L'allenatore portoghese ha rilasciato un'intervista al Corriere dello Sport: "Il calcio è il regno della superficialità, c'è gente che ha potere decisionale ma che sa di calcio come io di fisica dell’atomo - ha detto -. Rimpianti? Il no a Florentino e non aver lasciato la Roma dopo Budapest. In futuro voglio una nazionale, ma tornerei in Italia"
I cambiamenti nel calcio, la fame di vittorie, i momenti belli e i rimpianti. José Mourinho non è mai banale e non si è smentito neanche questa volta, raccontandosi in un'intervista al Corriere dello Sport: "Quando mi sento pienamente realizzato? Mai, voglio vincere la prossima partita e sentirmi realizzato per un paio di giorni - ha esordito, parlando poi della sua scelta di unirsi al Fenerbahce -. Amo il calcio e il mio lavoro, non mi va di aspettare l’opportunità ideale o prendermi un anno sabbatico. Ho detto sì a un club che mi ha voluto tanto e me l’ha dimostrato fin dal primo giorno. Quest'anno l'uscita dalla Roma è stata dura, ma da quando vinsi la prima Champions 20 anni fa sono cresciuto tanto e ogni giorno imparo qualcosa di nuovo. Io solo un grande comunicatore? Un grande comunicatore non vince tutti i titoli più importanti del calcio. La grandezza di un allenatore è nei risultati, non nella filosofia. E nell’umanità, non nell’egocentrismo. Nel coraggio, non nell’autotutela. Nell’onestà, non nel relazionale. Oggi l'allenatore è diventato progressivamente meno importante e sempre più dipendente da strutture e personaggi il più delle volte impreparati: ci sono stati cambiamenti su tutti i piani e a tutti i livelli". E i cambiamenti futuri potrebbero riguardare il Var a chiamata e il tempo effettivo: "Sono l’ultimo che può parlare di Var e tempo effettivo - ha spiegato -. Lasciamo questi argomenti ai fenomeni del calcio, ovvero gli allenatori bravi che non sanno vincere, gli esperti dei social media e gente che ha potere decisionale ma che sa di calcio come io di fisica dell’atomo. Il calcio è il regno della superficialità e dei luoghi comuni e un’etichetta non si nega a nessuno. Di solito quando la gente parla di me pensa a cosa è successo quindici, dodici, otto o dieci anni fa. È così per la maggior parte dei grandi allenatori che di solito guidano le squadre migliori e hanno le maggiori possibilità di arrivare in finale. Negli ultimi anni ho fatto tre finali, una con il Manchester United e due con la Roma. Guardo a tutto ciò un po’ divertito, e allo stesso tempo con orgoglio perché quando fai questo con un club senza storia in Europa, ti rendi conto che hai realizzato qualcosa di speciale".
"Dovevo lasciare la Roma dopo Budapest"
Passando in rassegna alcune delle sue migliori partite (da Porto-Lazio 4-1, semifinale Uefa 2002-2003, a Inter-Bayern 2-0 per finire a Manchester-Tottenham 1-6) lo Special One si è soffermato anche su alcuni rimpianti: "A livello professionale il no a Florentino. Mi disse «Mou, non andare via adesso, il difficile l’hai fatto e viene il bello». Sapevo che sarebbe stato così, però volevo tornare al Chelsea dopo tre anni in Spagna. E poi avrei dovuto lasciare la Roma dopo Budapest: non per il casino combinato da Taylor, ma per il fatto di non essermene andato subito. Non l’ho fatto e ho sbagliato". E sull'addio ai giallorossi ha aggiunto un retroscena: "Acquistai quattro biglietti per andare a salutare i tifosi all'Olimpico. Ero in hotel con i miei assistenti che mi dissero: «Mister, meriti di salutare i tifosi e i tifosi meritano di salutare te. Andiamo». Ci ho pensato qualche ora, poi ho temuto che mi avrebbero accusato di voler disturbare e io non faccio mai queste cose. Non ho più visto giocare la Roma, l’Inter sì. Se tornerei a lavorare in Italia? Certo".
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"In futuro voglio allenare una nazionale"
Nel suo futuro, Mourinho si vede come Ct di una nazionale: "Sì, voglio giocare un Europeo o un Mondiale - ha concluso -, unire un Paese intorno alla sua nazionale nello stesso modo in cui sono riuscito tante volte con i club e i tifosi. Voglio farlo per il calcio, per quello che questo sport rappresenta. Sarà incredibile".