lontanissimi i tempi in cui affrontò a muso duro il compagno di squadra Veron (che poi allenerà all’Inter) per un corner battuto male; roba vecchia lo scontro con Balotelli in allenamento al City. E anche Osvaldo è ormai un ricordo sbiadito...
Sì, perché Zola e Mancini per il calcio italiano sono innanzitutto due tra i migliori “10” che si siano visti negli anni Novanta, e poi anche allenatori, o manager se preferite, vista l’importanza dell’esperienza inglese per entrambi. Esportati con tempi, modalità e fortune diversi (Zola da giocatore al culmine della carriera, il Mancio per un finale di carriera che pochi ricordano, prima di tornarci da allenatore di successo), hanno saputo farsi amare in Inghilterra, patria del calcio pratico che sa però riconoscere gli uomini in grado di sussurrare al pallone. O di insegnare agli altri come bisogna sussurrargli.
E adesso rieccoli qua in Italia, uno contro l’altro per la prima volta da allenatori di serie A, entrambi tornati per amore, entrambi tornati per rianimare due squadre incapaci di superare i limiti tattici dei loro predecessori. Zola non ha saputo dire di no al Cagliari (club del cuore nonostante ci abbia giocato solo per un paio di stagioni) che con Zeman stava sprofondando nelle classiche contraddizioni del boemo. L’Inter e il Mancio, invece, non avevano mai smesso di amarsi, e così, quando fu chiaro che con Mazzarri non si poteva andare avanti, ecco il ritorno di fiamma.
La cosa veramente curiosa, però, è il modo in cui hanno operato d’urgenza i loro pazienti, con tecniche e prudenza che non diresti mai possano appartenere a un ex-fantasista di professione. Forse più prevedibile nel caso del sempre pacato Zola: arrivando dopo un estremista come Zeman era dura inventarsi un Cagliari ancor più spregiudicato. È bastato dare un po’ di ordine ai reparti dimenticati dal boemo per infilare tre risultati utili consecutivi. Sorprendente, invece, la filosofia del Mancio: l’uomo che in passato arrivò a schierare 4 punte di ruolo contemporaneamente, oggi adora l’equilibrio di Brozovic, scopre di non poter fare a meno di Medel e manda in panchina il “10” nerazzurro Kovacic.
Il nuovo rombo interista nasce proprio dalla quadratura del cerchio trovata da Mancini, molto più british anche a livello di temperamento. Lontanissimi i tempi in cui affrontò a muso duro il compagno di squadra Veron (che poi allenerà all’Inter) per un corner battuto male; roba vecchia lo scontro con Balotelli in allenamento al City. E anche Osvaldo è ormai un ricordo sbiadito...