Gibì Fabbri, l'artigiano del calcio che plasmava campioni

Calcio

Massimo Corcione

GB Fabbri allenò Fabio Capello alla Spal
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IL PERSONAGGIO. Amava il lambrusco e rifuggiva dai riflettori, maestro di gioco e di vita. Cambiò il destino di giovani calciatori come Edy Reja, Fabio Capello e Paolo Rossi quando ancora non era "Pablito". E' scomparso dopo una lunga malattia

Dopo Pesaola, se n’è andato Gibì Fabbri, a 89 anni, una lunga vita interamente consacrata al calcio. Questa tarda primavera sta trasformandosi in una lunga stagione degli addii che impone di riaprire album ormai ingialliti dal tempo. Storie di cinquanta anni fa. Storie di uno sport che in comune con questo, avvelenato dalle polemiche e dagli scandali, aveva pochissimo, praticamente nulla tranne un pallone che a volte disegnava traiettorie imprevedibili.

Un romanzo popolare scritto in provincia: aneddoti innaffiati dal lambrusco. Quando il ragazzino Fabio Capello arriva a Ferrara per cominciare una carriera che lo porterà a vincere tutto, da calciatore prima e da allenatore poi. Ad accoglierlo, a plasmarlo nella Spal c’era Gibì Fabbri, maestro di calcio, come oggi se ne vedono pochi. E il giudizio non risente della retorica del ricordo. Le tute erano felpate, con l’elastico a stringere le caviglie, l’unica scritta (enorme) era formata da quelle enormi lettere S-P-A-L cucite a mano e destinate a logorarsi presto.

A lezione da Gibì: ogni allenamento valeva più di un corso a Coverciano. E non è un caso se da quella squadra sono venute fuori generazioni di allenatori: Reja ancor prima di Capello, allievi di chi mai ha voluto essere un professore. Neppure quando, da artigiano, costruì un gioiello a Vicenza, la patria del gioiello. La pietra più preziosa si chiamava Paolo Rossi, o meglio Paolorossi, non ancora Pablito. Era un ragazzino che alla Juventus era stato martoriato dagli infortuni. Un’operazione al menisco poteva costare una carriera, figurarsi due…
Il futuro Pablito a Vicenza venne quasi riprogrammato: da ala destra a centravanti, supercannoniere che a Torino sarebbe tornato attraverso un cammino un po’ tortuoso, poi sublimato dal mondiale vinto in Spagna nell’82. E il ringraziamento fu per Gibì, maestro che aveva ripreso il suo giro d’Italia, preferendo sempre la penombra ai riflettori accecanti. Centro di gravità sempre Ferrara, l’unico posto dove è ripassato più volte, attirato da forze impossibili da dominare. La notizia della sua fine ha obbligato a riaccenderle quelle luci, per un giorno. Il modo più sincero per celebrare un grande signore del calcio.