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Favola Dalkurd: la "nazionale curda" dei miracoli promossa nella Serie A svedese

Calcio

Francesco Giambertone

I tifosi del Dalkurd con le bandiere del Kurdistan festeggiano la promozione (Foto Akman Production)

La squadra fondata 13 anni fa in Svezia da un gruppo di rifugiati del Kurdistan, e diventata la "nazionale" di un intero popolo senza uno Stato, giocherà il massimo campionato grazie alla settima promozione dal 2004. Due anni fa tutti i giocatori erano scampati a un disastro aereo

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Sono la rappresentativa di un Paese che non esiste ma giocano nella seconda divisione svedese. Tredici anni fa non avevano un nome, uno stemma, una maglia. Solo un sogno: creare una squadra che difendesse i colori del loro popolo, quello curdo (che invece sì, esiste eccome) nello Stato in cui erano stati accolti come rifugiati, la Svezia. Quella del Dalkurd FF, la società fondata nel 2004 in una contea a 3 ore da Stoccolma, potrebbe sembrare la “solita” storia di calcio e inclusione sociale da apprezzare e dimenticare nell'arco di pochi minuti. Se non fosse che l'anno prossimo il Dalkurd, ormai per tutti “la nazionale curda” all'estero, giocherà nella Serie A svedese dopo 7 promozioni, di cui 5 consecutive. E dopo aver rischiato una fine tragica in un disastro aereo, ora coltiva il sogno (realizzabile) di un posto in Champions League e di un derby contro i turchi del Galatasaray o del Fenerbahçe.

Rifugiati e milionari

Tutto è cominciato nel 2004, quando nove rifugiati curdi fondarono la squadra a Borlänge, nella contea di pescatori di Dalarna. Nel simbolo del club misero la bandiera a strisce orizzontali rosse, bianche e verdi, con un sole al centro: quella del Kurdistan iracheno, la terra da cui erano fuggiti. Il progetto aveva ambizioni sociali più che sportive: tenere i bambini immigrati lontano dalla strada e provare a intergrarli in un Paese che dagli anni Settanta li aveva accolti sì, ma non senza difficoltà di inserimento. Negli anni il team è cresciuto e nel 2016 l'associazione che lo presiede ha ceduto il 49% delle quote a due milionari, i fratelli Sarkat e Kawa Junad, anche loro curdi e proprietari di una società di telecomunacazioni. Fino all'ultimo gradino della scalata, raggiunto sabato con la vittoria per 1-0 sul Gais nello stadio di casa (la bellezza di 6500 tifosi), che ha regalato ai curdi un posto nel massimo campionato svedese.

Il referendum e il capitano attivista

Un campionato proprio il Kurdistan non ce l'ha, e nemmeno una vera nazionale. Perché di fatto non è uno Stato, né per la Fifa, né per la politica internazionale. È un territorio (in parte autonomo ma non indipendente) diviso tra diversi Paesi: Turchia, Siria, Iraq e Iran. La parte irachena, come la Catalogna di Piqué, ha votato un referendum per l'indipendenza lo scorso settembre: il sì ha stravinto ma da Baghdad, per tutta risposta, è arrivata solo una violenta repressione. Così oggi milioni di persone fanno il tifo per una (ex) squadretta a migliaia di chilometri di distanza dalla terra per la quale combatte, capitanata proprio da un curdo, l'amatissimo (e molto attivo per la patria) Peshraw Azizi, difensore centrale barbuto e filantropo, figlio di un combattente Peshmerga. Quelli che da anni fronteggiano l'Isis sul confine con la Siria, per capirci.

Vivi per miracolo

E pensare che i giocatori del Dalkurd, frontman incluso, a quest'ora dovevano essere tutti morti. Nel marzo 2015 sono scampati per miracolo al disastro aereo dell'Airbus Germanwings 9525, partito da Barcellona con destinazione Dusseldorf e precipitato sulle Alpi della Provenza per mano del copilota suicida Andreas Lubitz, che causò la morte di 150 persone. I calciatori tornavano da una trasferta in Spagna avrebbero dovuto essere tutti su quell'aereo. All'ultimo momento decisero che lo scalo in Germania sarebbe stato troppo lungo e scelsero di dividersi su altri tre voli. Il destino, per loro, aveva altri piani.