Il mondo del calcio piange la morte di Bruno Pace, ex giocatore e allenatore molto apprezzato; 74 anni, era ricoverato da Natale, a seguito di un malore. Da calciatore aveva vestito, tra le altre, le maglie di Pescara (la sua città), Bologna, Palermo e Verona. Era stato anche sulle panchine di Modena, Catania, Avellino e Foggia
Ancora un dribbling, Bruno. No, questa volta no. "Sono stanco". La corsa é finita alle otto della sera, a Pescara. Lì dove era nato nel 1943, da famiglia borghese, a pochi passi dalla casa di D'Annunzio. La vita aveva imparato in fretta ad affrontarla mordendola e ridendoci su, ribelle e geniale, beffardo, straordinario affabulatore.
A calcio aveva cominciato a giocare quasi per caso, quando un amico gli chiese se avesse tempo e voglia di presentarsi ad un provino con il Pescara. Lui ci andò con una sigaretta in bocca, seduto in sella ad una Lambretta e senza neanche le scarpe giuste. Preso.
Dei favolosi anni di Bologna raccontava gli scherzi ad Oronzo Pugliese, l'amicizia con Bulgarelli, di quelle partite in cui li scartava tutti e poi sbagliava davanti alla porta.
Talento e risate. Sempre. Anche quando capì che gli sarebbe piaciuto allenare: subito Modena e subito una promozione, dalla C2 alla C1. Portò il Catanzaro di Bivi e Palanca al settimo posto in A, era l'allenatore nuovo che tutti volevano e una volta raccontò che, se Bearzot fosse stato eliminato dopo il girone di qualificazione al Mondiale di Spagna, la FIGC avrebbe fatto la rivoluzione e lui, con Italo Allodi DT, sarebbe andato ad allenare la Nazionale. Bearzot trionfò, sliding doors.
Il Pisa di Anconetani, il Catania di Massimino, l'Avellino di Sibilia, le ultime sfide, le troppe Nazionali senza filtro, il buon ritiro di Pescara con Cristina, Federico, Vittorio e i cinque nipoti arrivati uno dopo l'altro, la passione per il biliardo, a pesca la mattina presto, a parlare di calcio in TV, l'arte della parola, la leggerezza della vita. Geniale e beffardo come può essere un dribbling. Solo l'ultimo non gli è riuscito.