Non siate timidi: tirate fuori cornetti, sale e ferri di cavallo. Sappiate che nel mondo del pallone c'è chi fa di peggio, con riti e rituali pazzeschi. Cosa non si fa per ingraziarsi la Dea bendata...
1) RIUNIONE DI GABINETTO
Stamford Bridge, spogliatoio del Chelsea. Chi l’ha frequentato nei primi Anni Duemila vi riferirà della strana coda che si creava davanti al bagno, prima di qualsiasi partita. Terry, Lampard, Cole, in tempi più recenti anche Fabregas. Tutti in fila, per andare al gabinetto. I motivi fisiologici c’entrano fino a un certo punto, poi subentra la scaramanzia. John Terry, capitano di quella comitiva nonché uno tra i giocatori più superstiziosi che la storia ricordi, ammise di aver usato per anni sempre lo stesso bagno, prima delle partite casalinghe; e se era occupato, aspettava, anche se ce n’erano altri liberi. Anche il tedesco Mario Gomez, ex Bayern e Fiorentina, ha sempre avuto il suo bagno preferito, nello spogliatoio: rigorosamente l’ultimo a sinistra. L’ex portiere dell’Inghilterra David James, invece, aveva per sua stessa ammissione una "routine pre-gara così lunga che non entrerebbe in una pagina": tra le sue manie, quella di restare nel bagno dello spogliatoio finché non fossero usciti tutti. A quel punto, sputava sul muro e poteva lasciare lo spogliatoio. Infine due ex-Nazionali: nella sua autobiografia, Andrea Pirlo racconta delle abitudini di Pippo Inzaghi, che “andava al bagno anche 3 volte in 10 minuti e, soprattutto, lo faceva nel nostro spogliatoio poco prima che iniziasse la partita”. SuperPippo si giustificava dicendo che la cosa gli portava fortuna: “Non a noi”, rispondeva Pirlo con la sua ironia. Durante i Mondiali del 2006, invece, divenne celebre il “ritiro” di Gattuso, che prima di ogni partita si sedeva sul water con un libro di Fëdor Dostoevskij e ne leggeva alcune pagine. Cosa volete dirgli? Alla fine ha funzionato…
2) IL RUBA-PALLONI
Il portiere del Borussia Dortmund, lo svizzero Roman Bürki, è uno di quelli che amano prendersela con i più piccoli. Prima di ogni partita “ruba” il pallone al bambino che l’ha portato in campo accompagnando le squadre, poi lo accarezza con i guanti. E se ce l’ha in mano l’arbitro? Non si fa problemi, lo ruba anche a lui.
3) PREGO, DOPO DI LEI
L’elenco di quelli che amano scendere in campo per ultimi è lungo. Un premio particolare va a Kolo Touré, che per assecondare la propria mania riuscì persino a farsi ammonire. Quando giocava nell’Arsenal, durante l’intervallo di una gara di Champions contro la Roma, il suo compagno di squadra Gallas si era attardato negli spogliatoi per farsi curare dai fisioterapisti: Touré lo aspettò fino all’ultimo e anche di più, dato che la partita riprese con l’Arsenal in 9, senza i due giocatori. Riemersi dagli spogliatoi (Gallas davanti e Touré dietro), il povero Kolo si beccò anche il giallo per essere rientrato in campo senza il permesso dell'arbitro. Anche Paul Ince, ai tempi dello United, voleva essere l’ultimo ad uscire dal tunnel degli spogliatoi, e lo faceva senza maglia, che indossava solo dopo essere entrato in campo. Ama essere l’ultimo (ma solo in fila) anche Cristiano Ronaldo, e chissà quanto soffre, da capitano del Portogallo, quando è costretto dal regolamento a guidare la squadra all’ingresso in campo.
Spogliatoio dell'Arsenal, prima di una partita benefica tra le sue "Legends" e le "Milan Glorie". Kolo Tourè uscirà per ultimo anche in questo caso?
4) INNO IN SILENZIO
C’è chi lo ascolta senza neanche muovere le labbra e chi lo urla a squarciagola, ma non crediate che sia una questione di attaccamento alla Patria. Pura scaramanzia: il ceco Tomáš Rosický, ad esempio, smise di cantare l’inno nazionale ad voce alta dopo essersi accorto che, se lo faceva, poi perdeva. Mario Gomez, invece, lo cantava con trasporto: quando rimaneva zitto, non segnava mai.
5) MUSICA, MAESTRO!
Di nuovo John Terry in azione, stavolta nel tragitto che va da casa allo stadio. In auto, prima di ogni partita, ascoltava sempre lo stesso cd, di Usher: poi parcheggiava (ovviamente sempre nello stesso posto) e se bisognava salire sul pullman occupava sempre lo stesso sedile. La colonna sonora della Francia campione del mondo nel 1998, invece, fu “I Will Survive” di Gloria Gaynor, che i Bleus ascoltavano sempre nello spogliatoio prima di scendere in campo. Poi un bacio alla pelata di Barthez (da parte di Blanc) e via, verso la... Gloria.
