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Maradona, il primo degli ultimi

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Matteo Marani

Con Diego Armando Maradona non muore solo un calciatore, se ne va un pezzo del calcio, della nostra gioventù, della vita di tutti, della leggerezza, del divertimento, della libertà

LO SPECIALE

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Diego non c’è più. È la sola cosa che rimbomba in testa mentre i telefoni suonano, la gente piange al cellulare e sento ogni attimo il respiro trattenuto e addolorato di Napoli montare forte. C’è la tv che rimbalza la notizia, le prime immagini fuori del San Paolo, che si chiamerà ora Diego Armando Maradona, ci sono il disorientamento e l’angoscia, ci sono i social e le persone reali che ti chiedono se è vero. Sì, purtroppo stavolta è tutto vero.

Non è stato solo un calciatore

Oggi che muore, ad appena 60 anni, lo capiamo fino in fondo, con lo strazio che produce la perdita. È un vuoto vuoto. È stato una presenza fissa e continua da 30 anni per napoletani e italiani, da quasi 50 anni per gli argentini, che lo videro debuttare a 16 anni con l’Argentinos Juniors, dopo essere passato dalle Cibollitas, le cipolline. Sembra il nome di una fiaba e in fondo tutta l’esistenza di Diego lo è stata, fin dalla nascita, dalla sua partenza.

approfondimento

1984, ho visto Maradona

Lo vide un allenatore delle giovanili, Francesco Cornejo, in modo del tutto casuale. Diego aveva un amico che con lui giocava sotto casa. Il papà di questi un giorno raccontò a un tassista che a Villa Fiorito, in mezzo alla sporcizia, alla miseria, alle baracche tenute insieme dal fil di ferro, c’era il nuovo Gesù bambino del calcio, quello che il mondo eleggerà a Dio del football. Cornejo andò, vide, e nulla fu più come prima.

In cima al mondo

A 17 anni Diego era già in Nazionale, a 18 non fu campione del mondo unicamente perché Menotti, così sostenevano i maligni, non voleva perdere visibilità. Lui giustificò che era troppo giovane e che non se la sentiva di metterlo nella lista, ma lo portò a furor di popolo nell’82. Nel 1979 Maradona aveva vinto il Mondiale Under 20 in Giappone, quasi da solo, una specialità della casa che si sarebbe ripetuta nel 1986 a Città del Messico. I generali della dittatura lo esibirono alla Casa Rosada, per esporlo agli occhi del pueblo povero, ai descamisados delle periferie. Da Menem ai neoperonisti, chi ha voluto governare l’Argentina ha dovuto chiedere il lasciapassare a lui, al vero Re.

Maradona & il popolo

Il popolo è l’altra grande parte della vita rockstar di Maradona. Esistono populisti, adulatori, monarchi, despoti e tutti cercano ogni volta il consenso del popolo. Invece qui è stato il popolo a cercare il consenso di Maradona, nel senso che lui era loro e loro erano lui, una sovrapposizione difficile da spiegare, ma fortissima. Diego ha sbagliato mille volte, anzi di più. Le notti folli, la cocaina, e non solo quella, gli eccessi in pelliccia e macchine fuoriserie, frutti degli Anni 80 come è stato lui. Ma non ha mai tradito il rapporto con la gente. Nato povero, poverissimo a Villa Fiorito, non si è mai venduto a nessuno, né alla Fifa di Blatter, né agli Stati Uniti di Bush. Nel 1985, giunto da pochi mesi a Napoli, gli chiesero di giocare una partita ad Acerra per un bambino ammalato. Lui si impegnò, disse ok. Poi Ferlaino ci ripensò, negò pullman e assicurazione. Ma Maradona andò a giocare lo stesso, rischiando le gambe senza garanzie scritte, pagò lui per tutti e si giocò. In mezzo alle auto parcheggiate, con un campo di fango, quelle immagini stanno ancora su youtube e dicono chi sia stato Maradona.

Il pensiero del riscatto

È per questo che oggi piangono in tanti, capi di Stato e vip dello spettacolo, ma in fondo in fondo il dolore più lacerante si alza dalle catapecchie di Buenos Aires, dai bassi di Napoli, dalle periferie del mondo. Là dove Maradona non è stato soltanto uno di loro, e in effetti non ha mai smesso di essere, ma è stato anche il pensiero del riscatto. Il Napoli che di colpo poteva battere Juve, Inter e Milan, l’Argentina che poteva affondare l’Inghilterra di Margaret Tatcher, esattamente come era successo anni prima alle portaerei argentine di fronte alle isole Falkland.

Non se ne va solo un calciatore, altrimenti non si capirebbe perché il mondo stia impazzendo in queste ore. Se ne va un pezzo del calcio, della nostra gioventù, della vita di tutti, della leggerezza, del divertimento, della libertà, del pensare che puoi anche essere l’uomo più famoso del mondo, il più ricco, ma che le risate che ti sei fatto con il tuo amico Cyterszpiler da bambino non potranno mai essere sostituite dai lustrini, dai soldi, dal servilismo di chi, fintamente, ti adula senza mai darti l’accesso al tavolo che conta.

Maradona e Cyterszpiler

Maradona è stato contro

E in questo è stato superiore a chiunque, anche a Pelé e agli altri campioni del pallone. Al suo livello tecnico, vedi Messi, sono stati altri, ma alcuni gradini sotto nell’essere bandiera e simbolo di ogni cosa che ha toccato. Ha sfidato regole, convenzioni, perbenismo, restituendo a ognuno un suo posto. Ai compagni nello spogliatoio, ai tifosi che ha fatto sentire grandi e invincibili, al calcio stesso, a tutti noi, che con lui ci siamo sentiti uniti e legati da un patto. Che Diego non ha mai tradito.