Arbitro di A tra il 1990 e il 1996, a Rosica è stata diagnosticata la SLA a inizio 2017. Oggi vive con la respirazione artificiale e comunica con la tabella oculare: "Vorrei che questa malattia tremenda venga studiata con più risorse economiche", il suo appello
Arbitrare è sempre stata la sua grande passione, ma oggi Giuseppe Rosica sta affrontando la sfida più importante della sua carriera: quella contro la sclerosi laterale amiotrofica. Fischietto in Serie A tra il 1990 e il 1996, Rosica ha scoperto di avere la SLA (è il primo caso nella storia degli arbitri italiani) a inizio 2017 e ora sta lottando strenuamente per continuare a vivere. Nonostante l’avanzamento della malattia sia stato velocissimo - da circa un anno, infatti, vive con respirazione e alimentazione artificiale, comunicando solo con la tabella oculare - non vuole smettere di lanciare messaggi a favore della ricerca sulla SLA: “Vorrei che questa tremenda malattia, che ci lascia paralizzati in tutto tranne che nella consapevolezza di quanto accade intorno a noi, fosse studiata con più risorse economiche”, ha raccontato in un’intervista rilasciata all’agenzia Ansa. “Penso davvero di essere stato un uomo molto sfortunato. Nel 2012 mi è stata diagnosticata l'aplasia midollare, che colpisce le cellule ed i globuli del sangue. Ero riuscito ad uscirne fuori con successo ma ho avuto poco tempo per gioire. A inizio 2017 ho avuto la conferma della diagnosi della SLA, che ha avuto un percorso velocissimo”.
"Arbitrare la mia grande passione. SLA e calcio non collegate"
Dalla sua casa a Roma Sud, vicina al centro sportivo di Trigoria, Rosica racconta: “Il mio messaggio è di non perdere le occasioni che la vita ci offre e di non spostare mai a domani le nostre decisioni o aspettative. Io oggi non ho un futuro ma posso dire di aver vissuto per quanto potevo scegliendo di fare quello che erano i mie desideri. Come fare l'arbitro, che è stata la mia grande passione”. Proprio sulla sua attività ha ricordato: “Ho iniziato ad arbitrare da adolescente, avevo 16 anni. Veramente l'ho fatto più per avere la tessera dello stadio e poter vedere la Roma - ricorda - Poi mi sono appassionato e ho avuto una buona carriera, arbitrando più di 120 partite tra Serie A e B. Ho smesso a 40 anni”. E i ricordi speciali non mancano: “Una volta ammonii Vialli e, da ragazzo che conosceva i valori dello sport, mi si avvicinò e mi strinse la mano: fu un bel gesto. Una giornata decisamente no? Quella in cui espulsi Giacinto Facchetti alla sua prima partita da dirigente in campo. Mi spiacque subito dopo, era stato uno dei calciatori che da ragazzo ammiravo e soprattutto un autentico signore, ma è andata così”. Da allora è purtroppo cambiato tutto, ma Rosica non si sente di collegare la malattia al tempo trascorso sui campi da gioco: “Credo che sia più un clamore giornalistico. La percentuale di calciatori è molto bassa ed è probabile che altre categorie professionali siano più estese”, ha concluso.