Morte Sabella, addio al condottiero tranquillo
argentinaDue settimane dopo Diego Armando Maradona si è spento a 66 anni l'ex Ct dell'Argentina Alejandro Sabella. Soprannominato 'Pachorra' per il suo temperamento tranquillo, guidò la nazionale albiceleste fino alla finale del Mondiale 2014 in Brasile - persa contro la Germania - e vinse una Libertadores alla guida dell'Estudiantes
Pachorra in Argentina si dice a quelle persone tranquille, pure troppo, che per far qualcosa si prendono il loro tempo, muovendosi con lentezza. Alejandro Sabella era esattamente questo, ed ecco spiegato il motivo del suo "apodo", il soprannome che lo ha accompagnato nella sua carriera da calciatore e da allenatore. Una carriera da numero 10 nell'epoca sbagliata, quella in cui in Argentina il talento in quel ruolo non mancava, e nemmeno l'esuberanza. Per il placido Sabella sarebbe stato impossibile ritagliarsi uno spazio nella storia giocando nell'era Maradona. Una circostanza, questa, che accettava con onestà, ammettendo anche pubblicamente che non c'era da arrabbiarsi se qualcuno, semplicemente, era migliore di lui.
La rivincita del tranquillo, del lucido, del razionale e talentuoso Sabella sarebbe arrivata da allenatore. Di lui dicono che fosse il regista dietro ai successi in panchina di Passarella. Questo non lo sapremo mai, ma quando Sabella si mise in proprio con l'Estudiantes di Verón portò la squadra a una leggendaria vittoria in Copa Libertadores in una vera guerra sportiva in Brasile col Cruzeiro, ma soprattutto costrinse il Barcellona di Guardiola, quello del "sextete", ai tempi supplementari della finale del Mondiale per Club per conquistare l'ultimo trofeo della lista perfetta grazie a una invenzione di Messi.
Perdere un Mondiale ai supplementari grazie a un'invenzione è stato il suo destino anche in Brasile, nel 2014. Proprio dove era cominciata la sua storia da allenatore vincente. Sabella era arrivato alla Selección dopo Maradona (e Batista), ma stavolta era stato lui il migliore. Meglio del Diego del 2010, meglio anche come condottiero, al punto da presentarsi in conferenza stampa citando un padre della Patria Argentina come Belgrano per indicare la strada. La sua strada era stata quella di prendere dei calciatori normali, metterli vicini a Messi, Di María e Agüero e portarli a credere di poter tornare con la coppa come Maradona nel 1986. Superando le critiche e le voci delle liti nello spogliatoio dopo il debutto con la Bosnia, con la difesa a 5. Nulla di vero, perché Pachorra, con la sua serenità classica, si convinse da solo che quell'esperimento dovesse terminare lì.
Solo la cattiva sorte gli tolse per infortunio due dei suoi tre assi, Di María e Agüero, per l'impresa del Maracanã contro la Germania. La portò ai supplementari contro quelli che ne avevano dati 7 al Brasile in trasferta. Dopo il dolore del gol di Götze che gli negò l'ingresso nella mitologia del calcio argentino per avercela fatta oltretutto sul suolo nemico, Sabella, di fatto, sparì. Perché il dolore della malattia gli tolse le energie, accompagnandolo alla fine del 2020 a spegnersi in silenzio, tranquillo come suo costume, e inevitabilmente molto più silenziosamente del rumore esuberante anche nell'ultimo dribbling di Diego Armando Maradona. Ma stavolta al suo fianco, tra le icone del fútbol argentino. Solo un passo indietro.