6) IL GOL NEL PREPARTITA
Anche i gol segnati prima ancora di scendere in campo possono contare molto, per alcuni giocatori. Jack Charlton, ad esempio, non poteva finire un riscaldamento pre-partita senza un gol “propiziatorio”; tutto il contrario di Gary Lineker, che non tirava mai in porta durante il riscaldamento perché non voleva “sprecare” i suoi gol. Se poi nel corso del primo tempo non segnava, all’intervallo cambiava la maglia. Il rumeno Emeric Ienei, che con la Steaua Bucarest vinse la Coppa dei Campioni 1986, raccontò che se passeggiava per strada e vedeva una pietra sceglieva subito un bersaglio: “se calciavo il sasso e facevo centro, sicuramente avremmo vinto la partita dopo”. L’attaccante Vancho Balevski, stella del calcio jugoslavo negli Anni Settanta, invece, lanciava nella porta avversaria una moneta, convinto che così avrebbe trovato il gol più facilmente. Infine il grande Cruyff, che quando giocava nell’Ajax aveva l’abitudine di dare una pacca sullo stomaco al portiere Gert Bals prima di ogni partita; poi, al calcio d’inizio, cercava di sputare la gomma da masticare centrando la metà campo avversaria. Una volta si scordò di fare questo particolare gol: si giocava la finale di Coppa dei Campioni del 1969 e il suo Ajax perse 4-1 con il Milan. La cosa buffa è che, quando smise di giocare, Cruyff consigliava agli allenatori di assicurarsi che i loro giocatori non fossero influenzati dalla superstizione. “Se succede, non potete farli giocare”, diceva.
7) L'IMPORTANZA DI MANGIARE BENE
I biscotti Plasmon di Filippo Inzaghi sono passati ormai alla storia. Ne consumava un intero pacchetto prima di ogni partita, lasciandone sempre due, e c’è chi sostiene che le successive corse in bagno fossero collegate alla scorpacciata. Rummenigge, invece, nello spogliatoio beveva sempre mezza tazza di thè con tre biscotti. Altrettanto nota l’ossessione per il frigo di David Beckham: lo vuole sempre in ordine e con le cose disposte all’interno con una precisa logica. Se poi si ritrova con tre lattine di Pepsi, ne butta via una in modo che siano in numero pari.
8) RICORDATI DI FARE BENZINA
Si narra che, ai tempi del Liverpool, Pepe Reina facesse il pieno alla sua auto prima di ogni partita. Sempre alla stessa pompa di benzina, naturalmente, e anche se non ne aveva bisogno. Poi, giunto ad Anfield, doveva parcheggiare rigorosamente nel posto auto numero 39. Fortunatamente per lui è approdato in una città in cui su queste cose non si scherza.
9) MUTANDE E DINTORNI
Il valore delle mutande: Basile Boli, l’autore del gol che nel 1993 regalò la Champions League all’OM nella finale contro il Milan, ne aveva un paio portafortuna, indossate fin dalla sua prima presenza da professionista. Adrian Mutu (che si metteva delle foglie di basilico nei calzini) si riteneva immune da qualsiasi evento negativo perché le metteva al contrario, mentre l’attaccante olandese Gerrie Mürhen insisteva per poter indossare quelle del compagno Sjaak Swart, ma solo per le partite di Coppa dei Campioni.
10) IL RITO DELLA VESTIZIONE
Chi restava in mutande fino all’ultimo momento, invece, era il capitano dell'Inghilterra Campione del Mondo nel 1966, Bobby Moore. Raccontarono i suoi stessi compagni che lui si metteva i pantaloncini sempre per ultimo, e se vedeva che qualcuno li metteva dopo di lui, se li toglieva e poi li rimetteva. Il rumeno Lacatus non voleva che nessuno toccasse la sua maglia il giorno della partita, mentre lo spagnolo Álvaro Negredo ha ammesso che, se segna, la settimana dopo indossa la stessa divisa. “Dopo averla lavata”, ci ha tenuto a specificare. Neanche Pelè riuscì a rimanere immune di fronte alle credenze legate al potere degli oggetti magici. Si racconta che una volta, dopo aver regalato la sua maglia a un tifoso, ebbe un improvviso calo di forma. Immediatamente mandò un amico a rintracciare quel fan per recuperare ad ogni costo quella maglia. Una settimana dopo, l’amico tornò da Pelé con la maglietta e il campione brasiliano tornò subito quello di prima. L’amico non ebbe mai il coraggio di dirgli che la sua ricerca si era rivelata vana e che quella che gli aveva dato era la maglia che aveva indossato nella partita precedente.
Ritrovata!
11) CON IL NASTRO ROSA…
Storie di accessori portafortuna: John Terry (vi avevamo detto che era il re dei superstiziosi…) indossò per oltre 10 anni lo stesso paio di parastinchi fortunati, finché non li perse nel corso di una trasferta a Barcellona. Marco Tardelli giocò la finale del Mondiale (quella dell’urlo) con un santino nel parastinco, il portiere Omar Borg scende sempre in campo con un nastro rosa di sua figlia che gli dà forza. “Preferirei giocare senza i guanti”, ha detto.
12) IL LANCIO DELLA MONETA
La moneta, uno dei portafortuna più classici, un po’ meno quando si scende in campo, specie se la si nasconde nella scarpa come faceva Eusebio. Anche l’attaccante marocchino Farid El Alagui ne porta sempre una con sé: si tratta di una sterlina che ha trovato una volta in campo prima di una gara. Ma moneta significa anche sorteggio: Vancho Balevski, quello del “gol” con la moneta nella porta avversaria, adorava vincere a “testa o croce” in modo da poter scegliere sempre la stessa metà campo.
13) L'OROSCOPO DEL CT
No agli scorpioni, leoni vietati in difesa. Erano le regole del Ct francese Raymond Domenech, che da grande appassionato di astrologia teneva conto anche dei segni zodiacali dei giocatori quando diramava le convocazioni. Lo scorpione Pires ne fece le spese, mentre la diffidenza verso i leoni-difensori era dettata dalla loro “propensione a mettersi in mostra”, che avrebbe danneggiato la squadra (“So che prima o poi emergerà e ci costerà caro”). Arcinoto il caso di Nils Liedholm, che aveva un mago personale, Mario Maggi, con cui si consultava regolarmente anche per… decidere la formazione.
"Scusa, Thierry... Ma tu di che segno sei?"
14) SOLO PER VERI UOMINI
Donne sul pullman della squadra assolutamente vietate, per Mircea Lucescu e Valeriy Lobanovskiy: portano sfortuna. Così come non si fece problemi a lasciare la moglie in hotel il rumeno Emeric Ienei, che il giorno della finale di Coppa dei Campioni 1986 (poi vinta con la Steaua Bucarest) impedì alla sua signora di seguirlo allo stadio. Un vero uomo anche Petr Cech che, con tutta la nazionale ceca, decise di non radersi per tutta la durata di Euro 2012; e non cedette nemmeno di fronte alle lamentele della moglie, che così barbuto lo trovava orribile.
15) LA SEDIA DEL MISTER
Sensazioni “magiche” anche per Horst Ehrmanntraut, ex allenatore dell’Eintracht Francoforte che impediva al suo assistente Bernhard Lippert di entrare nello spogliatoio nel prepartita perché pensava che emettesse energie negative. Lippert, pazientemente, sopportava e aspettava fuori. Le fissazioni di Ehrmanntraut, però, andavano oltre: non seguiva la partita dalla panchina, ma da una sedia di plastica bianca più vicina al campo. Quella sedia, oggi, è esposta nel museo del club.
16) I SIGNORI IN GIALLO
C’è chi lo ama e chi lo odia. Luis Aragonés, ex Ct della Spagna, una volta chiese a Raul di cambiarsi dopo che si era presentato in albergo con una maglia gialla. Colore che invece porta fortuna a Galliani, noto per le cravatte gialle esibite durante le partite del Milan, o all’ex presidente del Livorno, Aldo Spinelli, che arrivava allo stadio con il suo famoso impermeabile. Sempre Galliani era un grande sostenitore della maglia bianca per le finali di Champions, mentre non sopportava la terza maglia nera: cercò di “vietarla” prima di un Arsenal-Milan di Champions nel 2012, visto che i rossoneri con quella divisa avevano già perso con Napoli e Lazio, ma non ci riuscì. Il Milan perse 3-0, ma passò ugualmente il turno. Chiudiamo con il rosso del russo: Lobanovskiy era convinto che una squadra vincente dovesse assolutamente schierare almeno un giocatore con i capelli rossi.
Come spicca!
17) 50 SFUMATURE DI RITO
Il già-più-volte-citato John Terry pare che avesse oltre 50 piccole manie da assecondare prima di una partita. Nessuno, però, come il portiere della Scozia Alan Rough che viveva nel terrore di dimenticarsi uno dei punti-chiave che costituivano un suo personale decalogo anti-sfiga. Tra le “regole” da seguire: indossare sempre la maglia numero 11 sotto la numero 1; portare in campo una vecchia pallina da tennis; calciare il pallone nella porta vuota prima del fischio d’inizio; masticare sette chewing-gum durante la gara, tre per ogni tempo e uno durante il recupero; far rimbalzare un pallone nello spogliatoio per un certo numero di volte stando attento a non farlo finire nella parte sfortunata del pavimento. E poi quei calzini bianchi, che indossava sempre. “Un giorno mi ero dimenticato di lavarli, quindi erano ancora umidi perché li avevo lavati all’ultimo momento: andavo in giro con questi calzini che facevano bolle di sapone che fuoriuscivano dagli scarpini, e ho giocato una delle mie migliori partite in Nazionale. Avrei dovuto farlo come abitudine”. Come se non avesse già abbastanza pensieri per la testa.